L’ARTISTA DIMENTICATA DAI SARDI: LA POLIEDRICA EDINA ALTARA, DISEGNATRICE, ILLUSTRATRICE, CREATRICE DI MODA

Edina Altara

Edina Altara, nasce a Sassari nel 1898, fu un artista autodidatta, poliedrica, abile disegnatrice, sensibile e fantasiosa illustratrice, creatrice di moda.
Anche bella e tenace, non ci penserà due volte nel mandare all’aria il promesso sposo, il marchese Carmelo Manca di Villahermosa Sanjust, per fuggire col noto illustratore piemontese Vittorio Accornero de Testa con operò nel mondo dell’arte per diversi anni.
Edina esordì diciassettenne come ideatrice di una serie di balocchi di cartoncino.
La sua ricerca si inseriva in quel movimento di modernizzazione del primo Novecento che prestava attenzione al modo in cui l’arte può incontrare non solo la produzione industriale, ma anche l’espressività popolare. Nella convinzione che l’antica distinzione fra arti maggiori e arti minori fosse ormai inaccettabile, si affermava l’idea che la creatività riguardasse anche gli oggetti d’uso e che i nuovi sistemi produttivi dovessero armonizzarsi con gli antichi saperi artigianali.
Questa congiunzione era già viva tra le artiste e gli artisti dediti alle arti applicate e al design contemporaneo e toccava in particolare i settori dell’illustrazione e del giocattolo.
In Sardegna, questo rinnovamento conobbe discreta fortuna grazie all’apporto di numerosi animatori, fra i quali Eugenio Tavolara. Il fermento sardo meritò considerazione da parte di intellettuali come Ugo Ojetti e Giò Ponti, ricevendo inoltre l’attenzione di Margherita Sarfatti, prima donna critica d’arte nell’Italia fascista.
Nei primi decenni del secolo questa ricerca annoverava in Sardegna anche numerose donne: furono particolarmente attive Olimpia Melis, le sorelle Coroneo, le sorelle Altara: Edina, Lavinia, Iride.
Fra loro Edina ha lasciato la traccia più importante, segnalandosi per la fedeltà a se stessa e alle proprie scelte. Nel suo documentato studio sulle sorelle Altara, Giuliana Altea nota che Lavinia e Iride:
“approdano all’arte negli anni della maturità, sbocciando in un’aggraziata fioritura tardiva che le porta momentaneamente a deviare da un destino altrimenti tranquillo di spose e madri borghesi; la scelta creativa di Edina è invece una scelta di vita, pagata da ultimo con la solitudine e l’incertezza economica, secondo un copione fin troppo spesso ricorrente nelle biografie delle artiste del Novecento.”
Edina Altara fu sempre interessata a sperimentare. Di famiglia agiata, sviluppò in modo autonomo un notevole senso estetico e una manualità allenata al ritaglio prima ancora che al disegno. Si interessava di antiquariato, ma anche delle nuove tecniche produttive, esercitandosi in mille piccole attività, dal ripristino di oggetti antichi alla creazione di complementi d’arredo, alla decorazione, alla pittura; i suoi materiali erano tessuti, carte colorate, frammenti di vetro con cui componeva scene e figure.
Il suo status di artista le venne riconosciuto prima che compisse vent’anni, con un articolo sulla rivista «Emporium» che la poneva sullo stesso piano di artisti ben più affermati.
Il concittadino Giuseppe Biasi, pittore informato e curioso, aveva avuto modo di apprezzare i manufatti di Edina e la introdusse alla mostra della Società degli Amici dell’Arte di Torino, dove il re Vittorio Emanuele III acquistò una sua opera.
Sebbene le prime recensioni critiche – basandosi sul mito del “primitivo” – presentassero Edina come l’esponente di un’arte “tipicamente” femminile, cioè prevalentemente istintiva e inconsapevole, la giovane artista era piuttosto aggiornata: leggeva diverse pubblicazioni e conosceva l’illustrazione di orientamento liberty.
Nel 1918 si trasferì a Casale Monferrato e iniziò a collaborare con diverse riviste. Nel 1922 giunsero le nozze con Vittorio Accornero de Testa, affermato scrittore, disegnatore e scenografo noto sotto il nome di Ninon. La coppia era molto ricercata in società, conduceva vita agiata e rimase unita fino al 1934; nel frattempo cresceva, a firma di entrambi, la produzione di illustrazioni, gadget pubblicitari e vari lavori di gusto Deco.
In questi lavori Edina realizzava i personaggi e Vittorio Accornero gli ambienti, ma le testimonianze dicono che forse proprio un eccesso di fusionalità minò il sodalizio, terminato intorno al 1935.
Superata una fase di disorientamento, Edina si dedicò a moda, design del tessuto e ceramica. Accantonò il linguaggio per lei limitativo del periodo precedente – basato su una stilizzazione convenzionale e sui colori smaltati richiesti dalla committenza – e si dedicò alla decorazione delle maioliche prodotte da alcune ditte faentine e torinesi; acquisì un tratto leggero e sfumato, con cui dipingeva i bozzetti di figure soprattutto femminili e scene di particolare estro fiabesco, riscontrando considerevole gradimento tra gli acquirenti.
Secondo un modello affermatosi nell’ambito del design, Edina progettava ciò che altri avrebbero poi riprodotto. La collaborazione con le aziende italiane divenne meno stretta durante la guerra, per cui Edina si indusse a utilizzare la tecnica a freddo; l’attività fu sostenuta dalle sorelle, che riportavano i suoi bozzetti sui supporti di ceramica.
L’iniziativa rappresentò un vero esempio di piccola imprenditoria femminile, capace di consentire proventi sicuri in un periodo difficile come quello bellico.
Ma soprattutto fu un modello di collaborazione che assicurò visibilità reciproca, in un panorama – quello italiano – generalmente incapace di supportare il talento delle donne. Proprio come altre artiste prima di loro, le sorelle Altara compresero il valore del sostegno di genere in un percorso di affermazione femminile.
Come stilista Edina collaborò con diverse riviste, mentre l’atelier di moda da lei aperto nel 1934 dovette chiudere a causa della guerra. La collaborazione con la rivista femminile «Bellezza» (la risposta italiana, curata da Giò Ponti, a «Vogue» e «Harper’s Bazaar») le permise di occuparsi anche di arredamento, tanto che negli anni Cinquanta ebbe l’incarico di allestire gli interni di cinque transatlantici, fra cui l’Andrea Doria.
In particolare la pittrice decorò i vetri della sala ristorante con diverse nature morte, costruite con pennellate dense che accordano colori caldi e freddi, secondo uno stile quasi espressionista.
Durante questo periodo si moltiplicavano i riferimenti di Edina al patrimonio storico artistico, con omaggi alle forme di Massimo Campigli e alla mitologia greca. Tuttavia, ormai il dibattito sull’arte aveva ripreso a considerare secondarie le arti applicate, per cui l’attività poliedrica di Edina Altara venne declassata a mera produzione decorativa.
Nella sua lunga carriera Edina Altara ha illustrato una trentina di libri per ragazzi e ha collaborato con numerose riviste e periodici (disegnando illustrazioni di moda, racconti e pubblicità), tra i quali: La Sorgente, In Penombra, Rivista Sarda, Il giornalino della Domenica, Cuor d’oro, La Donna, Giornale dei Balilla, Noi e il mondo, Lidel, Fantasie d’Italia, Scena illustrata, Per voi Signora, Bellezza, Rakam, Grazia, La Lettura, Fili Moda, Sovrana, La Fiaccola, Il Secolo XX.
Negli ultimi anni la pittrice ricevette spesso commissioni per soggetti molto convenzionali, ai quali si adattava suo malgrado pur di lavorare.
Muore a Lanusei l’11 aprile 1983.
Come accade spesso alle artiste donne, dopo la morte il nome di Edina è sembrato quasi scomparire, per poi riaffiorare a distanza di tempo sollevando nuovo interesse nel pubblico: di recente le sono state dedicate diverse retrospettive, che hanno saputo mettere l’accento sulla sua esperienza di imprenditorialità creativa comprendendone le utili ripercussioni per le nuove generazioni.
OPERE
NUORO al museo Museo d’arte della provincia di Nuoro è possibile vedere il collage S’Isposa del 1919, donato dalla Altara al pittore Melkiorre Melis.
OLIENA, al resort Su Gologone è possibile ammirare una ricca collezione di ceramiche (mattonelle e piatti) realizzati dalla Altara tra gli anni trenta e gli anni quaranta.
ROMA, al Quirinale, alla Loggia d’Onore, è esposto il collage del 1916 intitolato “Nella terra degli intrepidi sardi – Jesus salvadelu”, acquistato nel 1917 a Torino da Re Vittorio Emanuele III.

https://www.facebook.com/ainnantis

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *