Salvatore Fancello
a cura di ORNELLA DEMURU
Il bestiario cui Fancello dà vita nella sua pur fugace esistenza (muore a 25 anni sul fronte albanese nel finire del conflitto mondiale) è, come nota il grande critico Argan, “più fiabesco che moralistico, trasposizione dall’umano in chiave di garbata ironia”.
Salvatore Fancello nasce a Dorgali, penultimo di dodici figli di Pietro e Rosaria Cucca, famiglia di modeste condizioni economiche.
Dopo il diploma conseguito alla Scuola di Avviamento Professionale di Dorgali (1929) Salvatore Fancello viene assunto come apprendista nella bottega di terrecotte e cuoi di Ciriaco Piras, un artigiano locale che a sua volta era stato allievo e collaboratore a Cagliari di Francesco Ciusa.
Grazie a una borsa di studio annuale vinta partecipando a un concorso bandito dal Consiglio dell’Economia Corporativa di Nuoro, nel 1930 ha l’opportunità di lasciare l’Isola per andare a formarsi a Monza, presso l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA), una scuola nuova e pionieristica per l’Italia: qui seguirà il corso per ceramisti, con passione e immediato riscontro da parte dei docenti (tra questi ci sono Marino Marini e Arturo Martini, ma più importanti per lui saranno Edoardo Persico e Giuseppe Pagano) e dei compagni, tra cui i conterranei Giovanni Pintori (nato a Tresnuraghes da genitori nuoresi) e Costantino Nivola (di Orani), suoi amici inseparabili iscritti al corso di Grafica e Pubblicità.
Gli anni Trenta, decennio di formazione e di creazione artistica in cui si svolgerà tutta la parabola di Fancello prima della morte improvvisa, saranno un susseguirsi di esperimenti tecnico-formali e di collaborazioni, oltre che occasione per partecipare periodicamente a esposizioni ufficiali o nate da iniziativa personale, anche nell’Isola.
Qui, dove il suo lavoro non viene immediatamente compreso, l’artista torna sempre durante le vacanze estive, e continua a frequentare la bottega di Ciriaco Piras e quella di un altro ceramista, Simeone Lai (che poi sposerà sua sorella Luisa, tra le più note ricamatrici del paese).
Collabora con entrambi, mettendo generosamente a disposizione il suo estro e il suo crescente bagaglio di conoscenze accademiche; con Lai firmerà dal 1935 la linea di successo Creazioni Fancello, che avrà tra i suoi acquirenti anche La Rinascente.
La Sardegna, terra rielaborata attraverso i filtri della distanza e della memoria, è al centro della creazione artistica degli esordi.
Tra il 1933 e il 1935 Fancello comincia a dare vita a un suo personale e famosissimo “bestiario”, sulla carta e in terracotta: una visione più che mai fantasiosa e stravagante della fauna isolana, osservata già attraverso una lente “esotizzante”, e che presto (peraltro in anni di avventure coloniali africane per il Regime) si popola di rinoceronti, struzzi, giraffe, elefanti, formichieri, zebre e leoni. Il repertorio dell’artista, si arricchisce di Costellazioni, raffigurazioni di paesaggi con nudi femminili, scenette satiriche (pubblicate sul settimanale umoristico “Il Settebello”).
Non saranno infrequenti le menzioni sulle riviste italiane più prestigiose (come “Domus”), le lodi della critica più autorevole (Giulio Carlo Argan sarà suo estimatore) e i riconoscimenti ufficiali: i suoi Segni zodiacali (dodici terrecotte grezze dentro coppe smaltate d’azzurro raffiguranti i simboli dell’astrologia) vinceranno nel 1936 il Gran Premio della Triennale di Milano, e l’edizione di quattro anni dopo gli tributerà il Diploma d’onore.
Fancello capisce soprattutto l’importanza del viaggio e della frequentazione dei contesti più dinamici e all’avanguardia: nel 1936 sarà a Milano, dove entrerà in contatto con l’ambiente della cultura razionalista e conoscerà il disegnatore Saul Steinberg, e due anni dopo si sposterà ad Albisola Marina (presso Savona) per lavorare nella famosissima bottega di Giuseppe Mazzotti, frequentata da importanti artisti italiani come Lucio Fontana, Agenore Fabbri e Aligi Sassu.
Proprio ad Albisola, dove pur nella brevità del soggiorno lavorerà intensamente e creerà più di cento ceramiche, saranno realizzate le decorazioni per la sala della mensa e per il pennone portabandiera dell’Università Luigi Bocconi di Milano, per la cui messa in opera, nel 1940, si farà carico delle spese inviando il denaro necessario direttamente dal fronte.
Lo spettro della guerra aveva purtroppo iniziato a infestare i sogni fantastici e soavi dell’artista: già richiamato alle armi nel 1939, ai primi di gennaio del 1941 si imbarcherà per il fronte albanese, dove di lì a poco cadrà tra i combattenti a Bregu Rapit, il 12 marzo del 1941.
La sua morte apparirà come una tragica e ingiusta fatalità, capace di addolorare parimenti la famiglia e il mondo dell’arte: già nel marzo 1942 il Centro di Azione per le Arti inaugurerà una prima mostra retrospettiva presso la Pinacoteca di Brera, mentre la rivista “Domus” gli dedicherà un numero monografico.
Verrà sepolto nel cimitero di guerra della cittadina albanese.
Nel 1942 una mostra omaggio alla Pinacoteca di Brera celebra il giovane artista caduto in guerra raccogliendone sculture, ceramiche e disegni: vengono esposte opere provenienti dalle collezioni Argan, Labò, Mazzotti, Mussolini, Pagano, Palanti, Pintori, Podestà.
Nel 1947 gli viene conferita la medaglia d’argento al Valor Militare.
Nel 1962 le sue spoglie vengono riportate nella sua patria e tumulate nel camposanto di Dorgali.