LA NECESSITA’ DI UNA TRANSIZIONE ECOLOGICA EQUA E PROPORZIONATA, CONDANNANDO L’ASSALTO EOLICO ALLA SARDEGNA: LA POSIZIONE DEI CIRCOLI SARDI DEGLI EMIGRATI

È notizia ormai costante l’assalto energetico, in particolare eolico, cha va consumandosi in questi mesi in Sardegna, le cui dimensioni e caratteristiche sono fonte di preoccupazione per i sardi e per chiunque ami la Sardegna.

È chiara la necessità di portare avanti la transizione ecologica – alla quale non è intenzione del popolo sardo sottrarsi – tuttavia la decarbonizzazione non può fungere da pretesto per rendere il territorio sardo, per l’ennesima volta nella sua storia, una terra di conquista.

Quello a cui stiamo assistendo è infatti un proliferare incontrollato di progetti e richieste sovradimensionato, slegato dalle esigenze dei territori e delle comunità che li abitano, incurante della tutela del paesaggio e dell’ambiente, e non rispondente ad un criterio di equità.

Sappiamo che ad oggi la Sardegna necessita di circa 2 GW di potenza installata per soddisfare il proprio fabbisogno di energia elettrica ed esporta già il 40,8% della propria produzione. Secondo i dati ufficiali forniti da TERNA attualmente sono state presentate richieste di concessioni nell’isola per ben 809 nuovi parchi, con una potenza complessiva di 58 GW, ossia per una potenza 30 volte superiore a quella che servirebbe per garantire il fabbisogno elettrico della Sardegna.

Lo Stato Italiano ha inoltre fissato per la Sardegna l’obiettivo di ulteriori 6,2 GW di potenza installata minima da fonti rinnovabili entro il 2030. Questo significa che alla Sardegna è stato imposto un tetto minimo di potenza installata da rinnovabile superiore a tre volte la potenza che le servirebbe per garantire il proprio fabbisogno energetico elettrico, senza che peraltro risulti fissato alcun tetto massimo.

Oltre alle dimensioni del fenomeno, preoccupano anche le sue caratteristiche: gli impianti eolici di cui si dibatte prevedono l’installazione di aereogeneratori la cui altezza varia dai 135 ai 280 metri, spesso in assenza di studi, analisi o report preventivi sugli impatti ambientali e di ogni attenzione per il paesaggio e il contesto in cui si prevede la realizzazione degli impianti stessi.

Emblematici a questo proposito risultano i progetti presentati per l’installazione di un impianto mega-eolico a ridosso della reggia nuragica di Barumini, così come della Basilica di Saccargia, ma anche il progetto per una centrale eolica off shore al largo dell’Isola di San Pietro, senza alcuna verifica dell’interferenza con le rotte migratorie dell’avifauna selvatica e della fauna marina.

A questo si aggiungano le ulteriori conseguenze dell’intervento delle multinazionali della energia, di natura economica, che sono tutt’altro che trascurabili: tutta l’energia prodotta – che allo stato non potrebbe né essere consumata in loco, né stoccata, né trasferita – verrebbe comunque pagata ai produttori dal gestore unico della rete, e quindi in ultima analisi dai contribuenti, salvo che vengano predisposte reti di trasporto, ancora una volta con costi economici ed ambientali a carico della collettività.

La realizzazione degli impianti risulta inoltre imposta coattivamente alle popolazioni locali, attraverso un ricorso sistematico all’esproprio per pubblica utilità dei fondi idonei alla realizzazione degli impianti rinnovabili. La normativa consente, infatti, il ricorso da parte di privati – spesso società di recentissima costituzione collegate a multinazionali dell’energia – all’esproprio per pubblica utilità dei fondi sui quali installare gli impianti rinnovabili, che possono quindi essere sottratti autoritativamente ai loro legittimi proprietari per la realizzazione di interessi economici di altri privati, senza alcun beneficio per le comunità locali.

Esistono alternative percorribili e condivisibili perché eque ed economicamente vantaggiose sia per le comunità locali che per lo Stato: la direttiva europea RED II (Renewable Energy Directive II), recepita  dallo Stato italiano, prevede infatti la possibilità di creare comunità energetiche da energia rinnovabile.

La costituzione di comunità energetiche da energia rinnovabile, a cui possono partecipare le amministrazioni pubbliche, le PMI ed i cittadini, consentirebbe di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza energetica delle comunità locali, e al contempo contrastare lo spopolamento dei piccoli comuni, offrendo un modello alternativo a quello delle multinazionali, destinato – visti i presupposti – ad essere troppo simile a quello già visto per l’energia fossile e nucleare.

Il PNRR ha stanziato ben 2,2 miliardi di Euro per la costituzione di comunità energetiche da energia rinnovabile nei piccoli comuni al di sotto ai 5.000 abitanti (la maggior parte dei 377 comuni della Sardegna), tuttavia la mancanza di una informazione puntuale ai cittadini, associata a procedure amministrative complesse, nonché la cronica carenza di personale tecnico a disposizione dalla pubblica amministrazione, sembrano piuttosto disincentivare la creazione di tali comunità. A questo proposito, sarebbe auspicabile in questi 18 mesi di moratoria tracciare una strada verso lo sviluppo sostenibile dell’Isola, che preveda un supporto tecnico alle comunità locali, anche attraverso il coinvolgimento delle Università, per la realizzazione e la messa in attività di comunità energetiche da energia rinovabile.

Si ritiene, in sintesi, che gli impianti rinnovabili costituiscano una importantissima risorsa per la decarbonizzazione, tuttavia è necessario che si tengano in debita considerazione:

la necessità di una ripartizione proporzionale tra regioni, senza dimenticare che il territorio sardo è già gravato dal peso del 65% delle servitù militari dello stato e dalla presenza di insediamenti industriali che la rendono la seconda regione italiana per aree SIN da sottoporre a bonifica;

la tutela del paesaggio, dell’ambiente e dei beni identitari, che si ritiene possa essere garantita dall’individuazione accorta delle aree da destinare all’installazione degli impianti ad opera della Regione Sardegna, di intesa con le comunità locali;

il diritto all’autodeterminazione del popolo sardo tutto e delle comunità locali, che devono essere attori ed attrici dei processi di trasformazione del proprio territorio e tracciare le linee di un futuro più sostenibile, come già avviene con gli esempi virtuosi di comunità energetiche attive.

Le argomentazioni sopra esposte, discusse – tra le altre – in occasione dell’incontro informativo dal titolo “Quale via per la transizione ecologica?” tenutosi in data 2 agosto 2024 nell’ambito del laboratorio “Distanti ma uniti. Casa Sardegna online”, al quale hanno preso parte rappresentanti dei Comitati e delle amministrazioni locali, costituiscono il fulcro del dibattito, a cui la comunità sarda fuori dalla Sardegna intende portare il suo contributo affinché si individui una via sostenibile, partecipata e condivisa per la transizione ecologica della Sardegna.

I componenti l’emigrazione sarda, firmatari del presente documento, ribadendo la propria posizione circa la necessità di una transizione ecologica equa e proporzionata, di cui le comunità sarde siano protagoniste e autrici, esprimono quindi la propria ferma condanna all’assalto eolico alla Sardegna attualmente in corso e ad ogni forma di predazione e colonialismo energetico, nonché la propria piena solidarietà ai comitati ed alle amministrazioni, locali e regionale, che ogni giorno si impegnano per la tutela del territorio sardo ed al contempo si impegnano a portare avanti una discussione costruttiva volta a tracciare una via alternativa di sviluppo sostenibile.

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Un commento

  1. Dobbiamo lottare con tutte le nostre forze…

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