Giuseppe Musio
a cura di ORNELLA DEMURU
Importante figura della storia moderna sarda, si batté per i diritti della Sardegna e dei suoi abitanti. Fu senatore del Regno d’Italia per 20 anni.
Nacque a Bitti, da Francesco Angelo e da Rosalia Carta Cordoña. Come data di nascita si indica di solito il 15 maggio 1797, che propriamente è quella del battesimo, ma numerosi indizi la riportano esattamente a un anno prima (Melis, 1991-92, pp. 4-8). Di lì a poco il padre con gli altri sei fratelli ricevettero il titolo nobiliare (diplomi del 22 luglio 1803).
All’età di nove anni si trasferì a Cagliari sotto la tutela dello zio Costantino Musio, avvocato fiscale e poi giudice della Reale Udienza. Dopo gli studi presso gli scolopi, attorno al 1815 si immatricolò nella facoltà di giurisprudenza, per laurearsi in utroque iure il 19 luglio 1819. Seguendo l’influente zio a Torino, svolse il tirocinio necessario per intraprendere la carriera della magistratura, impiegandosi presso l’ufficio fiscale del Supremo Consiglio di Sardegna (1819-22). Tornò quindi a Cagliari, nominato sostituto sovrannumerario dell’avvocato fiscale generale patrimoniale (27 agosto 1822) e poi sostituto effettivo (7 maggio 1825). In quell’ufficio, determinante per gli aspetti patrimoniali della questione feudale, percorse gli ulteriori gradini della carriera, salva una breve interruzione in cui ricoprì cariche amministrative quale vicedirettore del debito pubblico (27 marzo 1826) e viceintendente del Monte di riscatto (10 aprile 1826), cariche che cumulò. Il 10 luglio 1827 fu nominato primo sostituto dell’avvocato fiscale generale patrimoniale nonché avvocato fiscale patrimoniale del tabellione e poi fungente le veci di controllo generale (16 ottobre 1829).
Fu allora che avviò i lavori per ricostruire la storia di ciascun feudo con i titoli originali di concessione, valendosi di alcuni brillanti praticanti del suo ufficio che più tardi si sarebbero messi in luce quali magistrati, letterati e uomini politici (Giovanni Siotto Pintor, Giuseppe Pasella, Domenico Piccinelli e Luigi Carta Depani, di cui sposò la sorella Marianna, senza avere figli). I materiali raccolti potevano servire sia a verificare la legittimità dell’esercizio dei poteri feudali, sia a preparare l’intervento del governo sul sistema dei feudi. In effetti, con l’ascesa al trono di Carlo Alberto la questione feudale divenne centrale. Musio fu chiamato a dirigere la segreteria di Stato e Guerra (21 febbraio 1832), diventando il consigliere di fiducia del viceré Giuseppe Maria Montiglio.
Sebbene dotato di senso dello Stato, certamente non era estraneo alle cordate che operavano negli uffici e a corte. Non vi è alcun dubbio che nella sua rapida ascesa giocasse la protezione dello zio Costantino, come più tardi ammise egli stesso (Parole dette dal commendatore G. M. senatore del Regno nell’atto del suo insediamento come presidente capo della corte d’appello di Nizza, Nizza 1855, p. 4).
Dello zio, ideologicamente conservatore e distintosi nella repressione successiva alla «sarda rivoluzione» del 1793-96, egli fu sempre difensore. Lo dimostra anche un suo scritto, apparso postumo, che ha suscitato critiche nella storiografia sarda (Vincenzo Sulis e i suoi giudici. Costantino Musio, Cagliari 1879).
Di certo, in quegli anni Musio lasciò un’impronta sia nella riforma dei Consigli civici (1836), sia nei lavori di una delegazione mista (regia ed ecclesiastica) per la disciplina degli ordini regolari. Promosse inoltre la riforma del governo viceregio, sforzandosi di rendere operativo il Congresso periodico dei principali magistrati (il reggente, l’intendente e l’avvocato fiscale) in modo da tenere stabilmente informato il viceré e favorirne l’attività di direzione. Fu tuttavia sulla questione feudale che Musio divenne protagonista assoluto. Su impulso del ministro per gli affari di Sardegna Emanuele Pes di Villamarina (con il primo ufficiale, Ludovico Sauli d’Igliano) e del viceré Montiglio, gli studi preparatori procedettero speditamente, ma nel 1837 l’attività sembrò impantanarsi, bloccata da obiezioni giuridiche e politiche. Ai settori più conservatori sembrava infatti che l’obbligo di rispettare le consuetudini e le istituzioni, contratto dalla monarchia nell’acquisizione del Regnum Sardiniae nel 1718-20, implicasse l’illegittimità dell’abolizione dei feudi per decisione unilaterale del governo; d’altro canto, il progetto di affrancazione dei singoli feudi da parte dei Comuni appariva insostenibile per le loro finanze.
In questo frangente si dovette a Musio l’idea che sbloccò la situazione (lo racconta nella Lettera al Comitato permanente per le ferrovie sarde in Cagliari, Cagliari 1875). Essendo già stata abolita la giurisdizione feudale (1836), attributo della sovranità sicuramente passata ai Savoia nel 1720, e trattandosi solo di affrontare il profilo patrimoniale, egli suggerì di procedere nella forma del riscatto volontario, utilizzando gli studi sulla consistenza e la rendita di ogni feudo e instaurando una trattativa con ciascun titolare per stabilire l’indennizzo: trattative individuali, ma centralizzate dal governo, che avrebbe reperito i fondi emettendo cartelle del debito pubblico e si sarebbe rivalso con le imposte «surrogate alle feudali» sulle terre liberate dai vincoli signorili. Grazie anche a indennizzi generosi, già alla fine degli anni Trenta il processo di riscatto era quasi concluso.
Intanto l’ancor giovane magistrato era stato nominato avvocato generale (1838), mantenendo la carica precedente. Gli anni successivi videro crescere i fermenti intellettuali e l’iniziativa economica, mentre l’azione del governo, quasi pago della soluzione della questione feudale, andò affievolendosi. Ciò favorì le lotte per un riposizionamento delle fazioni, specialmente a Cagliari; palesi le diffidenze di Villamarina, che destituì Montiglio nel 1840 e poi anche Musio, dopo che questi si era opposto al progetto ministeriale di abolizione del Tribunale di commercio (1841). La rimozione fu mascherata dalla nomina a presidente di classe della Reale Udienza (1842), ma restava il fatto di un diminuito ruolo istituzionale e di una decurtazione dei proventi.
I mutamenti politico-istituzionali del 1847-48, con la «fusione perfetta» e lo Statuto, riguardarono direttamente Musio, che fu nominato (novembre 1847) primo consigliere della neonata Corte di cassazione e scelto tra i primi senatori (3 aprile 1848).
Torino non rappresentava per lui un ambiente sconosciuto e tuttavia, almeno inizialmente, il trasferimento fu accolto malvolentieri. Di certo però favorì aperture intellettuali, che si innestarono sulla sua formazione tardo-illuminista e laica aprendo una nuova fase della sua vita. In un lucido opuscolo, in cui sottolineava realisticamente la specificità della Sardegna (I capitali, o il primo passo verso le ricchezze dell’isola di Sardegna, Cagliari 1848), Musio propose una vasta opera di incentivazione degli investimenti e di creazione di infrastrutture, anche con strumenti appositamente dedicati (per esempio, una banca legata al territorio). In un successivo intervento propugnò il rinnovamento della didattica universitaria (con lo studio del diritto pubblico e amministrativo) e la riforma del diritto civile in corrispondenza dell’«incivilimento» presente (Il Popolo, 15 gennaio 1849).
I trasferimenti erano per lui appena agli inizi. Se è vero che nella capitale sembrò radicarsi, tanto da essere eletto consigliere comunale (1853-1857), il seggio senatoriale non era tuttavia incompatibile con l’ufficio della magistratura; e questo lo portò, come presidente capo della corte d’appello, prima a Nizza (1855) e poi, passata questa città alla Francia (pronunciò un intervento contrario in Parlamento l’8 giugno 1860), ad Ancona (1860), ottenendo una sede meno prestigiosa di quella di Bologna, pure disponibile, probabilmente per l’intervento punitivo di Cavour.
L’impegno principale restò tuttavia quello legato al seggio senatoriale, che lo vide schierato sempre all’opposizione. Con evidente passione, prese la parola su molti temi del dibattito civile, unendo non di rado ai discorsi parlamentari la pubblicazione di saggi. Un primo gruppo di interventi riguardò la Sardegna (sulle contribuzioni, sulle ferrovie, sull’ordine pubblico, sugli ademprivi, sulla ventilata cessione della Sardegna alla Francia ecc.). Si tratta di tematiche afferenti, in sostanza, alla gestione della terra dopo la ‘liberazione’ dai pesi feudali; e infatti l’intervento più noto è quello sugli ademprivi (Sul progetto di legge abolitiva degli ademprivi in Sardegna, due edizioni, Cagliari e Nizza, entrambe 1859). Contro il progetto di legge governativo, ma anche contro la tendenza individualistica dominante, Musio sostenne che le terre ademprivili non potevano essere privatizzate, né essere oggetto di disposizione legislativa, essendo indisponibili perché deputate al soddisfacimento di bisogni essenziali delle popolazioni. Su questi temi si trovò in sintonia con Giorgio Asproni, col quale proseguì una collaborazione intrecciata dal 1848, e con Carlo Cattaneo, con cui intrattenne la corrispondenza che è stata pubblicata (C. Cattaneo, Della Sardegna antica e moderna, a cura di A. Trova, Nuoro 2010).
Un secondo, consistente, filone di interventi riguardò tematiche pubblicistiche – l’equilibrio tra i poteri, la magistratura e l’ordinamento giudiziario, la responsabilità ministeriale – affrontate con posizioni di fermo costituzionalismo. Facendo leva sul principio della divisione dei poteri, Musio sosteneva che l’esecutivo non poteva arrogarsi prerogative non strettamente previste dallo Statuto, nemmeno invocando la necessità o l’urgenza. Così, nella discussione del 1859 sui pieni poteri, affermò che una revisione degli equilibri tra Parlamento e governo non poteva essere stabilita con legge ordinaria, essendo materia riservata al potere costituente. Per quanto riguarda la magistratura, come corollario della separazione dei poteri ne sostenne l’indipendenza e in particolare, in un progetto di riforma da lui stilato, per la figura del pubblico ministero prospettò l’appartenza all’ordine giudiziario ma con una posizione di parità rispetto alla difesa (Di una novella legge organica dell’ordine giudiziario, Firenze 1868). Al vertice dell’ordine giudiziario poneva la Cassazione, che, nelle sue posizioni ultime, avrebbe dovuto essere organo di merito, e precisamente di terza istanza, e non corte di legittimità (Sulla Cassazione come unica suprema magistratura in Italia, ibid. 1872).
Prese parte anche al dibattito sulla questione romana e sui rapporti tra Stato e Chiesa. Coerentemente laico, sostenitore della tesi che l’impegno del 1864 di non attaccare il papa non fosse né giuridicamente vincolante, né politicamente opportuno, criticò il principio «libera Chiesa in libero Stato» in quanto utilizzabile per ammettere funzioni temporali della prima; a suo parere era preferibile la formula «alle cose sacre la Chiesa, alle terrene lo Stato» (Della questione di Roma e della relativa Convenzione 15 settembre 1864 e Sulle scomuniche. Note storico-critiche, entrambi ibid. 1870).
Negli ultimi anni, a Roma, ormai malato, Musio diradò le presenze alle sedute del Senato (talvolta gli interventi erano letti in aula da un collega), pur mantenendo l’impegno civile.
Si segnalano, nel 1875, la rinnovata presa di posizione contro la pena di morte, già espressa nel dibattito del 1865 sull’estensione della codificazione penale alla Toscana, e lo schizzo per una nuova storia della Sardegna, fuori dell’ufficialità governativa (gli strali erano diretti contro l’opera di Giuseppe Manno): una storia da scrivere sulla scorta dei documenti e sulla base di un’interpretazione libera da pregiudizi e ispirata ai principi dell’incivilimento (nel testamento lasciò la somma di 10.000 lire come premio all’autore di un’opera siffatta: v. Il Movimentosardo, 5 e 14 febbraio 1876, anche con la pubblicazione di parte del testamento; già prima l’argomento era stato affrontato in Lettera del senatore Musio in risposta all’invito dei promotori del giornale La Rivista, Cagliari 1874, p. 14).
Morì a Roma il 23 gennaio 1876 e fu sepolto al Verano. Chiese i conforti religiosi, che gli furono somministrati nonostante rifiutasse di ritrattare le posizioni critiche sulla Chiesa.