Giovanni Strinna
di LUCIA BECCHERE
Considerato il fondatore del monachesimo cristiano in occidente, sant’Antonio abate, vissuto nel IV secolo, viene celebrato dalla chiesa cattolica e luterana il 17 gennaio, a lui sono state dedicate molte chiese. La sua biografia tramandata dal discepolo Atanasio vescovo di Alessandria narra le tentazioni e le persecuzioni perpetrate su di lui dal demonio per l’osservanza del Santo alle virtù ascetiche e morali.
La sua fama è legata alla leggenda del fuoco, sottratto all’inferno da Prometeo per farne dono agli uomini con il quale i canonici secolari di sant’Antonio di Vienne, curavano l’ignis sacer, malattia cutanea nota come fuoco di sant’Antonio e da qui l’epiteto sant’Antoni de su focu. Il suo potere taumaturgico contro l’herpes zoster è rimasto nell’immaginario collettivo per via delle capacità terapeutiche. I questuanti che in Sardegna promettevano indulgenze ai benefattori, hanno oltremodo veicolato il culto antoniano benché la globalizzazione e la modernità abbiano comportato mutamenti culturali e una certa mercificazione della festa.
Quando il culto del santo si diffuse nell’isola, la Sardegna faceva parte del regno della Corona d’Aragona, Il clero e la classe dirigente iberici importarono tradizioni, devozioni e usanze che ancora oggi trovano la massima espressione nei falò in onore del santo, allestiti alla vigilia della festa nelle piazze o nel sagrato delle chiese a cui da sempre viene riconosciuta un’enorme funzione socializzante fra le comunità.
A Dorgali, il falò realizzato con frasche e rami di rosmarino (a cui viene attribuito il potere di scacciare il maligno), disposti attorno a un tronco (su pinnone), viene sormontato da una croce di arance quale premio per i giovani capaci di impadronirsene scalando il tronco prima che venga lambita dalle fiamme.
Stesso rito a Olzai e Lodè dove la capanna prende il nome di su pinnettu e su pennettu e in Baronia su barraccu trae origine dal catalano.
A Torpè, sul carro a buoi, con rami e erbe aromatiche vengono realizzate delle navi (naes de frascas) alte circa 8 metri che sfilano dalla periferia fino alla piazza del paese dove ha luogo il falò. Questa rappresentazione richiama la Legenda mirabilis dove si racconta il viaggio dell’eremita su una nuvola dall’Egitto a Barcellona per scacciare i diavoli che la infestavano, uno dei più importanti testi, al pari della Legenda aurea, per la diffusione del culto e delle storie di Sant’Antonio.
Per l’occasione il prete benedice il pane del santo, impastato col miele o con sapa di mosto. I priori o l’obriere del comitato o le donne che si sono occupate della panificazione, compiono tre giri propiziatori attorno al falò recando i canestri con i pani per poi distribuirli ai fedeli.
La credenza sarda, retaggio di quella catalana, attribuiva al pane benedetto, potere terapeutico contro affezioni a uomini e animali, ma anche protezione per l’ovile, la casa, contro gli incendi e l’esondazione dei fiumi.
Anche le strofe (crobas o crobes) dedicate al Santo, sono documentate nelle località della diocesi di Galtellì (Lodè, Irgoli, Nuoro, Mamoiada, Gavoi, Torpè, Siniscola, Orosei).
Di questo e tanto altro parla il libro “Il culto di sant’Antonio abate” di Giovanni Strinna professore di filologia romanza all’Università di Sassari, che grazie a contributi di autori internazionali dedicati alle tradizioni folcloriche in Catalogna e nel sud Italia, ha portato avanti questo lavoro basato sull’analisi storica, letteraria, teatrale, artistica e antropologica in merito a tradizioni culturali, linguistiche e gastronomiche afferenti al culto di sant’Antonio. Uno straordinario patrimonio etnografico ancora oggi oggetto di approfondimento.
“Ho ritenuto di un certo interesse – confessa Strinna -, il ritrovamento in Catalogna di una canzoncina di Sant’Antonio che ancora oggi viene cantata durante le nostre feste: Sant’Antoni andande a amare/ chin- d’una una bella barchitta/chin sonette e campanita/ponete su pische a bolare, a riprova dell’influenza delle comunità di pobladors catalani esercitata per secoli sul tessuto sociale sardo. Da lì è nato il mio desiderio di occuparmi del santo eremita.
La figura di santo eremita – conclude -, è uno straordinario simbolo del cammino umano irto di tentazioni. Mai ci viene offerta una prova superiore alle nostre forze, questo è un sentire comune a tutte le religioni. Questo è quanto ci insegna la storia di Sant’Antonio”.