Lisa Moi nella foto di Pietro Basoccu
di GIAN LUISA CARRACOI
Lisa Moi, classe 1980, padre ogliastrino e madre veneta. Oggi, moglie e mamma. Dopo la maturità in ragioneria, ha frequentato per due anni la scuola d’arte orafa a Vicenza, luogo natio, e sempre nella stessa città ha lavorato per circa un anno e mezzo. Successivamente ha proseguito il suo percorso nel laboratorio avviato dai suoi genitori nel 1984 a Bari Sardo, dopo tre anni dal loro rientro in Ogliastra a seguito di una lunga esperienza formativa e lavorativa. Suo padre era emigrato da ragazzino nella città palladiana, luogo in cui l’arte orafa affonda le radici nel lontano Medioevo, e lì ha studiato acquisendo il titolo di “maestro d’arte orafa”.
Lisa è figlia d’arte. Ha lavorato per vent’anni fianco a fianco con papà Giancarlo e mamma Carla, modellista, approfondendo la conoscenza della filigrana. «Inizialmente essa mi sembrava una cosa relegata al passato remoto – racconta –, fuori moda. Con il passare del tempo, vivendo in Sardegna, ho potuto capire che la filigrana non era solamente sinonimo di tradizione, ma poteva essere rivisitata in chiave moderna attraverso l’applicazione della tecnologia e del design. L’amore per l’arte orafa era dentro di me fin da bambina. All’età di cinque anni aiutavo già i miei genitori nel montaggio delle perline, poi pian piano negli anni delle elementari e medie si è un po’ placato, anche se le mie amiche ancora oggi ricordano le ricerche scolastiche che io facevo sugli oggetti della tradizione sarda».
All’interno dell’azienda Lisa ha potuto partecipare attivamente al progetto guidato dal Polaris di Cagliari per il quale sono stati selezionati solamente cinque orafi – fra questi uno è suo padre – i quali attraverso la collaborazione con un architetto di Milano sono riusciti a inventare una nuova tecnica. «La filigrana non viene più saldata – spiega Lisa – oppure ingabbiata all’interno di strutture particolari, ma è libera e si sostiene grazie all’ausilio della saldatura laser che non va a modificare la struttura molecolare del metallo perché lavora a crudo, ossia salda dove deve saldare, senza riscaldare tutto l’oggetto».
Da qui la conferma per Lisa che la filigrana non era solo relegata alla tradizione del passato, ma poteva ambire a molto di più. Ha continuato così a seguire i gioielli sardi, relativi all’abito tradizionale e alla tradizione in genere, di richiamo misto tra sacro e profano, utilizzati ancora oggi in particolari momenti della vita, come su coccu per il battesimo e lo spuligadentes per il matrimonio.
Dal 2020 però, con l’arrivo del Covid, la crisi economica ha messo in ginocchio tante attività artigiane e commerciali. «É stato un momento – ricorda – in cui anche la nostra produzione ha subito un arresto e non si capiva bene quale sarebbe stato il nostro futuro».
Ma lei non si è fatta abbattere. In quel momento di riflessione, ha maturato un’idea forte e ha capito ciò che voleva. Da qui la decisione di aprire al pubblico un’attività tutta sua. E così è stato. Il suo laboratorio, Filigrana d’autore dal marzo 2024 è presente in Corso Vittorio Emanuele, a Bari Sardo. Nell’arredamento della bottega ha messo tutta l’anima: dai ricami dipinti sui muri, che richiamano i pizzi della camicia tradizionale sarda, alla tavola realizzata a mano con il rame per riprendere parte del discorso che la più grande artigiana della parola in Sardegna, Grazia Deledda, pronunciò nel momento in cui, il 10 dicembre 1927, ritirò a Stoccolma il Nobel per la Letteratura. L’obbiettivo principale di ogni realizzazione di Lisa è la creazione di oggetti fatti a mano, inimitabili, marchiati e punzonati che fanno sì che il prodotto finale sia realmente un’opera d’arte unica. Tra i suoi lavori anche il restauro e la trasformazione dell’oro vecchio.
«Negli anni mi sono resa conto che la filigrana ha subito un maltrattamento da parte dei consumatori e anche dei commercianti – fa notare l’orafa ogliastrina –. Oggetti come la fede sarda, che dovrebbe rappresentare un gioiello dal forte valore simbolico e identitario, è stato invece declassato a causa di una indiscriminata produzione di massa. Ciò che invece dirige il mio lavoro è il desiderio di coniugare le richieste del cliente, che possono essere le più disparate, con quella che è la tradizione della nostra terra. Nel caso dell’anello di fidanzamento che ho realizzato quest’estate per un giovane bariese come dono per la sua ragazza di madre lingua inglese, ho creato un connubio tra Inghilterra e Sardegna, perché questo era il suo desiderio. Siamo partiti dall’anello iconico di fidanzamento inglese, quello alla Kate, e ho riprodotto lo stesso tipo di design, però al posto dei diamanti abbiamo scelto di inserire intorno allo zaffiro una corona di grani che richiamasse la fede sarda, simbolo di abbondanza e prosperità».
Per stimolare la curiosità dei clienti, Lisa ha inoltre avuto la brillante idea di creare un laboratorio senza muri, proprio come nelle antiche botteghe, per mostrare apertamente i suoi strumenti di lavoro e invitare i clienti a osservarla durante la realizzazione dei gioielli. Il lavoro è partito bene e nei prossimi anni le piacerebbe aprirsi a nuove esperienze per raccontare la filigrana a una clientela sempre più vasta.