LA PORTA DI CONFINE: MINIATURIZZAZIONE E VERSI “GRIFFATI” DALLA DIMENSIONE POETICA DEL TEMPIESE FRANCESCO PASELLA

Francesco Pasella

La plaquette lirica “La porta di confine” (Poesia tra mondi emersi) di Francesco Pasella è la sessantasettesima opera della “Piccola collana di memorie”, ideata da Salvatore Tola e sviluppata negli anni con il collaborativo impegno di Salvatore Ligios della Soter editrice.

La miniaturizzazione  poetica operata da Francesco Pasella, sia nel limite numerico delle composizioni che nell’essenzialità estrema dei versi pubblicati, lo porta a concentrare e griffare con il suo stile, di profonda concettualità, un ermetismo estremo e stratificato riflessivo linguaggio, sperimentato e consolidato con innumerevoli pubblicazioni, per varcare limiti tra realtà e oltre. In tempi di totalizzante globalizzazione e di poteri attenti ad innalzare muri ci arriva un messaggio di poesia che incede verso l’esaltazione dell’esperienza conoscitiva e che parla ai cuori; insomma un coltivo di ponti proiettati a stabilire contatti e dialogo tra persone e culture, capaci di sfidare tempi e fedi dai segni ancestrali.

Un mondo che “bisogna sparigliare”, per “stare su questo mare” e raggiungere se stessi e gli altri, attraverso un modello di ideale poesia creatrice, e di integrazione tra culture, con il senso-significato che assegniamo alle parole dialoganti e agli stessi limiti che tracciamo per definirle.

Francesco Pasella propone la sua personale visione e senso-valore dell’esperienza poetica da riscoprire con segni di contemporaneità, attingendo alla sua originaria sorgente di umanità ed alle molteplici interpretazioni dei flussi di pensiero che cattura con una straordinaria capacità di introspezione e sensibilità per le emozioni fugaci da trasformare in simboli di fratellanza e di esperienza poetica dalla dimensione universale.

La parola-poesia porta ad esplorare e comprendere, analizzare i tempi che consumano indistintamente il tutto, nonostante lo “scorrere e ripetersi” esistenziale, ma è anche connessione e sincretismo per far emergere legami di e tra culture: l’atzeca-messicana mediata dal senso cristinianizzante. E da questa varcata porta di confine, tra mondi emersi, possiamo “vivere/ il giorno dei morti/ mesoamericano,/ quando le anime/ tornano per far festa,/ maschere ricamate,/ altari per brindare,/ carri e sfilate,/ banchetti per vivere”.//.

Un culto di radice e identità per avvicinare due mondi ed onorare la memoria dei propri antenati, nella consapevolezza che “nei gusci mollicci siamo morti,/ si è frantumato il cuore”,/ ma lo spirito è presenza ed essenza vitale di  ricordanza della fase naturale dell’esistenza.

La breve silloge è impreziosita dall’altrettanto fugace nota introduttiva di Mario Pischedda (visionario artista di Bortigiadas, videomaker, fotografo, poeta-scrittore e giornalista), che del poeta Francesco evidenzia la “rara dote che pochi hanno, ovvero la brevità a cui aggiungere anche l’umanità e per chiudere il cerchio direi anche più di un verso felice e paradossalmente ermetico e spaziale”. Il riferimento è: “Lanciare dardi,/ ami,/ su cosmi fumanti”.//. E il nostro poeta tempiese “è un lanciatore, un discobolo direi di dardi poetici su cosmi fumanti”.

Altra preziosità sta nella riproduzione del Paesaggio agrodolce, olio su tela di Giuliano Sale (pittore nato a Cagliari nel 1977, vive e lavora a Milano), in sintonia con la porta di confine esplora artisticamente l’ambiguità contemporanea.

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