“LA DONNA SARDA”, LA PRIMA RIVISTA FEMMINILE SCRITTA E PUBBLICATA IN SARDEGNA NEL 1898

“La donna Sarda” la prima rivista femminile

“È permesso? Vi è un posticino vuoto nel vostro elegante salottino dove possa nascondermi senza darvi molestia? Guardate, prendo poco spazio, sono sottile, sottile, quasi diafana, non mi ci si vedrà nemmeno. Son venuta a farvi una visita, è da un pezzo che lo desideravo, degli anni addirittura, ed è appunto per questo motivo che sono deperita, venni tanto gracilina; ma mi rimetterò subito in gamba se mi farete buona accoglienza (…) ”

Con questo particolare editoriale scritto dalla direttrice Maria Colombo esce a Cagliari 15 luglio 1898 “La donna sarda” la priva rivista femminile scritta e pubblicata in Sardegna che portò alle donne sarde nuove speranze di emancipazione che avrebbero riguardato non le sole donne, ma tutta la società sarda.

Si pubblica mensilmente sino al 25 dicembre 1900. Dal 19 gennaio 1901 cambia periodicità e sottotitolo e dal luglio dello stesso anno si pubblica col titolo «Il Rinnovamento: rivista quindicinale di lettere, arti e scienze». L’ultimo numero di «La donna sarda» è datato 31 maggio 1901.

La sorte del giornale, che nei primi due anni di vita gode di un notevole successo di pubblico (per la grande richiesta viene fatta una ristampa del primo numero), va peggiorando col tempo: i duri giudizi espressi nel 1901 da Raffa Garzia (critico letterario) sullo scarsissimo valore delle “giovani penne” che scrivono sul giornale, la netta impronta socialista che gli viene impressa a partire dagli ultimi mesi del 1900, aspramente criticata dal quotidiano «La Sardegna cattolica» coincideranno con le dimissioni della direttrice e con il rapido declino del giornale.

La fondatrice e direttrice era Maria Colombo (poi Manca), piemontese di origini, ma giunta in Sardegna in giovane età e sposata ad un sardo, Cesare Manca.

Già collaboratrice di altri giornali e animata da un forte impulso pedagogico in un’epoca di riforme sociali, fonda un periodico dedicato alle donne, che si propone un compito gravoso: emancipare le donne sarde, renderle coscienti del fatto che esse possono avere un ruolo definito e riconosciuto nella società.

“La donna sarda” è anche la firma della Presentazione, in cui si legge che il giornale intende parlare con garbo alle donne sarde dei loro compiti e dei loro passatempi, delle bellezze della loro isola, della storia e delle scienze (che spesso conoscono poco perché non hanno tempo o modo di conoscerle viaggiando o studiando), come lo farebbe una buona amica, affinché siano più preparate nel dare – da madri e maestre – un’adeguata educazione ai propri figli e più informate non solo sulle ultime mode, ma anche sui loro diritti.

Con questo fine il giornale si occupa anche della divulgazione del Questionario del Movimento femminile, diffuso a livello italiano, sulla condizione sociale delle donne, di cui però non vengono poi resi noti i risultati.

L’emancipazione femminile non è un argomento facile da trattare in una società fortemente conformista e cattolica come quella della Sardegna di fine Ottocento. E dunque, che sia per un’intelligente scelta tattica o per sincerità, il femminismo propugnato da Maria Colombo e dalle sue amiche-collaboratrici non è radicale ed estremistico; è un femminismo moderato, che non incita le donne a ‘mascolinizzarsi’, rubando il ruolo e la veste degli uomini per sostituirli nei loro posti di responsabilità, ma che propone un modello di donna assolutamente femminile, che svolge il suo ruolo di madre e moglie in maniera più consapevole ed adeguata all’importanza del posto che la Natura e la Bibbia le hanno assegnato.

Su questi toni moderati si manifestano anche le idee della penna più feconda del giornale, che si firma Maria Xanta, ma che in realtà è un uomo, l’insegnante elementare Andrea Pirodda, fondatore e direttore di «Gallura letteraria» e «La Scuola sarda», oltre che collaboratore di numerosi giornali e riviste del tempo («Vita sarda» 1991, «L’unione sarda» molti altri). Pirodda su «La donna sarda» si firmerà col suo vero nome solo nei numeri pubblicati nel Novecento.

Nei suoi numerosi articoli moltiplica gli inviti alle donne a non lasciare il loro ruolo di “regine della casa”, ma ad esercitarlo con lo scettro in mano e non come graziosi soprammobili, ed invoca la necessità di una meglio strutturata educazione scolastica. Maria Xanta riconosce importanza fondamentale alle scuole femminili, alle quali chiede di “fortificare il carattere della donna per […] formare delle madri”, interrogandosi su quali figli mai potrebbe educare una madre che non avesse altro da insegnare che pregiudizi ed ipocrisie.

Combatte le teorie di scienziati e filosofi che cercano di dimostrare scientificamente la diseguaglianza fisica tra l’uomo e la donna (più piccola, più debole, col cranio meno sviluppato e l’encefalo con meno “circonvoluzioni”), spiegando che uomo e donna non sono stati creati per contendersi gli stessi ruoli, ma per compensarsi ed equilibrarsi a vicenda.

Secondo Andrea Pirodda, ciascuno dovrà – dunque – cercare di svolgere al meglio il proprio dovere naturale, senza interferire nella sfera dell’altro.

In più occasioni si trova a difendere le categorie di donne più esposte a critiche: operaie, minatrici, prostitute e ballerine, giustificandole perché costrette dalle condizioni economiche a professioni che sono disonoranti per loro stessa natura.

Il suo articolo di commento alla speranza che il movimento femminista in Inghilterra conquisti il diritto di voto per le donne – nel quale ricorda le prime avvocatesse ed invoca pari opportunità di formazione per le donne che stanno dimostrando di poter ricoprire anche ruoli fino ad allora prettamente maschili – suscita, perché troppo progressista, due risposte, una maschile ed una femminile, che invitano a una maggiore moderazione di idee.

La prima di Edgardo Rosa (pseudonimo di Giuseppe Mangiameli), direttore di un periodico corleonese, con sottile ironia rimprovera le donne di non essere coscienti della superiorità che loro già hanno per la disposizione naturale che conferisce loro il potere nella vita privata sul marito e sui figli.

L’altra di Luigina Lupi, collaboratrice de «La donna sarda», dopo aver ricordato come nel pensiero comune la donna inglese non sia citata come esempio di femminilità, sostiene che le donne hanno già “tante belle occupazioni che l’uomo ha voluto a noi lasciare, che facciamo un danno a noi stesse se vogliamo sconfinare dalla nostra missione!” e che la donna “prima di disputare all’uomo la laurea, dovrebbe pensare ad essere donna, donna e null’altro che donna”.

Anche Gina Sequi sostiene che le donne devono semplicemente migliorare la propria cultura per essere più adeguate al loro importantissimo compito di essere delle buone madri.

Tra le altre collaboratrici del giornale vanno ricordate, per il loro impegno politico nel movimento d’emancipazione femminile, Sofia Safo – che nel n. 3, 1898 dedica un articolo alla scrittrice Emilia Mariani, “la più balda propugnatrice della causa femminile” –, Maria Bobba e Anna Maria Mozzoni. Queste ultime inizieranno la loro collaborazione alla testata solo nel 1900. Maria Colombo è orgogliosa di poter vantare un’autorevolissima “ospite”, “un genio”, “un essere superiore”: Grazia Deledda, una donna “affermata” e, a tutti gli effetti, la più degna rappresentante di quanto il giornale afferma e propone. La Deledda, però, non ricambia nella stessa misura gli sperticati elogi e i numerosi tributi a lei indirizzati da Maria Colombo e da altre collaboratrici del mensile (in omaggio alle sue nozze viene addirittura pubblicato un numero speciale, 11 gennaio 1900) ma si limita a far pubblicare un breve raccontino, qualche verso ed un’altra prosa, che sarà pubblicata sul «Rinnovamento» quando Maria Colombo non era già più direttrice del giornale.

Nell’articoletto di presentazione di Grazia Deledda la Colombo incita le sue amiche e collaboratrici, autrici di poesie e di racconti pubblicati sul giornale, a perfezionarsi per divenire degne di rimanere in contatto con la grande scrittrice.

«La donna sarda», infatti, oltre ad articoli ‘impegnati’, consigli pratici, recensioni di libri o riviste, critiche teatrali, pettegolezzi, propone poesie, racconti, pensieri di vario tono e livello.

Era opinione comune, già a quell’epoca, che questi contributi non fossero d’altissima qualità, tanto che Ida Gessa Paoletti sente la necessità di ammonire le collaboratrici a non voler vedere pubblicato per mera civetteria qualunque scritto esse avessero prodotto, per non rischiare di essere definite scolastiche e melense, e consiglia loro di rifuggire dalle “scioccherie da donnine isteriche” come “uccellini, fiorellini, bestioline”.

Non tutte, però, mostrano di volere (o potere) seguire questi saggi consigli, se – poco più d’un anno dopo – una nota su «La donna sarda», pubblicata sul giornale padovano «Veneto», per altri aspetti favorevolissima, le rimprovera il permanere di un certo “sentimentalismo” dal quale era invece importante staccarsi, anche procedendo per gradi.

Molto meno clemente, e di più nocivo effetto, sarà la già citata critica di Raffa Garzia sul suo «Bullettino Bibliografico sardo».

Tra le collaboratrici ‘letterarie’ si possono citare Eva Pepitoni dai toni macabro-realistici, e la più dolce Emilia Simonetti.

I collaboratori del sesso ‛forte’ cominciano a farsi più numerosi nei fascicoli pubblicati nel Novecento, quando il mensile – già vicino al suo tramonto – ospiterà le firme di giovani esordienti.

Nell’Ottocento scrivono sul mensile Rinaldo Caddeo, G. Andrea Cossu, Sebastiano Pintus ed Edgardo Rosa (Giuseppe Mangiameli).

«La donna sarda» – nonostante le promesse del primo numero – dedica poco spazio alla storia ed al folklore della Sardegna, forse per restare allineata agli orientamenti della stampa femminile italiana.

Pubblica in “Appendice” il romanzo Peppeddu Tolu di Maria Colombo (sempre col cognome da sposata Maria Manca).

La veste grafica è piuttosto curata: la copertina, di quattro pagine, è colorata; i titoli degli articoli sono composti con caratteri particolari; molti articoli iniziano con un capolettera ornato; vari sono i fregi che spesso separano gli articoli l’uno dall’altro.

La pubblicità – di prodotti, ditte e negozi non solo sardi (a riprova di una buona diffusione del periodico sul territorio italiano) – occupa solitamente un’intera pagina della copertina.

https://www.facebook.com/ainnantis

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *