LA VOCE PORTENTOSA DI ELIANA SANNA: PADRE SARDO, MADRE ARGENTINA E IL VIAGGIO DI OLTRE VENT’ANNI FA GRAZIE ALLA F.A.S.I. DA TUCUMAN A MILANO

Eliana Sanna

Eliana Sanna, babbo e nonni paterni di Ozieri, mamma argentina con nonno libanese, nasce in quel di Tucuman, nord est argentino, una città che supera il mezzo milione di abitanti e la regione è nota per essere “El jardin de la Republica” (produttrice mondiale di limoni), attirando anche per questo, all’inizio del XX secolo, un gran numero di immigrati, spagnoli, italiani, francesi e anche libanesi. Sardi anche, tanto che la comunità che la abita, e i suoi discendenti, hanno pensato bene di fondare uno di quei circoli che tengono in gran spolvero tradizioni e modo di vita dell’isola, che i primi di loro dovettero lasciare in cerca di lavoro, serbandone sempre un ricordo che, mischiatosi con il vissuto della loro giovinezza, la fa sognare loro ancora più bella e fantastica di quanto non sia in realtà. Per quanto mi riguarda, il mio padrino di battesimo, Arturo Pusceddu, emigrò da Guspini in Argentina ai tempi di Peron e quando rientrò in Italia di lui me ne parlò sempre bene, molto a suo dire “aveva fatto per la povera gente”. Leggenda vuole che in occasione della visita di dirigenti della FASI, Tonino Mulas allora presidente, Eliana che già cantava nei cori della sua città, si esibisse in una “Non piangere Argentina” che lasciò tutti i presenti di sasso, tanto l’interpretazione fu bella e commovente, da convincerli che valeva la pena di darsi da fare per farle ottenere una borsa di studio, che le permettesse di affinare quelle qualità canore che, in nuce, già possedeva.

Era il 2003 e Eliana se ne venne a Milano per studiare canto lirico alla “Civica scuola di Musica Claudio Abbado”. Mai avrebbe pensato di non rientrare in Argentina, una volta ottenuto il diploma, ma la musica, il canto che andava sempre più affinando, le giocarono un brutto scherzo, la resero consapevole d’essere diventata “cittadina del mondo”, e tutto il mondo divenne palcoscenico per esibirsi e cantare. “La musica è una parte vitale di me, è il motore che aiuta che tutto funzioni, è rimedio per i momenti difficili, come un buon vino per brindare quando si ha da festeggiare. Con la musica lavoro, mi diverto, conosco gente nuova, mi fa rincontrare vecchie amicizie, piango, rido, ballo, mi appassiono. La musica è vita, quando ho la possibilità di farla e anche quando ho la possibilità di ascoltarla”. “Los che me conocen me definen come una cantante versatil”, (a Julieta B. Mollo, su buenosaires.italiani.it ) e davvero canta di tutto, è stata persino la voce rock di un paio di gruppi metal, un mezzosoprano che ama esibirsi in aree di musica lirica, ma anche in canzoni cosiddette leggere, specie quelle scritte da compositori di lingua spagnola.

A Milano si è esibita al Dal verme, al Castello Sforzesco, collabora sempre come solista con vari importanti cori milanesi, segnatamente col Coro degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala, ha solcato i palchi di numerosi teatri europei, dall’Austria all’Ungheria, dalla Francia all’Olanda e alla Svizzera, in Repubblica Ceca ha cantato in un concerto col suo primo gruppo “metal”, e in Corea del Sud per il “Word Music Festival”, tenendo un concerto di solo musica argentina, assieme a un pianista di Buenos Aires molto noto anche in Italia: Hernan Fassa. In Argentina nel 2018 ha portato il progetto che replica, al milanese “Teatro Blu” di via Cagliero, col gruppo ( allora ridotto) dei “Taifa”, ma con loro c’era anche Giacomo Serreli in qualità di musicologo, in terra argentina era presentato come: “Canto social de mujeres entro dos mundos”, al teatro milanese, con titolo provocatorio: “E Basta con gli Inti Illimani!”, in realtà un omaggio a tre grandissime del canto vocale internazionale: Maria Carta, Violeta Parra e Mercedes Sosa. Per i Taifa dire “basta con gli Inti Illimani”, è una bestemmia che non possono permettersi di pronunciare, sarebbe come tagliarsi una gamba prima di tentare la maratona di New York. Loro con gli “Inti” ci sono nati, è sentendoli cantare che hanno avuto dapprima la volontà di imitarli, di riproporre il loro repertorio. In seguito sono riusciti a accompagnarli in alcuni dei concerti che per anni hanno portato nelle piazze italiane. Come è noto qui in Italia decisero di rimanere alla notizia che, nel loro paese,il Cile, un golpe di destra, stava facendo strage dei “sovversivi di sinistra”, dopo che l’esercito aveva espugnato la “Moneda” e in quel frangente era rimasto ucciso il presidente democraticamente eletto Salvador Allende.

Una notizia che sconvolse il mondo intero. Da noi convinse il partito comunista, che allora viaggiava su percentuali di consenso che sfioravano il trenta per cento, che non ci sarebbe mai stata la possibilità di “prendere il potere” per via democratica, Nato e Cia mai lo avrebbero permesso, fu la politica del “compromesso storico”, che contribuì alla radicalizzazione di parte della sinistra estrema, e che degenerò poi nel fenomeno mortifero noto col nome di “brigate rosse”. Centinaia di giovani che “entrarono in clandestinità” e “presero le armi”, sparando e uccidendo magistrati, giornalisti, politici, “traditori del popolo”, sino al delitto più eclatante (che determinò anche la loro sconfitta): l’uccisione di Aldo Moro. I Taifa ripropongono, con la loro musica, le speranze di allora, lo spirito di allora che, a differenza di quello odierno, gonfiava le bandiere che guardavano a sinistra. Qui a Milano aprono loro: due chitarre classiche, due chitarrine, flauti di tutti tipi, un contrabbasso e una batteria con un tamburo “importante”: il leader Stefano Cirino Oggianu, chitarrista, musicologo, compositore, esordisce così: “mamma silanesa, babbo oronesu, io ho comprato casa a Irgoli. E allora via al “Canto al Programma” del 1970, quel “programma” che fece vincere, orrore, la presidenza a un “socialista” in Cile, cortile di casa degli USA (dottrina Monroe, funziona benissimo tuttora): “…Porque esta vez no se trata,/ de cambiare un presidente/ sera’ il pueblo che construja/ un Chile bien diferente”…e voilà, io e cento altri presenti in sala ringiovaniamo di cinquant’anni! In seguito una canzone di Victor Jara: “La Partida”, la partenza, dall’album “Il diritto di vivere in pace” che l’artista aveva pubblicato nel ‘71, canzoni contro la guerra, il Fascismo (e Henry Kissinger, segretario di stato di Nixon) non approvano: Jara con molti altri “rossi” rinchiuso dai golpisti nello stadio di Santiago e successivamente ucciso. Eppure, cantano i “Tifa”: “…Venceremos, venceremos, mil cadenas habra’ que romper, venceremos, venceremos, la miseria sabremos vencer”.

Mille catene bisognerà rompere, ma alla fine vinceremo noi. Tocca a Eliana: “Un onore per noi, dice Stefano Cirino, perché questa ragazza possiede un grande talento”. Che subito esibisce con “Chacarena de la tierra”, del nord Argentina, che si balla due a due ma senza toccarsi. Poi due canzoni per Violeta Parra, in castigliano naturalmente: cilena di san Fabian de Alico, terza dei dieci figli che Clarisa e Nicanor (lui professore di musica) misero al mondo nel paesino che viveva di povera agricoltura. “El amor in un poema” e “Canto per un seme”. Per Violeta che, da piccola, con le sorelle andava a lavare i piatti dei “ristoranti”e a fare le pulizie alle tombe del cimitero. Le musiche sono di Luis Advis, i testi tratti da poesie di Violeta (ma il grande poeta della famiglia Parra è Nicanor, il fratello maggiore. Uno che viene oggi paragonato a Pablo Neruda, anche se lui scrive delle “antipoesie”). Di Maria Carta, un sardo pronunciato perfettamente: “ A fizu meu su coro”, una mamma che piange il figlio morto ammazzato “da uomini che non provano rimorso a rubare una vita” (chi non an dolu de furare sa vida), che chiude con una ninna nanna triste triste: “…a fizu meu, su coro,/ deu ti cherzu dromire/cun su sole in sas venas/ e ‘i su entu ‘e sa vida// Ninna nanna a ninnare,/ ninna nanna, tesoro,/ dromi, fizu ‘e su coro/ dromi, fizu, a ninnia”. Basta la chitarra di Stefano Cirino per accompagnare un canto che Maria Carta portò nei palcoscenici del mondo. E ancora la medesima chitarra ( e un po’ di contrabbasso) è per “Gracias a la vida”, la canzone di scrittura e musica di Violeta Parra, una delle canzoni latino-americane più famose nella storia, la fine è cantata da tutto il gruppo. Quella vida che mi ha dato il riso, mi ha dato il pianto, le due materie che formano il mio canto. Eppure alla fine, tutto cambia: “Todo cambia”, che è stata portata al successo mondiale dall’argentina Mercedes Sosa, ma è del cileno Julio Numhauser: “…cambia il modo de pensar/ cambia todo in este mundo/ cambia todo cambia, cambia todo cambia…”. Anche questo, dice Eliana, è un inno all’esilio. Ma canzoni in italiano? Ancora una di Maria Carta: “Il padrone del carbone e la moglie del minatore”, dal suo album “Vi canto una storia assai vera” del 1976. Si chiude in gran sfoggio di canti corali a grande orchestrazione, col tamburo che si prende la rivincita su chitarre e chitarrine: una “Bella ciao” indimenticabile che canta mezzo pubblico, ancora “El pueblo unido che jamas sarà vencido”, sino a “China su fronte, si ses sezzidu pesa!/ Ch’es passende sa Brigata tattaresa,/ Boh! Boh!”. E vogliamo dargli credito quando intercala: “…E fortes che nuraghe/ a s’attenta pro mantener sa paghe”. Il repertorio di Eliana Sanna è pieno di canzoni di pace, certo le usa anche come “musicoterapia”, un lavoro che fa con gli anziani, per i Servizi Sociali del comune di Milano. Una ragazza molto bella dentro questa Eliana, proprio “una chica màs guapa”! E ha una voce che fa invidia agli usignoli.

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3 commenti

  1. Ma grazie!! Che onore!! muchas gracias!! 😊

  2. Marta Ele Caram

    Felicitaciones, una voz bendecida y muy expresiva❤❤❤❤❤❤❤

  3. Maria Olianas

    Eliana Sanna cara , ti ricordo sempre con affetto e ricordo la serata a Bologna. 😘

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