di Marco Deriu
Si fa un gran parlare, in questi ultimi tempi, del "digitale terrestre", che i poli televisivi Rai e Mediaset stanno pubblicizzando dopo l’approvazione delle norme sul riassetto del sistema televisivo e le prime applicazioni della nuova tecnologia. Il sistema di trasmissione e ricezione digitale consente di utilizzare il televisore già in uso ma richiede l’installazione di un decoder, apparecchio simile a quello usato per la tv satellitare, da collegare alla presa dell’antenna e al televisore per fruire del servizio nelle zone coperte dall’apposito segnale. Il passaggio dal sistema analogico a quello digitale sul territorio italiano ha preso il via dalla Sardegna, che ha completato la trasformazione. Pian piano tutte le altre regioni percorreranno la stessa strada, a partire dalla Valle d’Aosta (entro giugno 2009), per continuare con il Piemonte occidentale, il Trentino Alto Adige, il Lazio e la Campania (dicembre 2009). Seguiranno il Piemonte orientale e la Lombardia (giugno 2010), l’Emilia Romagna, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Liguria (dicembre 2010), le Marche, l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata e la Puglia (dicembre 2011), la Toscana e l’Umbria (giugno 2012), la Sicilia e la Calabria (dicembre 2012). Fissato istituzionalmente a più riprese e poi rinviato nel corso degli anni, il passaggio al nuovo sistema sembra avere imboccato la strada per concretizzarsi definitivamente entro i tempi previsti. L’Italia non è sola: tutti i Paesi dell’Unione Europea si stanno attrezzando per convertire le reti nazionali di trasmissione televisiva in tecnologia Dtt (Digital terrestrial television) secondo tempistiche differenti ma entro un arco temporale limitato ai prossimi anni. Negli spot a favore del nuovo sistema si insiste sulla possibilità di una fruizione interattiva e personalizzata da parte dello spettatore, che avrà la possibilità di scegliere tra un maggior numero di programmi disponibili e di usare il televisore come strumento per accedere ai servizi di pubblica utilità. Se davvero la questione sostanziale si può porre in questi termini, il nuovo corso si preannuncia estremamente interessante. Come i suoi predecessori, anche l’attuale ministro delle Comunicazioni ha sottolineato a più riprese la potenziale maggiore "democraticità" del mezzo televisivo attraverso il nuovo sistema di trasmissione e ricezione, in quanto aumenterebbe il numero di emittenti facilitando il pluralismo d’espressione e la libertà di scelta. In realtà, qualche dubbio continua a serpeggiare anche tra gli addetti ai lavori, oltre che fra i potenziali destinatari che devono ancora capire bene cosa succederà in concreto e come potranno cambiare le loro abitudini di fronte alla tv. Il digitale può offrire l’opportunità di aumentare i canali di offerta, la suddivisione tra operatori della rete e fornitori di contenuti, il riconoscimento di nuove figure professionali e nuovi operatori della comunicazione, ma può anche rivelarsi terreno di ulteriore conquista per chi già adesso la fa da padrone, a dispetto dell’Antitrust. Fra i punti problematici, si registra infatti l’obiezione sollevata da chi teme che la nuova tecnologia possa essere monopolizzata dalle emittenti più forti sul mercato del piccolo schermo (in particolare Mediaset e Rai), che già detengono una posizione dominante in campo televisivo e alle emittenti minori lascerebbero soltanto poche briciole. Oltre agli aspetti tecnici e all’eventuale influenza sull’attuale duopolio televisivo, un’ulteriore considerazione riguarda il rapporto fra il mezzo televisivo e il suo pubblico. Il popolo italiano ha dimostrato ampiamente di apprezzare la tv "generalista", costruita su un’offerta di scarsa qualità ma capace di catalizzare gli ascolti mescolando i generi e offrendo "di tutto, di più". Questo tipo di televisione è per gli italiani il mezzo di comunicazione principale, quello che fa registrare le più alte percentuali di fruizione, distaccando di gran lunga la radio, la carta stampata e internet. L’attuale offerta consente anche una fruizione distratta e pigra, non troppo impegnativa (fatta salva qualche rara eccezione). Quando sarà a regime, il nuovo sistema assegnerà al fruitore una maggiore responsabilità nell’andare a scegliersi i programmi all’interno di un nutrito menù, puntando sull’idea di interattività. Già oggi, del resto, diverse trasmissioni televisive richiedono un intervento attivo dello spettatore, chiamato non soltanto a rispondere in diretta ai quiz, a fornire un aiuto alla ricerca di persone scomparse, a raccontare i torti subiti, ma anche a scegliere fra i diversi finali di una fiction, a suggerire le possibili evoluzioni di un racconto televisivo. Il tempo ci dirà se il mutamento in corso porterà benefici anche sotto il profilo culturale o se servirà soltanto ad aumentare la quantità di "merce" (in questo caso, canali e programmi) sugli scaffali del mercato mediatico.