IL SOGNO DI RITORNARE IN SARDEGNA: GIOVANNI SERIO DA ORISTANO A LONDRA PER TROVARE GLI AMORI DELLA VITA

Giovanni Serio

Il cuore di Giovanni Serio batte al ritmo di tre città, tre mondi che si intrecciano in una sinfonia di emozioni, ricordi e possibilità. A 54 anni, Giovanni si trova al crocevia di una vita straordinaria, plasmata da trentatré anni di “esilio volontario”, di cui trentadue trascorsi nel pulsante cuore di Londra. Qui Giovanni ha trovato tutto ma in Sardegna vorrebbe ritornarci.

Il giovane oristanese che lasciò la sua terra natia a 21 anni, carico di sogni e aspettative, è ora un uomo maturo, trasformato nel profondo dall’esperienza londinese. Le strade nebbiose della capitale inglese hanno visto Giovanni evolversi da semplice corriere in scooter a piccolo imprenditore nel settore dei trasporti. Ma più di ogni altra cosa, Londra gli ha regalato i due grandi amori della sua vita: la figlia Rebeka e la compagna Eva, un legame che unisce Sardegna, Inghilterra e Ungheria in un abbraccio cosmopolita.

Eppure, nonostante la stabilità e gli affetti costruiti oltremanica, il richiamo della Sardegna si fa sempre più forte, come un canto di sirene che attraversa il Mare del Nord. I recenti ritorni sull’Isola, con Rebeka al suo fianco, hanno risvegliato in Giovanni emozioni sopite, facendo riaffiorare ricordi vividi di una gioventù trascorsa tra le strade di Oristano, le spiagge di Alghero e i vicoli di Cagliari.

Il calore degli abbracci delle sorelle Angela e Stefania, il profumo inconfondibile della macchia mediterranea, il sapore unico del mirto condiviso con vecchi amici: tutto questo ha scatenato in Giovanni un turbinio di sentimenti contrastanti. La nostalgia per la terra natia si mescola al desiderio di offrire a Rebeka ed Eva una vita immersa nella cultura e nelle tradizioni sarde, circondate dall’affetto autentico della famiglia.

Ma la scelta è tutt’altro che semplice. Londra, con il suo dinamismo e le opportunità che offre, rappresenta la stabilità conquistata con anni di duro lavoro. Cagliari è il richiamo delle radici, il calore del sole mediterraneo che scalda l’anima, la promessa di una vita più lenta e autentica. E poi c’è Budapest, la città natale di Eva, con la sua grande famiglia pronta ad accogliere Rebeka con amore incondizionato.

Giovanni si trova di fronte a un dilemma che va oltre la semplice scelta di una città: è una decisione che riguarda l’identità, il senso di appartenenza, il futuro della sua famiglia. Ogni opzione porta con sé promesse e sacrifici, gioie e rinunce.

Mentre contempla queste possibilità, Giovanni sente il peso e la bellezza di una vita vissuta a cavallo tra culture diverse. La sua è una storia di coraggio, di adattamento, ma anche di un legame indissolubile con le proprie origini. Qualunque sia la scelta, sarà il risultato di un amore profondo: per la sua terra, per la sua famiglia, per la vita che ha costruito.

In questo momento di riflessione, Giovanni comprende che il vero tesoro della sua esistenza non risiede in un luogo specifico, ma nella ricchezza delle esperienze vissute e nei legami creati. La sua sfida ora è trovare un modo per intrecciare questi mondi apparentemente distanti, creando un futuro che onori tutte le parti della sua identità e offra a Rebeka ed Eva la pienezza di una vita ricca di amore, cultura e opportunità.

Trentatré anni all’estero, trentadue in Inghilterra, così intensi da cambiare abitudini e modo di pensare e parlare. Giovanni Serio ha 54 anni e sembra uscito da un film di Ken Loach: da Oristano a Cagliari ci è andato per studiare all’università, a Londra, a 21 anni, per vivere e trovare gli amori della sua esistenza. Recentemente è stato nell’Isola per far conoscere direttamente i propri cari a Rebeka e la voglia di ritornare ha cominciato a farsi spazio nella sua mente. Più per la figlia e per la compagna, perché siano circondate dagli affetti più veri. Ma è difficile poter scegliere: tra Londra, Cagliari e Budapest. Londra è il presente e la certezza, Cagliari il sole, il mare, Angela e Stefania, Budapest la grande famiglia di Eva, a cui Rebeka è molto legata.

Giovanni, perché sei partito dalla Sardegna? “È difficile esprimere in poche parole cosa mi spinse all’età di vent’anni a lasciare il mio paese. Vivo all’estero dove lavoro e dove mi sono fatto una famiglia. La mia compagna è di una nazionalità diversa dalla mia e nonostante le tante differenze fra noi, siamo riusciti a dare la vita a una bella bambina. Viviamo in una terra che chiamiamo familiarmente “Casa” anche se per noi genitori non sarà mai esattamente come la nostra terra di origine. La nostra piccola sta maturando le proprie emozioni e attaccamenti sentimentali, che saranno unicamente suoi, in tre diverse nazioni: nel Regno Unito, in Ungheria e in Italia, tre paesi di cui ha già la nazionalità.Il mondo in cui vissero i miei genitori non esiste quasi più e anche quello in cui sono cresciuto io sta, in parte, sparendo: “è la vita”, si potrebbe dire; “chi si ferma è perduto”, diceva mia madre.Quasi ogni giorno, incontrando nuove persone nell’ambito del lavoro o nel corso della vita quotidiana, una persona mi chiede in una lingua straniera: “Tu da dove vieni? E perché sei qui? Vieni da una terra bellissima!”. Vivendo da emigrato all’estero non mi sono mai stancato di tali conversazioni, tutt’altro, mi fa molto piacere perché è un modo per conoscere il mio paese per i suoi pregi ed i suoi difetti da un’altra prospettiva, attraverso le parole e le esperienze di persone completamente diverse da me, per ceto sociale, religione, nazionalità, lingua madre e lavoro, eppure anche da perfetti sconosciuti la nostra vita in Italia ci regala qualcosa che permette di condividere due parole, tra sorrisi e tristezza per la nostalgia degli anni passati. Ma mi sto dilungando, maledetti ricordi. Dove eravamo rimasti? Già, perché ho lasciato la Sardegna. Al tempo ero molto insoddisfatto della vita da studente che conducevo, della monotonia e superficialità della vita quotidiana e allora presi la drastica decisione di lasciare tutto: amici, famiglia e anche parte di me stesso. Per affrontare nuove prove e magari scoprire in me nuove qualità, che mi permettessero di raggiungere nuovi traguardi di vita. Per ragioni in parte ancora dolorose da ammettere a me stesso, mi convinsi di non essere in grado di reinventarmi continuando a vivere in Sardegna, pensando che l’ambiente e le persone intorno a me fossero controproducenti per ottenere la messa a fuoco e la determinazione necessarie per rivalutare e correggere i miei pregiudizi, le mie debolezze, per colmare la mancanza di esperienza e per sviluppare nuove abilità necessarie a raggiungere nuove mete. In quell’ottica la mia decisione divenne non solo necessaria ma indispensabile e l’unica possibile.Il proverbio dice che è facile guardare dentro al passato col senno di poi ma non è vero, perché è difficile essere chiari di pensiero e onesti con sé stessi”.

Come ti sei trovato in Inghilterra? “Dare un riassunto di trentatré anni di vita da emigrato “all’estero” è arduo perché non saprei proprio quali tappe cronologiche evidenziare ma è assolutamente necessario controbilanciare il dato di fatto già evidenziato con la constatazione che ho vissuto “solo” i miei primi vent’anni di vita in Sardegna. Se ci fosse un denominatore comune per tutto questo tempo trascorso, probabilmente sarebbe la mia voglia di trovare un equilibrio fra i sentimenti, tra l’essere e avere. Si può sempre cercare di avere materialmente di più nella vita ma essere felici è tutt’altro. Guardando indietro posso dire con serenità che sono grato a me stesso di aver trovato il coraggio di lasciare la strada vecchia per la nuova, con la speranza di un futuro migliore, pur consapevole dei tanti rischi possibili. Ne è valsa la pena in tutto e per tutto”.

Di che cosa ti occupi nella vita a Londra? “All’età di vent’anni, disilluso dal mondo degli studi, per i quali mi mancavano passione, interesse e applicazione, capii che stando lì avrei avuto dei problemi. Mi convinsi che, anche dopo aver conseguito una laurea, continuando a vivere in Sardegna, avrei dovuto affrontare un futuro incerto e con prospettive limitate. L’avventura cominciò con un viaggio in Germania fra la primavera e l’estate del 1991 insieme ad un gruppo di amici, compagni di avventure, incoscienti, coraggiosi e con voglia di vivere.
Sebbene prendemmo tutti insieme la decisione di spendere una stagione lavorando in bar e ristoranti all’estero, in realtà, secondo me, ognuno di noi cercava una via di fuga da sé stessi, dalla banalità, dalla monotonia e dalla noia della vita quotidiana. Cambiando ambiente stavamo cercando di trovare nuovi stimoli e motivazioni. Io sono l’unico a non essere ritornato da quel viaggio.Alla fine dell’estate io e uno dei miei fidati amici partimmo per il Regno Unito, per continuare con la nostra esperienza lavorativa all’estero. A quel tempo l’Unione Europea non esisteva, era ancora in vigore la Comunità Economica Europea e fu difficilissimo inserirmi nel mondo del lavoro e della vita quotidiana, per la crisi economica che affliggeva la nazione ma anche perché le persone che incontravo, connazionali o del posto, sembravano avere una “doppia faccia”. La vita nel Regno Unito era completamente diversa da ciò che ci aspettavamo e la conoscenza di base della lingua inglese aiutava ben poco. La superficiale bellezza dei monumenti era controbilanciata dalla profonda falsità e cinismo delle persone che incontravo. L’avversità delle circostanze mi costrinse a separarmi dal mio amico e cercai lavoro con vitto e alloggio in una piccola località sulla costa nella contea di Kent, vicino al tunnel sulla Manica, tra Inghilterra e Francia, allora ancora in costruzione. Ormai completamente slegato dalla mia precedente vita di studente in Sardegna, decisi anche di rimanere in una forma di esilio facoltativo dalla mia famiglia e dalle mie amicizie, per cercare di trovare una nuova parte di me stesso, in un mondo nuovo che mi costringeva a riassestare il mio modo di parlare ed agire con le persone e ad affrontare le situazioni del momento così come i problemi all’orizzonte.Continuai per circa sette anni a lavorare nel settore della ristorazione e alberghiero, cambiando datore di lavoro e luogo di tanto in tanto, prima di trovare il coraggio di trovare fortuna in un settore professionale completamente diverso. Imparai che quando si cambia lavoro si cambia anche vita. Decisi di trovare lavoro come corriere motociclista, grazie alla mia passione per le due ruote, per riuscire anche a esplorare e apprezzare l’Inghilterra da una prospettiva diversa. C’è di più: mi ero anche stancato di lavorare sempre all’interno di locali pieni di fumo, fino a tarda notte per la maggior parte della settimana e con poca opportunità di fare cose nuove o diverse nei giorni liberi. Lavoro ancora oggi nel settore delle consegne specializzate in giornata ma con un furgone in tutto il Regno Unito. Incontro professionisti e persone diverse ed eseguo tipi consegne di vario genere. Non sarei mai riuscito ad avere lo stesso cumulo di esperienze continuando a lavorare nel settore della ristorazione. Talvolta però penso che, se fossi rimasto in quell’ambiente, probabilmente avrei fatto carriera”.

Quale è attualmente il tuo rapporto con l’Inghilterra? “Questa è la terra in cui ho trovato la mia compagna di vita e dove è nata la mia bambina, riesco a guadagnarmi da vivere e mi trovo a mio agio con la burocrazia dello stato britannico, perché è possibile fare quasi tutto per posta e via internet. La mia piccola va alla scuola elementare a pochi passi da casa e viviamo fuori Londra in un posto tranquillo, relativamente ben servito e con tanto verde. Eppure tutto questo non è abbastanza, ci manca ancora qualche cosa.Una delle preoccupazioni più importanti è la difficoltà a trovare casa di proprietà perché il mercato degli immobili è carissimo in relazione ai salari. Anche gli affitti sono molto salati e per questo motivo la nostra vita è sempre precaria qui. A rendere la situazione più difficile il fatto che ci troviamo isolati dal resto della famiglia, quella in Ungheria e quella in Italia. Sebbene la durata del viaggio sia breve, i costi per una famiglia possono diventare alti, considerando tutte le spese associate. Ci mancano i nostri familiari e ci manca quella serenità che arriva quando si trascorre del tempo insieme. In altre parole qualche volta ci sentiamo soli e vivendo qui abbiamo imparato l’importanza di darci supporto continuo. La cosa più importante è il nostro desiderio come genitori di trasmettere il più possibile a nostra figlia i valori e gli affetti che ci legano ai nostri rispettivi paesi.
Per fare questo è fondamentale che la nostra piccola formi esperienze positive prima di tutto durante il viaggio di transito, poi quando visita nuovi luoghi e nuove persone, andando a vivere nuove situazioni e formando nuove memorie. Spesso le piccole cose sono le più importanti, ad esempio la nostra piccola ha sviluppato un amore per certi personaggi delle fiabe ungheresi, e questo mi rende felice perché non solo impara la lingua ma va a formare la sua personalità apprezzando le storie, la musica, le immagini e i libri di certi personaggi che piacciono anche a me. In un mondo dove i social forniscono messaggi grotteschi e violenti ai bambini sono felice che lei apprezzi messaggi positivi legati al nostro vecchio mondo.Un’altra considerazione marginale è legata alla Brexit del Regno Unito perché l’esperienza mi ha fatto capire che non è sufficiente ritenersi “di casa”, avere una dimora stabile ed una vita regolare. Ci sarà sempre qualcuno propenso a pensare che questa terra non è la tua, che non ti sei impegnato a dovere, che non paghi abbastanza tasse, ricevi sussidi che non meriti e non discendi da nonni e bisnonni che hanno combattuto le guerre mondiali dalla parte “dei buoni”. E sebbene non abbiano il coraggio di dirtelo in faccia loro vanno a votare o agiscono di conseguenza. Andare a spiegare a tali persone che ho trentatré anni di contributi versati allo stato e già potrei avere la pensione è solo una perdita di tempo”.

Quanto ti manca la Sardegna? “Se il cuore dice Sardegna e Ungheria, la testa dice “pensaci due volte”, “pensaci tre volte”, anzi dice “non pensarci proprio”. Ho chiesto a molti italiani incontrati casualmente nel corso del mio lavoro se può valere la pena ritornare in Italia e ho ricevuto risposte contrastanti ma comunque preoccupanti. La verità è che oramai ho cinquantaquattro anni e sebbene abbia intenzione di lavorare fino a quando ne avrò settanta non sono affatto sicuro che il mercato del lavoro in Sardegna sia disposto a dare il benvenuto a una persona come me. Mi dà l’impressione che sia troppo lento, burocratico e incerto e possibilmente legato a relazioni chiuse o poco aperte fra gruppi di persone associate ai vari settori professionali. Spero ovviamente di sbagliarmi ma nessuno mi ha ancora dato esempi diversi a tale riguardo.
Ho sentito frasi tipo “la Sardegna non appartiene ai Sardi ma ai turisti”. Io non voglio ritornare in Sardegna per fare il turista ma per viverci, cercando di cucire insieme il passato con il presente e il futuro. So che dentro di me ho ancora voglia di cambiare ma questa volta non mi troverò più da solo, avrò una famiglia a guidare il mio cuore e la mia ragione nei momenti più duri. Concludo dedicando queste parole a un caro amico, raro, ma anche a quelli che non ci sono più e che vivono sempre nel mio cuore. Poi c’è la famiglia, che vorrei salutare, quei familiari che non hanno mai smesso di credere in me, anche nei momenti più bui. Avrei tante altre cose da raccontare, magari capiterà in un’altra occasione..”.

https://www.vistanet.it/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *