L’ULTIMO LIBRO DI GIANFRANCO CAMBOSU “I VIAGGIONI DI REDANO”, UN PERCORSO NEI MEANDRI OSCURI DELLA COSCIENZA

Suggerisce una riflessione attenta, oltre che incuriosire, il nuovo romanzo “I viaggioni di Redano” (Bertoni editore) di Gianfranco Cambosu, a partire dal titolo che si compone del neologismo viaggioni e del nome Redano, non certo comune ai luoghi dove è ambientata la storia.

L’autore spiega come Redano sia l’acronimo di una persona reale molto simile al suo personaggio, la cui identità non può essere svelata per una ragione precisa. Mentre la parola viaggioni sottintende un percorso deformato secondo una percezione non reale che nasce dallo stato di morte apparente di un personaggio in coma, che immagina di compiere un viaggio in una dimensione non fisica ma del tutto mentale.  A riguardo l’autore si è voluto ispirare non solo al saggio del medico Eben Alexander “Milioni di farfalle”. -Il Paradiso esiste. Ci sono stato- che racconta la sua esperienza di pre-morte vissuta nel 2008, ma anche alla divina commedia di Dante.

“Nel mio caso – confessa lo scrittore -, si tratta di una catabasi, una discesa agli inferi. Credo che nessuno abbia mai descritto un viaggio attraverso il coma in maniera così dettagliata come io ho voluto fare. Un’idea alimentata con molta fantasia che trae origine da letture e da esperienze reali di persone che fanno uso di sostanze alcoliche e che identificano il proprio paese in un microcosmo oltre il quale nulla esiste”.

Il romanzo si snoda su due parti: la prima descrittiva e realistica, dove si muove un’umanità un po’ depravata e debosciata su cui l’autore posa lo sguardo da osservatore attento quasi a voler fissare personaggi e avvenimenti in un approccio mimetico e realistico, selezionando dei fotogrammi ben precisi; la seconda invece gioca tutta sull’allegoria con un continuo fluire di simbologie veicolate attraverso cose, persone e situazioni e dove a dominare sono figure estremamente allegoriche, una sorta di Comedie humaine (Balzac). C’è una cerniera che unisce le due parti: l’incidente stradale del protagonista. Volutamente non si capisce bene che cosa sia successo dopo, perché secondo quello che l’autore lascia intendere o vorrebbe s’intendesse, è frutto della visione da comatoso del protagonista che riflette in qualche modo la deformazione tipica di chi talvolta fa uso di alcolici.

Per ben comprendere i messaggi che il testo sottende veicolare, occorre analizzare bene tutte le allegorie, filo conduttore dell’opera che si presenta di non facile lettura e complessa nella sua dimensione filosofica. Un libro tormentato, catartico perché lo stesso autore si è voluto liberare di qualcosa “la narrativa serve anche a questo”. A renderlo difficile e faticoso i continui riferimenti dotti e letterari, che suggeriscono diversi livelli di lettura.

Questo libro è un viaggio nei meandri della coscienza e il mezzo con il quale si compie è il treno.

 “Il treno – dice l’autore -, è una sorta di topos, un luogo, nell’immaginario comune un mezzo che garantisce il viaggio per eccellenza e le tante gallerie simboleggiano i meandri oscuri della coscienza che rimandano a una vicenda grave vissuta realmente di cui il personaggio si era reso responsabile seppur involontariamente durante l’infanzia. Questo genera in lui una sorta di dramma interiore che cerca di rimuovere con l’alcool, ma quel passato doloroso emerge proprio durante il viaggio nel coma”.

 Colui che guida il viaggio nella coscienza non a caso si chiama Virgilio (richiamo a Dante) o Coscienzapoiché tutti i comatosi devono fare i conti con la propria coscienza per poter uscire dal coma.

Il fuoco rappresenta la luce, la ragione che serve a contrastare il buio del coma, l’oscurità dove riaffiorano gli istinti primordiali. “Le suggestioni che mi portano a scrivere queste scene sono tante – dichiara Cambosu -, non solo filosofiche. Forse ha inciso La fucilazione, un quadro del Goya del 1799 dove un plotone di esecuzione di notte spara ad un soldato al buio (chiusura della ragione), rischiarato da una fonte luminosa (spiraglio di luce). Io gioco molto su questi elementi contrastanti”.

Così come il pozzo dove si calano i comatosi, nel testo è inteso come luogo attraverso il quale si passa dalla luce della vita al buio della morte per poi emergere.

Le sedute spiritiche raffigurano un terreno d’incontro tra personaggi che condivideranno una determinata situazione. Volendo l’autore introdurre il discorso vita-morte, quale situazione migliore se non quella della seduta spiritica per rievocare l’anima di un defunto? Le mosche che ronzano rappresentano le anime e i loro tormenti. Altro riferimento letterario alla tragedia greca Le Coefore di Eschilo, ma anche a Les Mouches di Sartre.

La memoria è vita, la vita non ha senso senza la memoria, lontana e presente. C’è un filo conduttore tra memoria, vita e coscienza. Nel testo i comatosi devono recuperare gli ultimi ricordi, quelli che hanno preceduto il coma perché in qualche modo aiutano a sviluppare una coscienza, ma anche quelli lontani contribuiscono a far riaffiorare i più recenti.

 Cosi l’altroverappresenta la ricerca forsennata di quello che non si ha o si è, rappresenta il senso dell’alterità, del diverso, di una dimensione altra dalla propria, la volontà di confrontarsi con un alter ego, con tante sfaccettature di noi stessi.

La speranza è simbolo di vita perché ci aiuta a sentirci vivi. E’ l’ultima spiaggia (richiamo al Foscolo dei Sepolcri). Se la morte annulla la vita, cosa rimane di essa se non i ricordi? La speranza.  La speranza serve a recuperare il legame più autentico con la vita, ma anche con se stessi. La speranza può essere vista da una prospettiva laica, atea e cristiana e Coscienza non dice mai io sono mosso da Dio. L’autore lascia tutto alla libera interpretazione del lettore.

Il tempo. Se nel De brevitate vitae Seneca sostiene che non è importante misurare il tempo dal punto di vista quantitativo ma lo è dal punto di vista qualitativo e Ovidio (Le Metamorfosi) dice il tempo divora, consuma, tempus edax, per l’autore il tempo è prezioso nella dimensione del coma perché bisogna recuperare in fretta la vita.

Il battito di una fonte sonora, che traccia il percorso nel buio per arrivare quanto prima alla vita, costituisce una sorta di filo d’Arianna per arrivare quanto prima alla vita stessa. Una suggestione unica perché in questa allegoria un elemento materiale si fonde con uno sensoriale che è la percezione del cervello.

E ancora il silenzio “è come un panno asciutto su una fronte sudata” scrive Cambosu, metafora resa evocativa con un ossimoro. La scelta del linguaggio è molto importante per l’autore, che possiede una scrittura cinematografica molto suggestiva. La fronte sudata potrebbe essere il rumore e il panno asciutto è lo strumento che eleva il rumore a musica. La fronte sudata evoca qualcosa di brutale, di volgare e il panno asciutto è ciò che contrasta.

La simbologia e l’allegoria del romanzo trovano modo di esistere nei personaggi che nella dimensione comatosa si muovono alla ricerca della coscienza che consenta loro di tornare in vita, come il giardiniere che pota i rami secchi che nell’impianto allegorico rappresentano i pensieri inutili, in modo tale da recuperare il senso della vita e riemergere alla realtà. “L’idea di fondo – afferma Gianfranco Cambosu -, è che il ritorno alla vita deve essere conquistato attraverso un processo non facile di coscienza” (Mito della caverna di Platone), mentre il controllore è una sorta di Caronte. Qui l’autore procede con parallelismi e simmetrie, si richiama perfino alla vicenda dell’ingegner Piercy, che aveva realizzato le prime ferrovie in superficie in Sardegna e ha pensato a una trasposizione in chiave fantasiosa, a fronte di uno che si occupa di ferrovie in superficie, trova collocazione uno che si occupa di ferrovie sotterranee.

La presenza di una suora nel palcoscenico allegorico riconduce alla dimensione religiosa. L’autore la tratteggia non come noi siamo abituati a concepirla ma ci offre una suora con molti dubbi, una suora che in punto di morte e non sapendo se riemergerà alla vita, vuole capire se ha perso qualcosa negandosi ai piaceri della carne.

“L’esigenza di esprimermi con unlinguaggio a volte crudo – spiega Cambosu -, nasce dal voler riprodurre la percezione del reale del personaggio. Una scelta voluta per calarmi in esso e vedere le cose come le vedeva lui. Non riuscirei mai ad essere credibile in ciò che scrivo se non adottassi il suo punto di vista, altrimenti la storia non sarebbe plausibile. Confesso che il mio progetto era quello di suggerire un percorso di redenzione a una persona che aveva voltato le spalle alla vita per rifugiarsi nella sregolatezza”.

Professor Cambosu, chi dovrebbe leggere il suo libro e perché?

“Sicuramente chi pensa che nel coma si possa riporre ancora una speranza perché non tutti i comatosi arrivano a recuperare la vita. Io, invece, ho cercato anche di indirizzare la speranza di chi ha un parente in coma. Il coma è spesso una situazione che si protrae anche per anni, quindi lo dovrebbe leggere sia chi ha una visione cattolica ma anche laica. Il libro lascia tante vie aperte, può anche rappresentare una valvola di sfogo a chi cerca un riscatto. Mi preme dire che mentre nella maggior parte dei precedenti romanzi il tono dominante è stato molto cupo, in questo ho voluto creare qualcosa di diverso. Parlando della morte o della quasi morte, ho voluto anche descrivere delle situazioni sopra le righe per strappare qualche risata al lettore, quindi non c’è un target preciso. Dire che il pubblico ideale sarebbe quello che ama il mistero e le storie fantastiche sarebbe molto riduttivo perché c’è un taglio filosofico, uno artistico e anche religioso. Diciamo che ho messo molta carne al fuoco e governare tutto non è stato un compito facile. Spero di esserci riuscito almeno in parte”.

Gianfranco Cambosu, nato a Nuoro, insegna lettere nel Liceo Scientifico del capoluogo barbaricino. In precedenza ha pubblicato cinque romanzi, per lo più gialli e noir. Finalista di diversi premi letterari e numerosi attestati fra i quali il Premio Tedeschi.

Con I Viaggioni di Redano ha vinto l’ultima edizione del Premio Poesia Trasimeno, sezione inediti.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

6 commenti

  1. Gianfranco Cambosu

    Grazie infinite, Lucia Becchere e Massimiliano Perlato. L’intervista è di ottimo livello e la rivista Tottus in pari è un’ottima vetrina per la Sardegna che esprime cultura e contenuti identitari. Ogni numero si gusta dalla prima all’ultima pagina.

  2. Alessandra Sorcinelli

    Complimenti

  3. Dopo aver letto la recensione di Lucia, la curiosità è diventata interesse!👏👏👏

  4. Congratulazioni 👏👏

  5. 👏👏👏👏👏👏👏👏

  6. Pier Bruno Cosso

    Complimenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *