Salvator Angelo Spano
a cura di ORNELLA DEMURU
Politico, religioso, scrittore, giornalista e finanche poeta: tutto questo e molto di più è stato Salvator Angelo Spano, nato nel 1925 ed entrato nella storia contemporanea come uno degli intellettuali sardi più eclettici e carismatici. Nato a Villacidro il 21 agosto 1925, consegue la maturità classica e il diploma all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Pontificia Università Lateranense.
Primo di dodici figli, interruppe gli studi per la morte del padre, e a 17 anni divenne applicato al Comune di Villacidro. Tra i fondatori della Democrazia Cristiana in Sardegna e dirigente regionale della Gioventù di Azione Cattolica è stato un fraterno amico di Carlo Carretto (dirigente dell’Azione cattolica, poi religioso dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, profeta della non-violenza).
Da attivo e sensibile amministratore locale ha promosso importanti e popolari iniziative legislative e sociali. Ha fondato, e ne è stato primo presidente, il Consorzio industriale di Villacidro nei primi anni di attività.
Consigliere della Regione Sardegna per tre anni e questore del Consiglio per otto anni. Ha ricoperto la carica di Assessore della RAS ai Lavori pubblici, alle Finanze, all’Artigianato ed alla Sanità nell’arco di sei anni.
Ha ricoperto inoltre la carica di presidente della Giunta della Regione Sardegna per un breve mandato (18 marzo 1972 – 22 novembre 1972), succedendo a Nino Giagu De Martini e precedendo l’incarico a Pietrino Soddu. Nel 1982 abbandona la politica attiva per dedicarsi agli studi teologici e alla vita ecclesiale.
Nel 1991 è ordinato Diacono permanente da Mons. Antonino Orrù, Vescovo della Diocesi di Ales-Terralba.
Nel panorama intellettuale è invece ricordato come primo presidente della “Fondazione Giuseppe Dessì”, vivace giornalista pubblicista (collaboratore di numerose testate e redattore, per oltre 15 anni, del periodico diocesano d’informazione Nuovo Cammino), scrittore in lingua italiana ed autore di opere teatrali, racconti e poesie in lingua sarda.
Tra gli innumerevoli e prestigiosi riconoscimenti conseguiti per la produzione letteraria in sardo, sono certamente significativi quelli conferiti dal “Premio Ozieri”: 1° premio sezione Teatro 1977, con la commedia in tre atti “S’arroppapaneri” (“Il picchia-sederi”) (EDES, Sassari, 1978); nel 1981 per il racconto “Su parenti americanu” (S’alvure, Oristano, 1983); nel 1990 per il racconto Ogu liau (“Malocchio”).
E ancora 1° premio sezione Prosa 1982, con il racconto “Su mauccheddu” e il 1° premio sezione Poesia 1988, con la lirica “Sa paxi mia”.
Sempre in lingua sarda con testo a fronte in italiano, ha pubblicato Sa vid’ ‘e Gesu Cristu – sonetti (“La vita di Gesù Cristo”) (Ed. Della Torre, Cagliari, 1981); Perd’ ‘e sali – poesie (ivi, 1987).
Ha pubblicato, inoltre, le raccolte Contus de bidda mia (“Racconti del mio paese”) (Ed. Cartabianca, Villacidro, 1995), You capire? (ivi, 1997) e Genti mia – racconti (“Gente mia”) (EDES, Sassari, 2003).
Insieme a Salvatore Fiori ha pubblicato la raccolta di poesie in lingua italiana Che resta? (Ed. Cartabianca, Villacidro, 1998).
Nei quaderni del Sardinian Pen Club, ha pubblicato la traduzione a quattro mani con il figlio Giovanni Spano dall’inglese al sardo, con testo a fronte in italiano ed inglese, del poema Gitanjali (EDES, Sassari, 2001) del Premio Nobel indiano Rabindranath Tagore.
All’ultima opera alla quale ha lavorato, con l’amico Gerardo Addari, Pispisendu – poesie in sardo-campidanese (“Sussurrando”) (Ed. Fiore, San Gavino M.le, 2004) pubblicata qualche settimana dopo la sua morte, si aggiunge il racconto del Passio Sa passioni e sa morti de Gesu Cristu (“Passione e morte di Gesù Cristo”), pubblicazione postuma.
Giornalista pubblicista, ha redatto testi di successo come “Conosci la Sardegna – Note di storia e di attualità” del 1964. Si è spento nella sua Villacidro il 30 gennaio 2004.
Lo spirito narrativo dello scrittore campidanese è stato ben evidenziato dallo scrittore Cicitu Masala:
“La cifra stilistica più propria di Salvator Angelo Spano non è il patimento o la denuncia ma l’ironia o il sarcasmo e, precisamente, quello che sembra essere il segno specifico della letteratura campidanese: la farsa, cioè lo stravolgimento scenico, tragicomico, del personaggio paesano, secondo il quale niente c’è di drammatico nella vita su cui non ci si possa fare una risata agrodolce”.