di Claudia Zedda
Giuseppe Biasi è uno di quegli strani casi d’artisti mai scoperti. E nel ritrovarlo un po’ per caso, un po’ per gioco, rinasce lui e la sua pittura, che ebbe come unica colpa quella si sbocciare in tempo sbagliato. Come un fiore a luna piena, da pochissimi apprezzato. Contraddittorio, incomprensibile, enigmatico questo è quello che raccontano di lui. E l’incoerenza tra persona e opere è tanto grande che incuriosisce e invita a scavare, a scoprire. Perché i suoi disegni, i suoi ritratti sono netti, chiari nelle linee, privi di incertezze, orfani di sfumature o insicurezze.
E’ scavando che si scopre un Biasi nutrito di cultura internazionale, i cui interessi permasero comunque e sempre ancorati alla piccola isola che gli diede i natali, la Sardegna. La sua eleganza lo poneva a proprio agio all’interno dei salotti romani e milanesi, ma si raccontava felice anche quando rubava l’essenza d’un pastore o d’una contadina, legati a quella terra che più d’altre stentarono ad abbandonare tradizioni e usi.
Opera agli esordi del novecento il pittore dimenticato, non svelato. Una cornucopia ricca di colori, che nessuno ebbe il coraggio di rompere. Di buona famiglia, come spesso accadeva fu indirizzato agli studi giuridici. L’arte lo reclamò giovanissimo. Sperimentò la xilografia e il disegno, ma rimase sempre fortemente innamorato tempera.
Gli sfondi scuri erano quelli che lui diceva di prediligere, quasi che dall’ombra si dilettasse a trovare le luci, si divertisse a creare il colore.. < a me riesce meglio se la gonna fosse scura, o nera addirittura, di compirla in scuro e poi schiarirla, con venature di chiaro..>
Tutta la sua opera ebbe come intento quello di regalare nuova dignità a quella terra che umiliata da millenni di altrui dominio, aveva dimenticato la propria identità . E nel farlo racconterà con tratti di matita e tempera, della quotidianità sarda, di quei colorati matrimoni, dove sembra quasi che i petali di rosa soffiati sulla sposa, siano mossi da un vento che realmente coglie i presenti di sorpresa. Si intravede in quel volto di sposa, la tensione e il timore del momento, e nell’occhio dell’uomo sposo, tutto l’orgoglio di una razza, quella sarda che Biasi si consumò nel raccontare.
Le sue donne appaiono austere ed imprendibili, belle ma non raggiungibili. Eteree. Timide ma al contempo curiose di scrutare l’estraneo. Disegna con maniacale precisione di particolari i ricchissimi abiti ed è quasi per caso che l’amuleto consueto, la punga, salta all’occhio, abbandonato sul petto giallo d’una donna sposata. I colori, i ricami, i tessuti ci catturano. Li si potrebbe ricalcare per ore con lo sguardo. Il contrasto inaspettato, la varietà, l’imprevedibilità, rapiscono solo la bellezza, tracciando una realtà esaltata, nella quale non troverà mai posto il banditismo, malaria o la povertà. L’accusa di travisare gli fu rivolta spesso, di raccontare colori che non esistevano. Ma in fondo si doveva trattare di come lui, il pittore, uomo di città, assaporasse il primitivo che altri artisti dovettero trovare lontano dalla propria terra; primitivo che Biasi incontrò nascosto negli irremovibili borghi dell’entroterra Sardo.
Innata in lui la capacità di fermare l’attimo. I protagonisti delle sue storie l’osservano sempre. Anche se di fuggita. Persi fra i momenti della vita quotidiana, interrompono il proprio andare per ascoltare la richiesta di lui. Un cees lungo un attimo, trascorso il quale immaginiamo che le lavandaie rincaseranno a portar la roba linda, i pastori riprenderanno a pascolare il proprio gregge, la donna a recitare il suo rosario, e il venditore ambulante a strillare che le arance vendute da lui, sono le più buone.
Uno strano caso quello di Giuseppe Biasi, di un pittore mai scoperto, che saprà sempre ipnotizzare chi per caso ne rivedrà i sogni, impressi in tela.
Cari amici sardi….volevo domandarvi se credete che G. Biasi e un pittore mai scoperto???
grazie per la vostra risposta..