di LUCIA BECCHERE
“Un sognatore che ha portato la rivoluzione industriale tra l’800 e il 900 in un paese di 4mila abitanti. Aveva viaggiato in Italia e in Europa, visitato i più moderni pastifici per scoprire i segreti dei maestri pastai”. Così Antonio Rojch conduttore della serata alla biblioteca Satta nel ricordo di Franceschino Guiso Gallisai che nel 1991 a Nuoro aveva inaugurato un moderno mulino a vapore, distribuendo in quell’occasione centinaia di chili di farina e di pasta ai poveri. Nel suo pastificio lavoravano 500 dipendenti che fino al giorno prima facevano i servi pastori. “Il mulino rappresenta l’unico esempio di architettura industriale da salvaguardare, oggi chiediamo che non venga snaturato – conclude il giornalista -, ma diventi un museo che raccolga la storia di questo industriale che ha cambiato il volto della Barbagia”.
“Era la madre Antonietta – ricorda Luigi Guiso, ricercatore dell’Istituto Einaudi -, a spingere il figlio ad occuparsi di industria e non di affari di famiglia. Dotata di straordinaria empatia, dote fondamentale per capire i bisogni dell’acquirente per poter ingrandire un’impresa. Franceschino prese rischi mettendoci molta fatica, affascinato dal vapore, dall’energia elettrica mise in piedi una struttura imprenditoriale moderna e diversificata per produrre e vendere, dove vigeva la parità di genere con un coinvolgimento dei lavoratori”.
“Di veri alveari dei Guiso Gallisai –parla Attilio Mastino già Rettore dell’Università di Sassari-. Api operaie utilizzate nell’attività del Mulino, dell’estrazione del talco, della produzione dell’energia elettrica e dell’agricoltura per costruire una città diversa. Ha studiato all’istituto tecnico professionale di Sassari prosegue Mastino – e nel leggere il libro a me sembra di vedere 1500 persone che lavorano per costruire una città diversa”. Cita i Canti barbaricini di Sebastiano Satta e fa riferimento alla poesia Le api ma gli sovviene anche Virgilio quando ricorda i costruttori di Cartagine che si affaccendavano come migliaia di api. “Questo mulino – aggiunge -, visto bruciare nel 1991 e poi di nuovo 2 anni fa, racconta come la famiglia abbia avuto lo sguardo lungo. Credo Nuoro sia nata città nel momento in cui Franceschino è diventato cavaliere del lavoro nel 1913 diventando poi Provincia nel 1927. Una città che cresce con molte contraddizioni, con situazioni differenti. Non solo la Nuoro letteraria, occorre pensare anche alla Nuoro industriale fine 800 e primi 900. Una città che forse non è mai stata quella che abbiamo pensato, forse non è mai esistita una Nuoro ripiegata su se stessa, chiusa e quasi isolata nel tempo e nello spazio, Brigaglia parlava di una paesanità non paesana di molti intellettuali nuoresi immersi in un mondo di iscopiles dove vivono una vita turbolenta e pure aristocraticamente borghese, ora la microstoria di questo paese si svolge anche guardando l’attività di questo barone Franceschino, con uno sguardo rivolto verso un mondo nuovo col desiderio di migliorare la propria gente”.
“Mi sono accostato a questa figura con grande rispetto e attenzione. -, confessa Giancarlo Buratti -, lo scultore di Pietrasanta e autore della statua di don Franceschino collocata in Piazza San Giovanni, Ho dato all’opera una postura elegante e decisa, lo sguardo proiettato lontano verso il futuro. Sono figlio d’arte, mio padre Urbano il mio primo grande maestro, dal 39 al 45 è stato chiamato alle armi a Cagliari dove ha frequentato per 2 anni lo studio di Francesco Ciusa. Esperienza che lo ha segnato profondamente e, poiché a me ha trasmesso i suoi insegnamenti, posso dire che in quella statua c’è anche un po’ di Francesco Ciusa”.
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