
di UGO TRANI
Più che il calciatore per la tifoseria del Cagliari, il simbolo per il popolo sardo: questo sarà per sempre Luigi Riva, campione indimenticabile nella storia del nostro calcio. Basta quanto raccontato dal suo primogenito Nicola sull’addio al papà da parte della gente nel momento più triste, nel gennaio scorso, quando non ancora ottantenne si è arreso all’ultimo “infortunio”. Il suo grande cuore, quello che ha battuto forte per la sua Sardegna, ha ceduto. Il figlio più grande (l’altro è Mauro: Gigi li ha avuti dalla compagna Giovanna Tofanari), davanti alla camera ardente, ha raccolto la testimonianza di un altro figlio, quello di una persona che da quattro anni non usciva di casa. Lo ha fatto solo per andare a salutare il mito rossoblù. Gigi Riva è stato il Cagliari perché ha vinto lo storico scudetto del 1970. Ma quella è solo la tappa più prestigiosa della carriera. Pesa di più la scelta di fermarsi sull’isola, da calciatore prima e da cittadino dopo, e di non lasciarla mai più. Eppure non avrebbe mai voluto lasciare casa, la sua Leggiuno sul lago Maggiore, dove ha vissuto l’infanzia tra sofferenze e tormenti. Da ragazzino ha perso prestissimo il papà, la sorellina e la mamma. Lo seguì l’adorata nonna, ma finì subito in collegio. Ne cambiò tre, sempre religiosi. Provò anche a scappare, trattato male e da povero e costretto a pregare per avere da mangiare. A crescerlo la sorella maggiore Fausta che lo convinse ad accettare il Cagliari, anche se sorvolando la Sardegna, avrebbe voluto tornare in fretta indietro.
Il club sardo lo incrociò a Legnano, la sua prima vera squadra: lì il presidente Arrica portava in ritiro i rossoblù che per motivi economici giocavano due partite fuori di fila, risparmiando quindi sul costo dei viaggi. E lì l’allenatore Silvestri scoprì Riva. La trattativa a Roma, allo stadio Flaminio, durante una partita della Nazionale juniores contro la Spagna. Arrica fu svelto, pagandolo 37 milioni di lire. Inutile il rilancio del Bologna che arrivò a offrire 50 milioni. Gigi, invece, ha spinto per andare all’Inter dove giocava il suo idolo Skoglund. L’avventura con il Cagliari, all’epoca in Serie B, cominciò nel 1963. Con i suoi gol i rossoblù conquistarono la promozione. E sempre con le reti di Riva si salvarono l’anno successivo. Gol a raffica, insomma, già a metà degli anni Sessanta. E nel 1967 festeggiò il primo dei tre titoli di capocannoniere in Serie A (anche tre in Coppa Italia), nonostante in quell’anno si fermò per un grave infortunio in Nazionale, frattura del perone contro il Portogallo all’Olimpico: addirittura 18 reti. È già Rombo di Tuono, come lo chiamò nelle sue cronache Gianni Brera. Quando calcia il pallone di sinistro, il rumore del colpo fa spavento. Si prese il palcoscenico nel 1970 vincendo lo scudetto con Scopigno in panchina: da cineteca la rovesciata vincente a Vicenza e la doppietta nella sfida decisiva contro la Juventus per il pari (2-2) al Comunale di Torino. Il 12 aprile il trionfo all’Amsicora, con due giornate d’anticipo, battendo il Bari. Gigi segnò il primo gol.
Riva dà spettacolo in Italia e all’estero. È potente, esclusivamente mancino e straordinario in acrobazia, di testa e di piede. Piace alla Juve, ma rifiuta ingaggi da capogiro. Da Agnelli e dall’Inter di Moratti. L’anno prima di prendersi lo scudetto, è secondo nel Pallone d’Oro alle spalle di Gianni Rivera. Nel 1970, dopo aver cucito sulle maglie rossoblù il tricolore, è ancora protagonista in Nazionale. Con la maglia azzurra ha vinto l’Europeo a Roma nel 1968, segnando la prima delle due reti azzurre nella finale bis contro la Jugoslavia. Due anni dopo in Messico è vicecampione del mondo da protagonista (tre gol), inchinandosi solo al Brasile di Pelé. A casa sua, a Cagliari, c’è ancora la foto con il fuoriclasse del Santos. In quella stagione nuova frattura, affrontando l’Austria. Icona della Sardegna e al tempo stesso testimonial dell’Italia. Nel 1966 fece il turista con Fabbri al Mondiale inglese, evitò la figuraccia contro la Corea: solo “apprendista”, fuori dall’elenco dei 22 convocati. Chiuse la carriera contro l’Argentina nel Mondiale tedesco del 1974. Ma resta ancora oggi il capocannoniere della Nazionale: 35 gol in 42 partite (media 0,83 a match). Quasi impossibile dividere la storia calcistica di Riva, strepitoso attaccante del Cagliari e dell’Italia. La carriera in rossoblù da giocatore è finita nel 1976 – a 32 anni – quando creò la prima scuola calcio sarda dove è cresciuto Barella: fatale un serio guaio muscolare. Inserito nella rosa dell’anno successivo, non scese mai in campo. Dal 1977 il nuovo impegno: vice dell’allenatore Tiddia e due anni dopo dirigente. Poi si dimise, ma tornò. Nel 1985 la carica da presidente, l’anno dopo le dimissioni prima della retrocessione in C: il fallimento evitato con l’incasso della seminale di Coppa Italia contro il Napoli di Maradona. Uscì di scena dopo 24 anni, ma Giulini lo incoronò presidente onorario nel 2019. In azzurro è stato team manager dal 1987 al 2013. Vicecampione del mondo negli States nel 1994, indimenticabile la foto in campo a Pasadena quando va a consolare Baggio dopo il rigore calciato alto nella finale contro il Brasile. Ma c’è anche la foto mentre bacia la coppa a Berlino: l’Italia nel 2006 vince contro la Francia. Anche in Germania i rigori. E in piena Calciopoli – stessa stagione del Mondiale – fu anche vice commissario. Vicecampione d’Europa pure nel 2000 a Rotterdam e nel 2012 a Kiev. A Cagliari ha sempre vissuto da solo. La depressione lo ha costretto a rinunciare al ruolo di dirigente in Nazionale. Le sue passioni da ex calciatore: il tennis e soprattutto il golf. E quel trono, allestito nel suo ristorante preferito in centro a Cagliari: Stella Marina del fidatissimo Giacomo.