
di RITA CODA DEIANA
Il pane civraxu che rappresentava la sacralità de sa coghina antiga de sennora Angelina, era realizzato con la farina (scetti) di grano duro Cappelli. La sua panificazione avveniva ogni otto giorni in su forru a linna.
Nelle mani di Angelina e quelle delle sue figlie che l’aiutavano nella panificazione, si racchiudeva il segreto della bontà unica dell’impasto. Il calore impresso dalle loro mani era infatti capace di fondere i semplici ingredienti, in un impasto morbido; e solo la forza ben distribuita delle loro braccia riusciva a lavorare la pasta fino a plasmarla.
Quali erano le fasi della preparazione del pane?
La sera prima della panificazione, Angelina scioglieva un piccolo quantitativo di pasta fermentata, (arremissi su fromentu) avanzata dalla panificazione precedente, che ogni volta serviva da lievito per le panificazioni successive. Preparava tutti gli ingredienti per la mattina seguente e metteva l’acqua a scaldare in un grande pentolone (sa pingiada manna).
All’alba, impastava la farina con l’acqua salata e calda (cummossai) dentro un contenitore di terracotta (sa scivedda). Poi la pasta si amalgamava con il lievito (su fromentu) e a questo punto si cominciava a lavorarla (ciuexi) con l’acqua tiepida ma non più salata.
Angelina, occhi azzurri e lunghi capelli biondi, profumava di sapone sardo (sabone – saoni – saboni sardu), portava il fazzoletto in testa (su muccadori) per raccogliere i suoi lunghi e folti capelli, che teneva in ordine con una crocchia di trecce e indossava sempre e rigorosamente il grembiule (su grembiali – deventali – falda) con ampie tasche.
Le sue mani esili e minute, manipolavano con pugni chiusi, premendo e impastando la pasta (sa spongiadura). Intanto, le figlie addette al forno, provvedevano a riscaldarlo bruciando fascine di potatura di vigna e olivastro. Quando Angelina riteneva che la pasta per il civraxu era stata lavorata abbastanza, la posizionava in sa mes’ ‘e pesai su pani, la cueziada e formava delle grandi pagnotte piatte e tondeggianti, incideva una croce al centro e le lasciava lievitare nei canisteddus coperte con dei teli di lino e con delle coperte di lana. Dopo la lunga lievitazione, su civraxu veniva introdotto nel forno caldo, precedentemente spazzato con covoni di cisto (murdegu) nella stagione invernale e di menta di fiume (menta ‘e arriu) in quella estiva. Ogni pagnotta veniva collocata con la pala da forno nelle parti più esterne del forno, invece la parte centrale era destinata al pane più pregiato come is coccois e is cabonischeddus elaborati con pasta di semola (de simbula).
Nella stagione invernale, era solita preparare anche su pani ‘e gerdas, che erano delle piccole focacce schiacciate con il palmo della mano che contenevano i piccoli ritagli rimasti del lardo del maiale e su pani ‘e arrescottu, panini alla ricotta.
Il civraxu durava tutta la settimana e quando ormai si era prossimi alla successiva panificazione, si tagliava a fette e si inumidiva con il latte o con il brodo, le fette venivano poi disposte a strati, intervallati con salsa di pomodoro e pecorino grattugiato e sistemate nelle teglie di alluminio per essere infornate (su mazzamurru).