
Franco Stefano Ruiu
di LUCIA BECCHERE
“Provengo da una famiglia umile non acculturata e, poiché a scuola avevo difficoltà ad esprimermi in italiano, venivo deriso dai compagni e dagli insegnanti. Forse per rivalsa ho continuato a parlare e pensare in sardo”. Questo lo sfogo di Franco Stefano Ruiu, nuorese di Santu Predu.
Una sfida questa come tante che hanno costellato la sua esistenza riconsegnando alla vita l’uomo che noi tutti oggi conosciamo. Ha coltivato le sue passioni sperimentando numerosi percorsi: conduttore radiofonico, antropologo, etnografo, fotografo, cantore di su nugoresu e della polifonica Porrino.
Ha realizzato fotografie sui particolari delle maschere tradizionali dei carnevali della Sardegna per alcuni articoli della saggista ricercatrice Dolores Turchi e per alcune copertine della rivista Sardegna Mediterranea dove ha anche contribuito con diversi suoi articoli. Era Dolores ad indicargli i segni che poi avrebbe impresso sulla pellicola per immortalare una cultura che stava scomparendo. Questa esperienza lavorativa gli ha consentito di acquisire competenze adeguate per tenere, da vero pioniere e con grande successo pur senza compenso, numerose conferenze sulle tradizioni popolari presso una sessantina di circoli sardi in continente, proiettando foto e video inediti autoprodotti.
Numerose le sue pubblicazioni: Un’isola in festa, Il racconto del pane, Su contu ‘e su casu, Cosinde isciareu, I riti della settimana santa in Sardegna, Maschere e carnevali in Sardegna. Affascinato dalle tematiche del dramma borghese di Pirandello L’uomo dal fiore in bocca, lo ha tradotto in S’omine chin su frore in bucca, prima esperienza del genere, presentato ben dieci volte in città e provincia da Giovanni Carroni.
La sua ultima fatica, Hotel Supramonte, non è una traduzione ma una trasfigurazione poetica in sardo dell’omonima canzone di de André, musicata e cantata da Piero Atzara. “Un amico di gioventù – afferma Ruiu -, con il quale ho deciso di condividere questo lavoro. Nato a Nuoro nel 1949, dal 1972 vive e lavora a Parigi ma ogni anno ritorna fra la sua gente. Da sempre appassionato di musica, negli anni sessanta suonava la chitarra e cantava nel nostro ciaK “Il Pipistrello”, ha anche curato l’arrangiamento di altri miei pezzi scritti per lui. Per cantare al meglio la mia canzone, oggi sui social, ha ripreso il sardo che aveva sempre nel cuore e del quale aveva perso dimestichezza”.
La sua canzone ha un andamento più lento e più melodico rispetto all’originale. Una ninna nanna, un canto che vuol essere un omaggio alla sua compagna di sventura. Tutto sa di accoramento perché, dopo quella esperienza, lei non potrà essere la stessa persona. Sul solco del verso, la rielaborazione introspettiva lascia intravedere lo sconforto di lui per le sofferenze patite e per le conseguenze del domani.
“Non un messaggio – spiega -, ma una sfida con me stesso per vedere se la nostra lingua era capace di esprimere sentimenti difficili da rappresentare come quelli di de Andrè che certamente non ha eguali, la sua voce e la sua chitarra incantano, nessuno si può misurare con il suo genio”.
“Si bi torras” a s’Hotel Supramonte – prosegue Franco Stefano intessendo un intimo dialogo fra le due figure del testo – vedrai una donna offesa e un uomo accanto che non siamo noi, siamo altri, diversi perché nulla potrà essere più come prima. Da tutta questa esperienza – aggiunge -, oggi ne siamo fuori per miracolo, sembri serena ma la realtà qual è? A te devo “s’addobiu a s’hotel Supramonte”, devo ai tuoi incoraggiamenti tutto quello che faccio”. Una sublimazione della donna, simbolo di forza interiore.
La canzone di Ruiu esprime sentimenti veri, toccanti e spesso difficili da interpretare, racconta un’altra storia fatta di immagini e parole evocative, il sequestro diventa addobio, patindhe e galana vanno a costituire quasi un ossimoro e le lettere raccontavano verità che sottendono bugie. Alla poesia il potere di nobilitare ogni cosa, su padente sprigiona mistero e assurge a luogo d’incanto fino ad identificarsi con la sua donna, “chi si narat che a tibe”. L’amore è inteso come dono perché la mano di lui sarà sempre pronta a sorreggerla, “una die chi non isco soliana /o gàrriga ‘e nues/ e ses galu timende/ damila sa manu”, mentre il refrain “ma ub’est s’amore chi aias/ Ma ub’ est…ub ‘est cuss’amore” evoca l’angoscia esistenziale dell’uomo all’incessante ricerca di risposte ai suoi tanti perché. A prevalere su tutto la speranza “fintzas custu mamentu at a colare e peri s’anneu).
Franco Stefano Ruiu Salamitra, conseguito il diploma di ragioniere ha lavorato come archivista-dattilografo alla Cassa Mutua degli Artigiani a Nuoro, è andato in pensione da direttore dell’Agenzia della Inps di Siniscola.