Alessandra Todde
di VITO BIOLCHINI
Per capire l’enorme pasticcio combinato da Alessandra Todde e dal suo staff con le spese per la campagna elettorale, bisogna leggere il provvedimento emesso lo scorso 20 dicembre (ma notificato il 3 gennaio) dal Collegio di Garanzia della Corte d’Appello di Cagliari, unitamente al rendiconto delle spese elettorali inviato il 23 marzo alla Corte dei Conti dal senatore Ettore Licheri.
Il rendiconto (che il Collegio definisce prudenzialmente “apparente”) viene depositato il 17 giugno, tre mesi dopo la proclamazione di Todde quale presidente della Regione Sardegna.
Il Collegio Regionale di Garanzia Elettorale (presieduto dalla presidente della Corte d’Appello di Cagliari Gemma Cucca, e composto dai consiglieri della Corte Francesco Alterio e Dario De Luca, dai dottori commercialisti Roberta Asuni e Tullio Conti, dal docente dell’Università di Cagliari Riccardo Fercia e, quale componente supplente, dal giudice del Tribunale dei Minorenni Salomè Bene) si riunisce il 12 e il 16 novembre e, seppur a maggioranza, decide che il “candidato alla Presidenza della Regione” non è “sottoposto ad alcun limite di spesa per la propria campagna elettorale in virtù dell’insussistenza di una norma che lo preveda”.
Non è un particolare da poco: il superamento dei limiti massimi consentiti è, insieme alla mancata presentazione di un rendiconto, la condizione che la legge prevede perché si possa arrivare alla decadenza di un presidente eletto. Quindi la questione è chiara: è quel rendiconto “apparente” a suscitare più di un dubbio.
E infatti il 19 novembre il Collegio invia una pec ad Alessandra Todde (notificando poi l’atto a mano tre giorni dopo), elencando sette precise contestazioni. Vediamole assieme.
1 – La dichiarazione di spesa e di rendiconto non sono conformi in quanto i moduli sono firmati solo da Todde e non si capisce se le spese indicate (90.629,68 euro) siano riferite alle spese della candidata presidente o di tutti i candidati del Movimento.
2 – Non risulta essere stato nominato un mandatario (ovvero una persona che, in base a un contratto di mandato, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell’interesse di un mandante), la cui nomina per il Collegio “deve ritenersi obbligatoria per legge”.
3 – Non risulta essere stato aperto un conto corrente dedicato esclusivamente alla raccolta dei fondi elettorali, così come previsto dalla legge.
4 – Non risulta l’asseverazione e la sottoscrizione del rendiconto da parte del mandatario (anche perché, come abbiamo visto, non è stato nominato).
5 – Non essendo stato aperto un conto dedicato, non è stato prodotto un estratto conto ma solo una lista movimenti di un conto corrente Intesa Sanpaolo di Montecitorio.
6 – Dalla lista movimenti bancari non risultano i nomi dei soggetti (persone fisiche o società) che hanno erogato i finanziamenti. Il collegio richiama un finanziamento da trentamila euro del 23 gennaio 2024 erogato (basta vedere il documento presentato da Licheri per conto di Todde alla Corte dei conti) dall’associazione Movimento 5 Stelle. “Ma nella persona di chi?” si chiede il Collegio.
Sia detto per inciso: dei 90 mila euro di spese per la campagna elettorale, 55 mila arrivano dalle casse dal Movimento 5 Stelle e 18 mila (udite udite) del Pd Sardegna. Gli altri diciassette mila euro arrivano da donazioni di singoli cittadini (spesso esponenti politici del Movimento) o da piccole formazioni politiche. Tenete conto di questo particolare perché ci sarà utile per capire il prosieguo della storia.
7 – Non risulta su quale conto corrente siano confluite le somme raccolte via Paypal. Sono quindici donazioni in tutto, per complessivi 910 euro.
Quindi in sintesi, le contestazioni fatte a Todde da Collegio sono essenzialmente due: non hai nominato un mandatario, non hai aperto un conto corrente dedicato.
Come abbiamo visto, le contestazioni vengono inviate via pec poi notificate a mano ad Alessandra Todde il 19 e il 22 novembre. La legge 513 del 93 consente di presentare entro i 15 giorni successivi memorie e documenti. Cosa che la presidente fa, con una memoria inviata via pec il 3 dicembre e depositata a mano il giorno seguente.
Qui però si compie il pasticcio, il patatrac. Qui Todde fa la frittata che rischia di esserle fatale.
Cosa succede infatti? Che, come spiega bene il Collegio, ben lungi da produrre materiale e argomentazioni a chiarimento di quanto già depositato, Todde compie una inversione a U e chiede al Collegio di non tenere conto della documentazione inviata il 17 giugno, quella in cui si certificavano spese per 90 mila euro!
Todde chiede che la memoria del 3 dicembre sostituisca integralmente quella del 17 giugno, “sostitutiva di ogni eventuale dichiarazione e documento alla quale possa essere dato un significato incompatibile con la stessa”. E cosa dice Todde nella memoria del 3 dicembre? Dichiara “sul suo onore di non aver sostenuto spese, assunto obbligazioni né ricevuto contributi e/o servizi, nonché di essersi avvalsa esclusivamente di materiali e mezzi propagandistici predisposti e messi e disposizione del partito o della formazione politica della cui lista ho fatto parte”.
È chiaramente una mossa estrema e disperata per cercare di sanare le contestazioni avanzate dal Collegio, ovvero la mancanza di un mandatario e di un conto corrente dedicato.
E infatti è esattamente quello che ha dichiarato uno degli avvocati di Todde, Stefano Ballero: “Non aveva nominato un mandatario perché aveva deciso di non accettare fondi da nessuno ma di utilizzare quelli messi a disposizione dal Partito democratico e dal Movimento 5 stelle. Peraltro somme rendicontate dagli stessi gruppi politici e inviate regolarmente alla Corte dei conti. Alessandra Todde non aveva necessità di giustificarli. Soprattutto non possono essere contabilizzati due volte”.
La questione dunque è chiara. Todde prima afferma di avere speso 90 mila euro, poi davanti alle contestazioni del Collegio, dice di averne speso solo 73 mila provenienti dal Movimento 5 Stelle e dal Pd. Ma questo per il Collegio “è un mero escamotage per non avere adempiuto all’apertura del conto ed alla nomina di un mandatario che avrebbe dovuto gestirlo”. Difficile dargli torto.
Il Collegio quindi va avanti per la sua strada e afferma che “esaminati gli atti e alla luce del contenuto della normativa, si deve ritenere che quanto indicato nella memoria inviata e depositata dinanzi a questo Collegio (quella del 3 dicembre, ovviamente ndr), non possa affatto sanare quanto contestato”. In pratica, il mandatario non c’è e basta, e neanche il conto corrente dedicato.
Non solo: per il Collegio “il legislatore non consente affatto di sostituire la dichiarazione di cui si parla con una successiva dichiarazione di contenuto contrario, tanto più se questa non solo non risolve il contrasto, ma solleva, anzi, l’ulteriore problema di valutare la corrispondenza al vero delle dichiarazioni medesime inviate alle Pubblica amministrazione”. E infatti “alla luce delle rilevate irregolarità e violazioni delle norme penali inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e delle anomalie rilevate” il Collegio ha mandato tutto alla Procura della Repubblica.
Inoltre, quasi a rispondere alla linea difensiva di Todde secondo cui se si usano fondi di partito il mandatario non serve, il Collegio parla di “schermo antigiuridico” contro “il principio di trasparenza” se “i finanziamenti, seppur direttamente relativo alla campagna elettorale di un singolo candidato, sono registrati da un comitato che li indica essere stati raccolti anche per la campagna elettorale del partito”.
La vicenda è chiara: Todde ha affrontato con una superficialità impressionante tutta la questione relativa ai finanziamenti per la sua campagna elettorale. Non ci sono complotti di nessun genere, non ci sono trappole tese da nessuno contro una candidata che ha vinto le elezioni.
Ora potrà ricorrere contro la decisione del Collegio Regionale di Garanzia Elettorale, ma quali argomentazioni utilizzerà? Basteranno per sanare una situazione che appare francamente insanabile?
Ora però le questioni che si aprono sono altre. La prima. La legge afferma che la decadenza scaturisce dal superamento dei limiti di spesa (e abbiamo visto che questo non è avvenuto) e dalla mancata presentazione di un rendiconto. Todde però un rendiconto lo ha presentato, ed è lo stesso Collegio ad ammetterlo quando afferma (a pagina 5) “che non è stato affatto contestato alla Todde il mancato deposito della dichiarazione di spesa e rendiconto ma l’anomalia derivante dalla non conformità della dichiarazione di spesa e rendiconto da lei stessa presentata”. Quindi, perché il Collegio ha disposto la decadenza di Todde?
Seconda questione: se il Collegio dovesse confermare la sua decisione anche dopo il nuovo ricorso di Todde, il Consiglio regionale sarebbe obbligato a prendere atto della decadenza o potrebbe entrare nel merito e col suo voto “salvare” la presidente”?
È una questione su cui i giuristi sono già divisi.
Una cosa è certa: è sicuramente vero che Todde al momento è nella pienezza dei suoi poteri ma questa incredibile vicenda, frutto solo dell’inadeguatezza sua e del suo staff, la indebolisce enormemente, mina la sua reputazione e condanna la Sardegna a un periodo di fragilità politica. Un disastro, praticamente. Con il rischio, per alcuni non infondato, di un ritorno al voto in questo stesso 2025.