Quintino Sella
di GIAN LUISA CARRACOI
Quintino Sella nacque alla Sella di Mosso (Biella) nel 1827 da una ricca famiglia di industriali della lana. Si laureò appena ventenne in ingegneria idraulica presso l’Università di Torino. Nominato allievo ingegnere nel Regio Corpo delle miniere fu inviato a perfezionare la sua formazione presso l’École des Mines di Parigi.
Successivamente al suo rientro ottenne prestigiosi incarichi come docente di matematica e di mineralogia. Su invito di Cavour nel 1860 si presentò alle elezioni politiche e fu eletto deputato alla Camera per il partito della Destra Storica. L’anno successivo diventò segretario generale del Ministero della Istruzione Pubblica. Uomo d’ingegno poliedrico fu anche il fondatore del Club Alpino Italiano e Presidente dell’Accademia dei Lincei.
Più volte Ministro delle Finanze, ebbe come obiettivo prioritario il pareggio del bilancio statale e per questa finalità fece la proposta di particolari provvedimenti come la tassa sulla macinazione del frumento e dei cereali che fu infine promulgata il 7 luglio 1868 per iniziativa di Luigi Menabrea, allora Presidente del Consiglio dei Ministri, ed entrò in vigore il 1° gennaio 1869. Essa colpì soprattutto chi aveva un reddito già precario, causò proteste e rivolte, che furono represse duramente, e come conseguenza portò alla chiusura di gran parte dei piccoli molini.
Il 1° gennaio 1869 è anche la data in cui a Cagliari nacque “A vent’anni! ” il primo periodico goliardico della Sardegna che venne pubblicato con cadenza settimanale da una redazione composta interamente da studenti universitari sardi.
Le sue pagine riferivano puntualmente dei disordini nati in conseguenza dell’applicazione della tassa sul macinato che stritolava soprattutto i già poveri, e denunciavano le condizioni critiche dell’intera economia isolana.
Si sottolineava come la Sardegna vantasse importanti giacimenti minerari, un ottimo clima e un buon terreno per l’agricoltura, ma poiché poco popolata e con una pressione fiscale altissima non riusciva a mettere a frutto le proprie risorse.
Il reddito individuale dei sardi risultava essere il più basso tra le regioni del Regno. In quel periodo, come purtroppo anche in tanti altri, la situazione economica e sociale fu aggravata ancor più da numerose epidemie e calamità naturali, come l’invasione delle cavallette e della fillossera, alle quali si aggiunsero forti nevicate alternate a prolungate siccità causando diffuse morie del bestiame.
Intanto il 22 giugno 1868 era stata costituita la Commissione d’inchiesta parlamentare sopra le condizioni morali, economiche e finanziarie della Sardegna e in due diverse riprese l’anno successivo, Quintino Sella, come componente della Commissione d’indagine sui 471 siti minerari dell’Isola, percorse tutta l’isola e nella sua opera intitolata Sulle condizioni dell’industria mineraria dell’isola di Sardegna, ne descrisse le potenzialità e le criticità. Nel saggio Ricordi dell’ingegnere Eugenio Marchese, L. Roux e C. Editori Torino, Roma 1893, da cui è tratto questo racconto, incontriamo la persona del ministro lungo il suo percorso di visita nella nostra terra, in sella a cavallo tra Ogliastra e Sarrabus. Eugenio Marchese, collega e amico di Quintino Sella, scrisse questo resoconto nel 1889, vent’anni dopo, grazie ai ricordi ancora ben vivi di quel viaggio avventuroso, ricco di sorprese in piacevole compagnia. Alla fine della terzultima tappa, arrivati a Lanusei, Eugenio incontrò sua moglie e suo fratelloMaurizio che da qualche tempo faceva ricerca mineraria nel distretto di Iglesias. Essi, arrivati a Tortolì in nave da Cagliari, lo informarono che la sua presenza era necessaria nella stessa Lanusei per una riunione relativa ad alcune ricerche programmate per l’Ogliastra. Così Eugenio e sua moglie, tra l’altro molto felice per dei pendenti in filigrana di cui Quintino Sella l’aveva omaggiata, rimasero a Lanusei, lasciando Maurizio a fare da guida al ministro. Questi visitarono prima Questila miniera di Tertenia e da qui per scendere verso la foce del Flumendosa nel Sarrabus, avrebbero potuto percorrere due strade. L’opzione era questa, o discendere per la stretta valle di Tertenìa che correva parallelamente alla costa fino alle rovine del castello di Quirra e valicare poche colline per arrivare a Villaputzu, oppure passare attraverso i monti.
La scelta non fu fatta dal Sella e neppure dall’ingegnere Marchese, ma bensì da una terza persona che non era nel programma, un certo Pasquale Pisu Porcu, proprietario di Villaputzu, appassionato ricercatore di miniere, il quale essendo stato informato del viaggio del ministro si presentò la sera a Tertenia.
Poiché questo Pasquale Pisu Porcu nutriva degli interessi per una miniera che si trovava nelle vicinanze di Villasalto e che desiderava ardentemente far visitare al Sella, la strada prescelta fu quella della montagna più fresca e pittoresca.
Il sentiero passava per l’altopiano coperto di macchia mediterranea sul quale era ubicato, come sperduto, il villaggio di Perdas de fogu. Tra questo villaggio e quello più a nord di Seui si trovavano alcuni brani di terreno carbonifero, ma era ridotto allo stato di antracite.
La visita di questo terreno carbonifero avrebbe fatto perdere un’intera giornata e fu quindi scartata dal programma, per cui i viaggiatori si fermarono a Perdas de fogu lo stretto tempo necessario per far ferrare un cavallo.
Il Sella ne approfittò per chiacchierare con la sua guida di Villaputzu e capì subito la sua pronta intelligenza. Alla domanda del ministro intorno all’istruzione impartita nelle scuole comunali il sarrabese rispose che essa era purtroppo una misera cosa, ma alla replica del ministro che non pareva essere così perché egli parlava benissimo l’italiano, il sardo rispose che non c’era male in quanto all’italiano ma che nessun insegnamento si impartiva in esse del francese e dell’inglese.
Francesi, inglesi e te deschi, scrive Eugenio Marchese, non erano mancati tra questi monti all’ epoca della ripresa dei lavori minerari e lo stesso Lamarmora raccontava che trovandosi in una delle ultime sue escursioni di passaggio a Tertenìa vi ricevette la visita di un parigino che si era recato a complimentarsi con lui tenendo al braccio la sua signora con abito elegante e abbigliato lui stesso con abito a coda, cravatta bianca e cappello a cilindro.
Le lenti metallifere fatte visitare al Sella da Pasquale Pisu Porcu avrebbero potuto fornire abbondanti minerali e lo provavano le parecchie migliaia di tonnellate che già si erano trasportate fino alla spiaggia nella cala di Enna murta, ma la difficoltà stava nel separare i diversi minerali. Quando le differenze di peso specifico dei vari minerali erano troppo piccole la separazione diventava difficile o praticamente impossibile.
Il signor Pisu Porcu dopo questa visita e il tipico pranzo in campagna continuò a guidare i viaggiatori seguendo la riva sinistra del Flumendosa, ben guardingo dal guadarlo per passare sulla destra. Arrivò così a portarli a notte inoltrata alla sua Villaputzu, villaggio ubicato alla foce del fiume.
Maurizio Marchese e con lui il ministro avevano fatto conto di andare a pernottare a Muravera, considerato che anche partendo da lì sarebbero rimaste da fare ancora dodici o tredici ore a cavallo per raggiungere Cagliari, ma a Pasquale Pisu Porcu venne un’altra idea.
Con l’argomentare che il Flumendosa era abbastanza in piena e difficile quindi il guado, tanto più che era già calata la notte, li trattenne sulla riva sinistra anche se molto probabilmente per il solo piacere di ospitare il ministro, di offrirgli la cena e di farlo riposare per la notte sullo stesso letto nel quale aveva dormito Alberto Lamarmora quando pernottò nella sua casa durante i lavori topografici e geologici.
La ragione del guado non era in verità da prendere alla leggera. Non era ancora stato gettato il grande ponte sul Flumendosa, il quale fu costruito alcuni anni più tardi e travolto dal fiume in piena poco tempo dopo.
Guadare il fiume non era cosa facile, soprattutto con il buio, e l’ingegner Marchese nel suo scritto non dimentica di ricordare che un giovane collega nel tentare questo guado per rientrare alla sua casa di miniera morì drammaticamente annegato.
I due studiosi fecero quindi sosta nella casa di Pasquale Pisu Porcu. Era un uomo sui cinquantacinque anni dalla barba già molto brizzolata, alto, magro e dall’aspetto fiero.
Come molti dei maggiorenti di questi villaggi seppur non seguisse il modo di vestire dei continentali aveva però sostituito al calzone bianco dei sardi, un paio di calzoni di panno bigio di foggia militare, conservando intorno alla vita il gonnellino di panno sardo.
Indossava in capo il berretto sardo di panno nero e nella cintola di cuoio nero il suo coltellaccio che portavano tutti i sardi, sa leppa, nella relativa fodera di cuoio. La sua casa era come tutte le case dei printzipales sardi. Un cortile dove vagava il maiale insieme alle galline, delle tettoie per i cavalli e sopra uno dei lati la casa propriamente detta.
Una vasta cucina a pian terreno con il fuoco nel mezzo serviva anche da dormitorio per i servi che alla notte si stendevano ancora vestiti in circolo con i piedi verso il focolare.
Vi era poi una camera per pranzare e per ricevere al lato della cucina.
Nel piano superiore c’erano le camere da letto ordinariamente pulite ma nelle quali il lusso e l’opulenza del proprietario non era rappresentata da inutili gingilli ma dal numero dei materassi che erano sistemati l’uno sull’altro impilati nel letto di legno.
Nonostante la cena si annunziasse tanto grandiosa data la mole dei preparativi, il ministro non chiese altro che di avere l’onore di stendersi sul letto del Lamarmora.
Il mattino seguente, Quintino Sella e Maurizio si alzarono ancor prima dell’alba. Furono allora preparati i cavalli sotto la sorveglianza personale del Pisu Porcu e all’albeggiare si misero a cavallo.
Il guado del Flumendosa fu eseguito senza difficoltà e questo, con un pizzico di malizia, fece pensare ai viaggiatori che la sera prima il signor Pisu Porcu ne avesse esagerato il pericolo unicamente per la gioia di dar dimostrazione della tipica ospitalità che contraddistingueva il popolo sardo.
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