UNA VITA INTRECCIATA AI BINARI: ANTONIETTA FALCHI E L’ESISTENZA DI UNA FAMIGLIA TRA I CASELLI 41 E 42 DELLA VECCHIA FERROVIA

C’era una volta il casello numero 42.  Sorgeva a Nuoro su quel tratto del cavalcavia dove oggi via Trieste s’immette nella via Mannironi, lungo i binari della vecchia strada ferrata realizzata in occasione della costruzione della ferrovia a scartamento ridotto che collegava il capoluogo barbaricino alla rete della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, Cagliari-Golfo Aranci. Alla fine ottocento, completata la linea Nuoro-Macomer, nell’odierna Piazza Italia fu costruita la prima stazione detta sa ‘e Marine dal nome del proprietario del terreno e inaugurata il 6 febbraio 1889 con l’accoglienza di una piccola vaporiera. Dopo il 1921, quando le ferrovie Complementari sostituirono le Secondarie, la vecchia stazione fu sottoposta ad un intervento di ristrutturazione volto soprattutto a migliorare la zona viaggiatori e il fabbricato dei servizi igienici. I lavori si protrassero fino al 1937.

Il casello 42, detto anche cantoniera del Sanatorio perché ubicato a due passi dal vecchio nosocomio, era stato assegnato ad Antonio Francesco Falchi, caposquadra in prima della tratta Nuoro-Macomer. A raccontare la storia di quegli anni è Antonietta, quarta dei 5 figli di Antonio e Caterina Marongiu: “Siamo arrivati a Nuoro nel 1952 – ricorda -, provenienti dalla cantoniera n. 13 di Lei, posta in località Carrarzu e in quel casello abbiamo vissuto per cinque anni”.  

Dopo un percorso ripido e tortuoso, i binari imboccavano via Trieste per poi proseguire fino alla stazione de sa ‘e Marine, quel tratto venne in seguito sostituito con l’attuale più lineare e pianeggiante e di conseguenza fu costruita anche la nuova stazione di via Lamarmora. Il casello 42 cessò di esistere nel 1957 quando la ditta Del Piano diede inizio ai lavori di sbancamento lungo il costone che avvallava tra le due vie succitate e su cui insisteva una vigna dei Gallisay. La rimozione di quella enorme massa di terreno aveva determinato un imponente strapiombo prontamente arginato con un poderoso muro di contenimento.

“Per poter realizzare i lavori – prosegue Antonietta, oggi in pensione dalla Direzione delle Poste -, la mia famiglia era stata trasferita nei locali della vecchia stazione e poiché anche quella doveva essere demolita, a mio padre furono offerte le case popolari di Monte Gurtei che rifiutò categoricamente. Poiché il caposquadra doveva sostituire, in caso di assenza, il sorvegliante addetto alla sicurezza del transito sulle rotaie, era d’obbligo garantirgli l’alloggio in cantoniera e per questa ragione gli venne assegnato il casello 41 o cantoniera di monte Dionisi perché situata ai piedi dell’omonimo monte. I caselli venivano numerati in ordine crescente da Macomer a Nuoro e il 41 era il più vicino al centro abitato”.

Nonostante la tragedia vissuta in famiglia nel 1956 a seguito della perdita del fratello maggiore Salvatore, annegato, non ancora diciassettenne, nelle acque di Locula, fiume che scorreva non lontano dalla ferrovia, Antonietta serba un bellissimo ricordo della vita in cantoniera. Ripensa ancora ai giochi chiassosi con tutti i ragazzi di Cudinata, rione che si estendeva dal casello 42 all’attuale chiesa di San Giuseppe, i quali si riversavano numerosi nello spazio antistante alla cantoniera, sicuro e protetto, per giocare a cuba cuba e ai quattro cantoni. Ricorda la mamma Caterina che, al fine di evitare incidenti, puntualmente chiudeva con le catene il passaggio a livello per bloccare l’accesso ai binari di persone, animali e qualsiasi altro mezzo durante il transito della littorina.  

Del casello 41 rammenta l’orto rigoglioso, il verde fogliame del pergolato, le galline, i conigli, i piccioni e la capretta Paquitta ricevuta in dono da un pastore della zona, la copiosa sorgente di acqua potabile e i due vasconi per lavare i panni ad uso esclusivo della famiglia. Mentre le ombre della notte venivano dissipate dalla luce delle candele e delle lampade a petrolio che sopperivano alla mancanza di elettricità.

“Negli ultimi anni – conclude Antonietta -, noi figli, per esigenze lavorative, ci eravamo dotati di una casetta d’appoggio nell’abitato di Nuoro, non molto lontano della cantoniera, ma i nostri genitori avevano continuato a viverci fino al 1972, anno del pensionamento di mio padre”.

Oggi, il casello 41 è chiuso e in evidente stato di abbandono. Custode di vite trascorse e simbolo della nostra ferrovia.

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