Lucia Cossu, Anna Cristina Serra e Piero Marras
di TONINO OPPES
Uomo colpo e popolare, Paolo Pillonca era capace di mischiare il sapore delle cose quotidiane con il sapere erudito.
Amava la Sardegna e la raccontava, con dolcezza, ma anche con rabbia perché, a volte, si soffre per troppo amore.
Insegnante, giornalista, poeta, studioso di poesia a bolu, di tradizioni popolari, editore, scrittore, divulgatore: lui è stato tutto questo.
La sua forza era nella bellezza della lingua, parlata o scritta, italiana o sarda. Le padroneggiava entrambe allo stesso modo.
Ascoltarlo era un incanto.
Un anno prima del suo addio gli chiesi se avesse voglia di ricordare la figura di Nereide Rudas durante la cerimonia del premio Alziator. La professoressa era appena scomparsa.
Lui salì sul palco, si avvicinò al microfono e, dopo una breve pausa, esordì: “il destino era già nel suo nome mitologico. Ninfa marina figlia di Nereo, come Teti madre di Achille…”
Generoso come pochi, era disponibile con tutti. Andava ovunque, difficilmente diceva di no a chi lo chiamava per una conferenza, per un premio di poesia, per la presentazione di un libro.
A tutti donava con semplicità il suo sapere.
Il suo percorso di giornalista può essere diviso in tre parti: nasce professionalmente, alla metà degli anni Settanta, nella redazione di Nuoro de L’Unione sarda, poi (alla fine degli anni Ottanta) approda a Cagliari all’Ufficio stampa della Regione, in seguito inizia una lunga collaborazione con la Nuova Sardegna e riprende ancora, negli ultimi anni, la collaborazione con l’Unione. Ma come dimenticare la lunga, trentennale, collaborazione con la Rai e, in particolare, con Radio Sardegna? O la sua bella rivista bilingue Lacanas?
Ha scritto tantissimo. E se devo scegliere tra i suoi innumerevoli articoli mi piace ricordare quelli che occupavano una pagina intera dei quotidiani dove raccontava la Sardegna interiore, le storie cellulari – per dirla con Camilleri – che mai avrebbero avuto una ribalta.
Lui ha dato dignità a tante vicende minime e le ha fatte conoscere ai suoi lettori: molti di quei testi sono stati raccolti ne L’Isola del cuore, in Madre terra nonna luna, Il silenzio e la parola, nel libro postumo Paulu ses tue.
Sono storie di una Sardegna che soffre ma ha tanti tesori: donne e uomini che hanno dato lustro alla propria terra nel canto, nella poesia, nella musica, nella letteratura, nell’archeologia; artigiani con le mani d’oro, e poi ecco i musei di piccoli paesi (come Atzara, Banari, Siligo) che lui frequentava.
Paolo amava raccontare quelle storie (nate dalle piccole cose) perché le conosceva, perché conosceva la Sardegna come pochi. Ecco perché molti suoi articoli sono un viaggio nell’altra Sardegna e richiamano le Cronache della Sardegna interiore, che si rivela seguendo i sentieri dell’anima sarda.
Ha raccontato con passione l’Isola umile e silenziosa ma capace di custodire i valori forti della sardità che si manifesta in mille modi e che, a volte, non viene fuori per gelosia, o per pigrizia o per quell’arrendevolezza che troviamo spesso nei racconti di Grazia Deledda.
Ecco quella Sardegna Paolo l’ha raccontata meglio di chiunque altro servendosi della forza della scrittura che è tutta nella bellezza della sua lingua, scritta e parlata, perché non dobbiamo dimenticare, otre alle appassionate conferenze, le sue telecronache sull’Ardia di Sedilo o quelle sulla messa in sardo.
L’attualità dei suoi scritti è nell’amore per la Sardegna, nelle piccole cose costruite con gioia e serenità con la consapevolezza che possiamo essere padroni dei nostri destini: a volte basta crederci.
Si diceva che la sua professione è cominciata Nuoro, nei primi anni Settanta: un periodo tra i più difficili per la Sardegna. Erano gli anni degli incendi e dei sequestri di persona. Sono stati anni davvero bui che lui ha raccontato cercando di andare oltre la cronaca.
Si ricordano i suoi articoli ben documentati e coraggiosi: come avvenne per la strage di Osposidda quando in un conflitto a fuoco successivo al sequestro dell’imprenditore di Oliena Tonino Caggiari morirono quattro banditi e un agente di polizia. I corpi dei banditi furono caricati come trofei di caccia grossa su un camion che attraversò, strombazzando, le vie del paese con i corpi bene in vista come si faceva al termine di una battuta al cinghiale.
“E dov’è la pietà umana?”, si interroga Paolo in un articolo che resta una pietra miliare nella storia del giornalismo sardo; nel frattempo quella storia diventa poesia e successivamente canzone grazie alla voce splendida di Piero Marras.
Ma non si possono dimenticare i suoi libri: come l’opera omnia su Remundu Piras; Chent’annos, in cui ricostruisce la storia delle gare poetiche nell’Isola; le monografie dedicate ai più importanti cantadores a bolu, di cui è stato il massimo esperto; i libri sui proverbi, Narat su diciu e Dicios antigos; le traduzioni in sardo di alcune tragedie greche; oppure Beberè, la storia della mufla dalle due vite.
Ci sono alcuni passaggi sulla morte, sull’ora del commiato che sono da leggere e rileggere. La mufla (che nella prima vita è stata una donna) percepisce che si avvicina il momento dell’addio e si allontana verso la cima della montagna alla ricerca di un luogo poco frequentato dagli uomini ma ben soleggiato.
Anche per gli animali l’incontro con la morte va atteso con gli occhi rivolti al sole: l’addio deve avvenire incontrando la luce. È così anche per gli umani? Si racconta che Goethe sia morto desiderando la luce; lo stesso desiderio pare abbia espresso Leopardi.
Come si tutelano il pensiero e la memoria di Paolo Pillonca?
La bella iniziativa promossa dai comuni di Atzara, Villanova Monteleone e Silanus (che hanno chiamato a testimoniare alcuni suoi amici e che è stata impreziosita dal concerto di Piero Marras) va nella giusta direzione, ma gli amministratori di quei Comuni hanno un altro grande merito: i piccoli comuni sardi, che lottano contro lo spopolamento, sono le ultime sentinelle della nostra identità, un tema che a Paolo stava molto a cuore. Ed è per questa ragione che alcune comunità si sentono un po’ orfane di quell’intellettuale così vicino alla gente comune e sentono la sua mancanza, anche se non lo hanno dimenticato.
Che il suo ricordo sia ancora vivo, io lo percepisco quando vado nei paesi e incontro suoi cari amici: “Ti manca Paolo?” mi chiedono.
Forse, vogliono misurare con me il peso di quella assenza ben sapendo che Paolo Pillonca è un patrimonio che appartiene a tutti i sardi.
Inviamo i migliori Auguri di un BUON NATALE E DI UN FELICE ANNO NUOVO 2025
Dal Consiglio Direttivo e Soci del Circolo Culturale Sardegna di Monza Concorezzo e Vimercate.