La zona industriale di Portovesme vista da Calasetta – Sulcis
di LISA FERRELI
Nell’episodio finale de Il cammino del Sulcis, la serie di inchieste di Slow News sulle sfide della giusta transizione energetica del Sulcis Iglesiente, una serie di dati chiarisce in numeri l’entità dei danni ambientali di Portoscuso. Nel comune sulcitano ha infatti sede la Portovesme srl, azienda produttrice di piombo zinco gestita dal gruppo Glencore nel Sulcis Iglesiente, sede “dell’ultimo capitolo del dramma occupazionale del Sulcis Iglesiente” che, come riportato dalla serie di Slow News, “oggi si trova al centro di una tempesta perfetta” riassunta nel filone di inchieste del giornalista Matteo Scannavini.
“La pandemia, l’inflazione e la crisi energetica, ancor più dannosa per l’industria energivora locale, si sono aggiunte a un decennio da migliaia di perdite di posti di lavoro dovute allo stop della filiera dell’alluminio e dell’attività estrattiva delle miniere carbonifere. Inoltre, l’abbandono definitivo del carbone, previsto a fine 2025 dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, porterà presto alla chiusura della centrale termoelettrica Enel Grazia Deledda (Portovesme), con perdite stimate tra 400 a 1200 posti di lavoro in meno tra diretti e indotto“. Alle problematiche sociali ed economiche, si sommano quindi anche quelle ambientali: sotto le industrie di Portoscuso infatti, i metalli pesanti superano di migliaia di volte i limiti di legge.
“Il cadmio è un metallo pesante, tossico per l’uomo anche in piccole dosi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, è causa di cancro ai polmoni e danni ai reni e alle ossa. La soglia legale di cadmio per le acque sotterranee è di 5 microgrammi per litro (μg/l): nelle falde sotto gli impianti dell’ex Alcoa di Portoscuso, la concentrazione è 120mila μg/l, 24mila volte superiore al limite di legge. Anche nei suoli del comune il cadmio supera i limiti, di 14 volte. Discorso simile per lo zinco (31 volte superiore ai limiti) e il piombo (13). Nelle falde urbane invece, c’è mercurio in quantità fino a 3 volte e mezzo la soglia di legge”, si legge nell’inchiesta.
Portovesme, foto di Matteo Bersantini
La situazione ambientale di Portoscuso è nota ma quantificare la gravità non è stato immediato. “Negli ultimi 10 anni rispondere con dati aggiornati non era possibile: Arpas svolge i monitoraggi ambientali ogni anno ma non pubblicava i report sul Sulcis dal 2014. Oggi, in seguito a una richiesta di accesso civico ai dati di Slow News ad Arpas, possiamo raccontare i numeri di un disastro ambientale che persiste. Per porvi rimedio, il Just Transition Fund ha stanziato 80 milioni per le bonifiche nel Sulcis – Iglesiente, ma i risultati dei bandi per assegnare questi fondi non sono ancora stati pubblicati e a Portoscuso c’è pessimismo sul fatto che il territorio possa finalmente ricevere dei soldi per risolvere questa crisi”.
I metalli pesanti viaggiano nelle acque sotterranee, mentre sopra il terreno il trasporto aereo li sparge a chilometri di distanza
Dalle mappe e grafici condivisi da Slow news, emerge come le contaminazioni delle falde del distretto industriale di Portovesme “sono spaventose: l’eccesso più alto registrato è il cadmio sotto l’ex Alcoa (i.s. 24mila), che ha anche il record di manganese (i.s. 1.820). Il cadmio abbonda pure sotto la Portovesme srl (i.s. 1.158), dove si registra il picco di mercurio, oltre 1.700 volte la soglia legale. Le acque dell’Enel sono ricche di alluminio (i.s. sopra 16mila), mentre l’Eurallumina ha contaminazioni più “contenute” degli altri impianti, ma primeggia per concentrazione di arsenico, con oltre 1.100 μg/l, il limite è 10μg/l. Presenti anche eccessi per ammonio, antimonio, berillio, boro, cobalto, cromo, fluoruri, piombo, selenio, solfati e tallio”.
La contaminazione però non è circoscritta alle zone industriali. “I metalli pesanti viaggiano nelle acque sotterranee, mentre sopra il terreno il trasporto aereo li sparge a chilometri di distanza. Eccessi di cadmio, per esempio, si trovano nei suoli dei comuni confinanti con Portoscuso: Carbonia, Gonnesa e San Giovanni Suergiu”. «Questi dati sono un segnale che dimostra che non è stato fatto niente per evitare che la gente, gli alimenti e le acque vengano a contatto con questi contaminanti», commenta nell’inchiesta Sardegna Pulita. Gli ordini di grandezza delle contaminazioni sono infatti in linea con quelli di 10 anni fa. «La differenza sono i morti che ogni settimana vediamo a Portoscuso per malattie tumorali».
“L’eccesso di mortalità nel Sulcis, in particolare per malattie respiratorie, è stato più volte documentato dall’Istituto superiore di sanità e dall’ISDE. Ma non c’è ad oggi uno studio epidemiologico sulla popolazione per capire quante persone abbiano metalli pesanti nel proprio organismo. Un fatto pressoché certo per i cittadini che ancora mangiano i prodotti della terra di Portoscuso: stando al sindaco, l’ordinanza comunale del 2014 che, a causa dell’inquinamento, vietava la vendita di prodotti ortofrutticoli coltivati nel Comune è stata revocata dopo un nuovo controllo dell’ASL. Ci sono però diversi dubbi in merito, a partire dal fatto che il documento di revoca non è pubblico”.
Infine, il monitoraggio Arpas è incompleto anche perché, come fa notare Sardegna Pulita, “nei dati manca il controllo dei PFAS, dei composti chimici usati per attività industriali molto tossici e molto resistenti alla degradazione ambientale. L’Alcoa di Portoscuso è stata indicata tra i siti di presunta contaminazione da PFAS dal Forever Pollution Project, un’inchiesta internazionale di Le Monde. L’unico accertamento in questo senso è documentato da un rapporto ISPRA del 2018, che riscontrò PFAS in due punti delle acque sotterranee e superficiali del comune. Da allora però, a Portoscuso non sono state più condotte indagini su questi pericolosi contaminanti”.
Ulteriore tema posto nell’inchiesta riguarda la responsabilità dell’inquinamento. “Il Sulcis è un Sito d’interesse Nazionale per le Bonifiche (SIN) da oltre vent’anni. Come si vede dai dati, le cose non stanno andando benissimo. Le (poche) informazioni sullo stato dell’arte delle bonifiche si trovano nell’ultimo report sul portale SIN del Ministero dell’Ambiente, datato dicembre 2023. Nella mappa, il comune di Portoscuso (in arancione a sinistra) è indicato come “area potenzialmente contaminata”, che vuol dire che nessun intervento di bonifica è già deciso e garantito“.
“Intanto, il sindaco di Portoscuso Ignazio Atzori valuta di riproporre al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’avvio di una procedura per danno ambientale per determinare le responsabilità delle industrie locali nell’inquinamento. Ci aveva già provato nel 2006 ma non se ne fece nulla: dopo 15 anni e vari solleciti, la risposta del Ministero e di Ispra fu che l’inquinamento era talmente diffuso da non poter dimostrare il reale «nesso causale» tra il danno e le singole aziende”.
“All’inizio di questa serie, ci eravamo chiesti se, anche grazie al Just Transition Fund, nel Sulcis sarebbe arrivata la rivoluzione. Un anno dopo, non ce n’è ancora traccia”. Quello che la serie di articoli testimonia è una «zona dalla situazione ambientale disastrosa, dove anche tema di assenza del lavoro lascia – in particolare i più giovani – senza prospettive», commenta Matteo Scannavini, autore delle inchieste.
«Abbiamo deciso di occuparci del Sulcis perché zona destinataria di diversi fondi europei per una giusta transizione. Nel Sulcis la situazione occupazionale è complicata e la transizione energetica ancora di più: l’abbandono del carbone avrà un impatto sociale importante date le poche industrie morenti e l’ambiente distrutto. Si tratta di un approccio colonialista alla transizione energetica».
L’inchiesta (integrale su Slow News) racconta un territorio in cui “la rivoluzione” tarda ad arrivare, ma che anche grazie al giornalismo d’inchiesta stesso, oggi conosce i numeri dietro le proprie cicatrici. «Di giornalismo indipendente e lento in Italia ne abbiamo poco perché costa tempo e soldi che non sempre si trovano; questo caso dimostra però come, quando i giornalisti di inchiesta fanno il loro mestiere riescono a coprire i buchi di ciò che dovrebbero fare le istituzioni, ma che non avviene come il caso dei dati non pubblicati per dieci anni», aggiunge Scannavini, che conclude: «Nel nostro piccolo, noi continuiamo a farlo».