LA STORIA CRIMINALE D’ITALIA: IL LIBRO “SANGUE ITALIANO” DI ROBERTO CASALINI PRESENTATO A DUE PASSI DAL DUOMO DI MILANO

Enrico Deaglio e Roberto Casalini sono due giornalisti che hanno avuto in sorte di svolgere il loro mestiere in un periodo di storia patria estremamente complicato e, pur non essendo esattamente coetanei, l’uno è del ‘47, l’altro nato a Cagliari nel ‘53 (ma ci tiene a rimarcare che è al “capo di sopra” sassarese che deve la sua patente di sardità) denotano una “complicità di vita” che consente loro di rievocare fatti tra i più terribili di cui hanno scritto sui loro giornali con una lievità del tutto particolare, arricchendo le loro rievocazioni con tutta una serie di aneddoti personali che ne sottolineano le doti innate di simpatia e facendo così, del loro conversare, uno spettacolo unico, a tratti esilarante. Il tutto svolto in un luogo di quelli “seri” della milanesità, la sede degli “Amici del Loggione” (quello del teatro alla Scala naturalmente) in via Silvio Pellico, che è come dire a venti metri scarsi da Piazza del Duomo, l’occasione il libro che Casalini ha scritto per i “Colibrì” di Neri Pozza dal titolo che più trucido non si può: “Sangue Italiano”, delitti, criminalità e violenza pubblica dal 1860 a oggi. A dir la verità tutta questa è materia che sarebbe di pertinenza deagliana, basta ricordare alcuni titoli che sono nel palmares del già direttore di “Lotta Continua” (e di “Reporter”): “C’era una volta in Italia, gli anni sessanta”, “Patria” 1967/1977, “Indagine sul ventennio”, “La bomba” (quella per antonomasia, la bomba di piazza Fontana , ndr), questi tutti per Feltrinelli. Ma anche “Il Depistaggio perfetto” e “La felicità in America” (dal 2012 vive a San Francisco, ndr) e indimenticabile: “La banalità del bene”, titolo che fa il verso alla banalità del male della Arendt, che racconta l’incredibile storia di Giorgio Perlasca che, nel buio della notte nazista del’44, quando il concetto di umanità sembrava perso per sempre, a Budapest, lui fascista della prima ora, volontario nella guerra mussoliniana di Spagna, e dopo l’8 settembre quando “cambiammo alleanze” ricercato dai nazisti, si “reinventò”a console spagnolo, del resto i veri diplomatici se l’erano data a gambe e, grazie a una audacia senza pari ( se scoperto sarebbe stato immediatamente passato per le armi), fabbricò innumerevoli passaporti falsi che salvarono la vita a più di cinquemila ebrei ungheresi che diversamente sarebbero finiti nei forni di Auschwitz. Tornato a casa della sua storia nessuno volle interessarsi più che tanto. Bisognò attendere che di quei salvati finalmente si ricordassero di quell’italiano alto e dagli occhi azzurri, a cui dovevano la vita. Da qui onorificenze, medaglie, e anche un film su di lui con Nicola Zingaretti, grande successo. Grande libro. Roberto Casalini per quanto riguarda le pubblicazioni va sul “leggero”, lui che sempre si è occupato di cinema per il “Corriere” (“L’avventurosa storia degli Oscar”, “Suonala ancora Sam. Le più belle battute del grande cinema”) ma naturalmente, come un buon cronista gli è toccato di scrivere su tutto e ora esce questo libro sulle storie nere italiane dalla nascita della nazione ai giorni nostri. I due “complici” sono concordi che l’essenza della nostra storia unitaria è caratterizzata da una dose di violenza senza pari, in cui la ferocia la fa spesso da padrona. Per non parlare del periodo ‘70/’90, in cui il potere politico è stato condizionato da tutta una serie di omicidi scientemente organizzati che ci porta a dire che, noi italiani, “la storia la facciamo con il sangue”. Ne è un esempio la colonizzazione del sud Italia (guai a parlar male di Garibaldi) dove si sperimentò una logica che sfociò nella costruzione del primo campo di concentramento per “briganti”. Una scelta questa di chiara matrice ideologica per cui la razza delinquente del brigante calabrese era realtà scientificamente certificata. La stessa scienza che faceva dire e scrivere al Lombroso che “i ciclisti erano naturalmente propensi alla truffa”. E quando si fece mandare l’archivio delle prostitute di Parigi, dai cui profili avrebbe confermato la sua teoria della “delinquenza innata”, fece quella che oggi potremmo tranquillamente chiamare una figura di merda: avevano sbagliato faldone, quello speditogli si riferiva alle donne della buona borghesia. E’ allora che nacquero i manicomi criminali. Sono le politiche dei governi che scelgono via via su quale problema sociale tocchi intervenire, si pensi solo al diverso peso che i morti ammazzati di mafia, si parla di un numero vicino ai 10.000, hanno avuto nella decretazione d’emergenza dei nostri governi, se paragonata a quella del terrorismo rosso che in dieci anni fece meno di 90 morti. Si è persa quasi la percezione di un fenomeno criminale quale fu quello di sequestri di persona. Furono quasi 500 i sequestrati tenuti in ostaggio, molti di loro non tornarono più a casa nonostante fosse stato pagato un riscatto. Si formò in quel periodo un apparato di sicurezza al di fuori dello Stato composto da ex carabinieri, guardie di sicurezza a cui non si chiedeva di esibire la fedina penale. Molti “ricchi” mandarono i figli a studiare all’estero. Cambiarono di casa per barricarsi in una più sicura. Molte sono le storie di cui si è voluta perdere la memoria, sono in genere poco conosciute, eppure sono degne del miglior giallo pubblicato. Chi si ricorda più di Simone Pianetti, il rambo della Valbrembana. Mugnaio, vive in America, torna in paese e apre una balera. Grande scandalo che maschi e femmine si possano mischiare così senza controllo. Gli fanno intorno terra bruciata. Allora prova con l’apertura di un mulino elettrico. Ma anche lì le “Figlie di Maria” contribuiscono al suo fallimento, la sua farina è intrisa di peccato. Esasperato prende un fucile e ne fa fuori sette (Casalini dixit), nelle valli intorno appaiono cartelli con scritto: “Viva Pianetti”, si da alla macchia e scompare letteralmente, non lo prenderanno mai più. Sia Deaglio che Casalini manifestano quello che si potrebbe chiamare un sano scetticismo anche per le vicende su cui si è più investigato, come mai, dicono, durante i 55 giorni in cui l’onorevole Moro fu sequestrato, un tempo relativamente breve, le Brigate rosse non hanno mai accettato nessuna intermediazione, pur non avendo un piano B alle spalle. E dopo le stragi mafiose del’93 c’è stata o no la trattativa “di pace” portata avanti dal generale Mori. Insomma per Deaglio questo libro che tratta molti di questi “misteri” risulta estremamente interessante. Casalini, da parte sua dice che “per scelta non ha voluto entrare nella dinamica: colpevole/ innocente, né per l’assassinio di Yara Gambirasio, in cui il DNA del Bossetti (poi condannato) finì in provette che vennero incredibilmente distrutte, né per il caso di Rosa e Olindo che è riuscito a dividere il paese a metà tra innocentisti e colpevolisti, al di là dei risconti giudiziari. Del resto “spesso i giudici dicono delle puttanate mai viste”, per alcuni di loro Amanda Nox era sicuramente una “ragazza leggera”, figuratevi che stava con uno che si faceva le canne e leggeva manga giapponesi! Tutto abbastanza falso, dice Deaglio, che fa notare come per il sequestro di un altro politico democristiano: Ciro Cirillo la trattativa ci fu eccome, e pochi furono quelli che si scandalizzarono. Come nessuno ebbe a ridire quando Mesina si propose a mediatore del sequestro del piccolo Farouk Kassam, sette anni d’età, sei mesi durò la prigionia, e dopo trent’anni il suo ricordo è ancora fresco tanta fu la ferocia che lo contraddistinse. Dice Deaglio che l’effetto economico dei sequestri di persona portò a un fatturato di 800, miliardi. Come fosse stata la più grossa industria italiana. Con un effetto di accumulazione primaria di capitale per le mafie assolutamente fondamentale. Un trasferimento di denaro che ha cambiato il nostro modo di vivere. Facendo saltare il rapporto di fiducia cittadino-stato. La maggior parte dei sequestrati sono infatti gente comune e il blocco dei beni che veniva deciso minava anche il rapporto tra i parenti del sequestrato stesso. Nella nostra Italia, dice Casalini, altra categoria scellerata è quella dei generali, festeggiamo oggi Vannacci ma i suoi colleghi sono sempre stati una sciagura, da quel Cialdini che portò avanti la guerra al brigantaggio con metodi infami. E’ pur vero che allora in Italia votava il 2% della popolazione (tutti liberali), non esisteva quella che oggi si chiama “opinione pubblica”. Eppure il primo ministro di allora che era il Ricasoli poteva spedire un telegramma al suo generale in cui scriveva: “Sterminateli tutti”, uomini, donne, bambini. E il Bava Beccaris che fece mitragliare la folla dei milanesi che reclamavano per il troppo alto prezzo del pane, centinaia di morti, ebbe per questo una medaglia e divenne “cugino del re”. A questo “re buono” ci pensò poi Gaetano Bresci, l’anarchico che se ne venne dall’America per scaricare la sua pistola sul monarca in quel di Monza nel luglio del 1900. Bresci poi fu “trovato impiccato” in carcere, il generale Beccaris morì anziano nel suo letto. In Italia, dice Deaglio, la lotta politica è stata spesso all’ultimo sangue. Ci vuole un bel pelo a mettere una bomba in una banca, in un treno. C’è tutta una generazione che è cresciuta sotto la cappa delle stragi di stato. E noi, avendo vissuto tutto questo, abbiamo maturato un fondo di sospetto verso le autorità tutte. Chiosa Deaglio: un anarchico si è buttato dalla finestra della questura di Milano, l’anarchico che “ha messo la bomba”, una sceneggiatura terrificante…neanche un giallo di serie B. La nostra chiude Casalini è l’età dell’ansia, tutti a parlare di sicurezza eppure in Italia non si è mai ammazzato così poco. Negli USA, dice Deaglio, la polizia ammazza i neri. Soffre di razzismo conclamato. Un libro scritto in “stile giornalistico” che si fa leggere al di là del titolo cruento: “Omicidi passionali e familiari, delitti di avidità e vendetta, fuorilegge da Musolino a Riina, mafie, assassini politici, misteri e stragi: la storia d’Italia è anche storia criminale”.

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