L’ABITO TRADIZIONALE DI LANUSEI A FINE OTTOCENTO: “LA SARDEGNA, NOTE E IMPRESSIONI DI VIAGGIO” DEL CAPITANO CIONINI TRA IL 1887 E 1891

Nell’agosto del 1887 il capitano dell’esercito Alete Cionini fu inviato in Ogliastra come incaricato della leva per il Circondario di Lanusei e vi soggiornò per qualche tempo. Le sue prime impressioni su questa nostra terra vennero da lui pubblicate nell’Illustrazione Italiana dei Treves di Milano.
In relazione a tutta la sua permanenza in Sardegna dal 1887 al 1891, pubblicò a Parma con l’editore L.Battei il libro “La Sardegna. Note e impressioni di viaggio”.
Il suo testo ci dona uno spaccato di vita importante sull’architettura, sulle abitudini, sulle occupazioni e sui costumi di Lanusei, la quale si accingeva a quei tempi a diventare una importante cittadina. All’interno del volume è presente persino un prezioso contributo sugli abiti tipici indossati dagli uomini e dalle donne lanuseine.
Gli uomini – scrive il capitano Cionini – indossavano il fez nero, un giubbetto di velluto azzurro con i petti accavallati e tenuti insieme da bottoni di metallo bianco con le maniche strette e abbottonate in fondo con campanelle d’argento. Sopra questo giubbetto vi era una specie di giustacuore o giacca senza maniche, bestipedi, tutta aperta davanti e realizzata con pelli, con o senza ricami.
Un altro antichissimo indumento citato è la mastruca, una specie di lungo cappotto senza maniche e senza forma, con due grandi fori per il passaggio delle braccia, fatto con pelli intere di capra o di montone, per lo più con i peli all’interno. Talvolta, invece della mastruca, gli uomini si coprivano con una giacca nera d’orbace, un po’ lunga e con il cappuccio, detta cabanu o cappolu, indossata spesso anche d’estate.
Le loro gambe erano coperte da larghissimi calzoni bianchi di tela, carzones, che arrivavano fin poco sotto il ginocchio, o da gambieri detti carzas o borzeghinos, che agganciati da spessi bottoni arrivavano a coprire le scarpe, le quali in generale erano senza tacchi e fatte in modo molto semplice.
Ma la cosa più curiosa, secondo Alete, era la gonnella di panno nero, tutta a pieghe e tenuta a posto da una lista dello stesso panno che copriva i fianchi, la quale passando fra le gambe spiccava di dietro in modo strano sui pantaloni bianchi. Al fianco li cingeva una cintura di cuoio, utile per le cartucce e per tenervi appeso l’immancabile coltellaccio, detto leppa.Vi era poi un costume misto tra il continentale e il sardo, molto strano. Alcuni, infatti, vestivano prettamente alla continentale, ma portavano sui lunghi pantaloni di fustagno la gonnella con quella stessa striscia nera fra le gambe.
Le donne di Lanusei avevano una foggia di vestire seria e abbastanza elegante. Portavano in testa una specie di scialletto quadrato, un peplo di panno scarlatto con larghi bordi di seta azzurra e assicurato da una catenella a guisa di un sottogola che scendeva giù in modo curioso intorno al mento.
Indossavano un giubbino scuro dalle maniche strette terminanti con una frappa intorno alla mano. Lo stesso era chiuso alla vita e tutto aperto nel petto, coperto solo dalla bianca camicia “che fra parentesi chi l’ha veduta dice che è cortissima e che non arriva più giù del l’ombelico”.
La loro gonnella era di panno scuro a fittissime pieghe con in fondo un orlo di seta a vivi colori.
L’acconciatura del capo era molto semplice. Raccoglievano i capelli sulla nuca e li racchiudevano dentro un fazzoletto rosso che scendeva giù per il collo.
Queste donne come tutte le altre dell’isola se alla festa sembravano principesse, nei giorni feriali vestivano assai dimesse, camminavano a piedi nudi e portano un corpettino di stoffa qualunque senza maniche, sul davanti era ancor più aperto del precedente. D’estate spesso non indossavano né l’uno né l’altro, con la vita coperta solamente dalla camicia spesso logora e quasi trasparente.
A causa di questo in vari villaggi, ma soprattutto nel Campidano di Cagliari, per consiglio dei predicatori continentali, dice Alete, fu ammessa un’innovazione, ossia coprire il petto con un fazzoletto, su parapettu, attaccato per due ciocche sotto le ascelle e scendente giù perpendicolarmente a guisa di cortina.
Esse perlopiù attendevano alla cura dei bambini, ai lavori in casa, ad accudire le galline e gli altri animali domestici. Filavano il lino e la lana che poi tingevano per farne il famoso orbace o altre stoffe molto pregiate per i loro abiti e per quello dei loro uomini che venivano tessute con l’antico telaio. Il sabato lo occupavano in una operazione per loro sacra solenne, ossia fare il pane.
Un altro loro impegno era recarsi alla fonte ad attingere acqua, che era di una squisitezza famosa, soprattutto quella della fontana di Marcusei. Esse si muovevano con le anfore piene sul capo, in equilibrio, con le mani ai fianchi e il petto che si spingeva procacemente in avanti. Meravigliose come delle vere statue greche.
Per il loro carattere serio e anche per una gran paura della maldicenza non erano così facili a farsi prendere in giro dagli uomini, i quali specialmente se forestieri potevano vantare ben poche conquiste. Nel caso in cui un uomo maritato avesse gettato uno sguardo su una di esse, questa non stava certo zitta, ma con disdegno e severità gli si rivolgeva, dicendo «Coniugau! Banda in ora mala!». Le Lanuserine erano belloccie e simpatiche. Parola del capitano Alete Cionini.

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3 commenti

  1. Quello della foto, non è l’abito di Lanusei!!
    Certamente Aritzo.

  2. Non è Lanusei ma Aritzo o Belvi .

  3. La fontana di Marcusei è un’opera d’arte. Credo sia importante valorizzarla.

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