di LUCIA BECCHERE
Fino alla prima metà del novecento, nei nostri paesi, nel rispetto di antiche consuetudini, i matrimoni venivano combinati dalle famiglie dei due futuri sposi che poco sapevano uno dell’altra. La richiesta di matrimonio veniva fatta dallo sposo ai genitori della sposa, tramite il cosiddetto paraninfo, persona di un certo spessore morale che si faceva garante di tutti i valori del giovane compresa una certa consistenza economica per poter sostenere moglie e figli.
Correva l’anno 1933 quando a Bovore, massaju di 23 anni, veniva concessa s’intrada, cioè il permesso di frequentare la casa di Mintonia, casalinga di 18. I giorni stabiliti erano il sabato sera, la domenica e i giorni di festa per non intralciare i lavori infrasettimanali. Si era anche stabilito che la nuova copia venisse ufficializzata alla vigilia di Natale, festa solenne e beneaugurante, quando i due giovani si sarebbero recati insieme alla messa di mezzanotte, la cosiddetta missa ‘e pudhos (messa dei galli), che venivacelebrata alla prima ora del nuovo giorno in tutti i paesi della Barbagia. Lui l’avrebbe accompagnata fino al sagrato della chiesa, dove in quegli anni gli uomini erano soliti sostare in attesa che la messa finisse per ricondurre le loro donne a casa.
Il giorno di Natale, Bovore fece l’ingresso ufficiale in quell’umile casa dove non c’erano tanti regali da scartare ma soltanto cuori da aprire e quelli dei futuri sposi erano predisposti ai sentimenti e alle emozioni. Si era presentato con l’abito nuovo delle feste e un agnello da consumare a pranzo, a riceverlo entrambi i genitori in quanto lei era figlia unica. Il padre lo fece accomodare accanto a lui, distante da Mintonia con la quale il futuro sposo cercava di comunicare con sguardi timidi e fugaci perché ogni altra affettuosità era bandita.
Superato l’imbarazzo dei primi giorni, il giovane via via riusciva a rapportarsi con maggiore naturalezza. Veniva accolto nella piccola cucina alquanto umile dove tutto era ridotto all’essenziale mentre un ordine maniacale rendeva quell’ambiente paradossalmente più povero. La porta dava sul cortile che comunicava con la strada acciottolata mediante un portone in legno a due ante.
Una sera come tante, Bovore si presentò a casa della sposa, la madre lo fece accomodare come al solito vicino all’unica finestra che dava su di un vicolo stretto, mentre lei e la figlia si sedettero accanto al caminetto acceso.
Al momento di offrire il caffè all’ospite, mamma Chischedda, trovò il barattolo vuoto, si sentì smarrita perché costretta a lasciare soli, seppure per un attimo, i due giovani, in quanto custodiva le provviste al piano superiore. “Vado a prendere il caffè – disse a Bovore -, tu non muoverti da lì per nessun motivo”. L’uomo assicurò il dovuto rispetto e sigillò la promessa con una stretta di mano.
Chischedda, guadagnò la porta camminando all’indietro, attraversato un breve tratto di cortile, salì veloce la rampa della scala e preso il caffè, rientrò in cucina trafelata. Quel lasso di tempo era sembrato a lei infinito, ma non dubitò di nulla e si rasserenò.
Ma il giovane Bovore per quanto educato e rispettoso, appena la sentì sulle scale, di tutta fretta si alzò, a grandi falcate raggiunse Mintonia, la baciò sulle labbra e si rimise seduto come se nulla fosse successo.
Nei giorni a seguire, Bovore, piuttosto impegnato nel lavoro dei campi, per alcuni giorni non fece rientro in paese. Mintonia ignara del motivo della sua assenza si lasciò andare ad un pianto disperato. Un pensiero fisso l’attanagliava: “Como chi ata appiu su chi cheriata – ripeteva fra sé -, non bi torra prus” (Adesso che ha ottenuto quello che voleva, non ritornerà mai più).
Ma Bovore bussò ancora al suo portone e Mintonia, fugato ogni sinistro pensiero, si rincuorò. In primavera i due giovani convolarono a nozze e dalla loro felice unione nacquero 5 figli.
Ma è lo stralcio di un nuovo romanzo di Lucia? Storia molto bella.
Ancora Natale, ancora un anno nuovo, ancora un mare infinito di auguri: forse superflui, forse inutili, forse retorici, ma, all’insegna della speranza e dell’ottimismo della volontà, li faccio e li ricambio affettuosi agli amici, riproponendo ancora alcuni miei versi sardi cantati e musicati da Ennio Santaniello. Parole che in italiano suonano così: “Natale… è quando l’abbiamo nel cuore,/ quando al prossimo stendiamo le mani/ piene di spighe con tutti i grani./ Natale è vero con i loro figli, / perché anche loro crescano sani,/ loro che sono il tesoro della vita./ Allora sarà festa, allora sarà Natale/ e solo allora scomparirà il male”. Un abbraccio grande.
nella ricorrenza del Natale ci è caro farvi giungere gli Auguri di un luminoso cammino sulle vie della salute, serenità, felicità e ogni bene per il Nuovo Anno 2025. 🎅🎄
Domenico & Laura Scala
Dae s’oriente l’annùssiat un’ isteddu/
a impuddile zòviant sos pastores/
nud’istat in sa paza Pipieddu/
sos ànzelos lu cantant a tenore/
Est s’arcanu mistèriu de Maria/
meravilla de Pasca de Nadale /
chi vìrzine creat su Messia/
po sarvare su mundu dae su male/
In s’isconnotu tempus presente/
mirand’ in artu a su firmamentu/
s’òmine anticu dìligu impotente/
a su Chelu at pediu su sarvamentu/.
Est sa fide de s ‘òmine credente/
chi at pintau sa màzine de Deu/
cuerru de su coro e de sa mente/
dae sa tribulía de su mundu feu./
Falet su Pipiu contra sa gherra/
contra a s’òdiu e sa disamistade/
batat s’ispera de sa pache in terra/
a sos òmines de bona vulundade.