IL RISPETTO DELLA MEMORIA: PERCHE’ IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E’ UNA GRAVE MINACCIA ANCHE PER IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO

Il cambiamento climatico che stiamo vivendo oggi si distingue in maniera significativa dalle variazioni climatiche avvenute nel passato preistorico. La storia della Terra è caratterizzata da cicli naturali di riscaldamento e raffreddamento, ma l’attuale riscaldamento globale presenta caratteristiche uniche. Durante la preistoria i cambiamenti climatici erano causati da fattori naturali come variazioni nell’orbita terrestre, attività solare ed eruzioni vulcaniche. Al contrario, oggi la loro causa è prevalentemente umana: nello specifico, l’aumento delle emissioni di gas serra, dovuto all’uso dei combustibili fossili, alla deforestazione e alle attività industriali. 

Per questa ragione, uno degli aspetti più sorprendenti del cambiamento climatico odierno è la sua rapidità. I cambiamenti climatici preistorici avvenivano su scala di migliaia o milioni di anni, permettendo agli ecosistemi e alle specie di adattarsi gradualmente. Al contrario, l’attuale aumento delle temperature globali sta avvenendo in un arco di tempo molto breve: si tratta solo di pochi decenni. Questo ritmo accelerato non lascia tempo sufficiente per l’adattamento naturale, mettendo a rischio la biodiversità e aumentando la frequenza di eventi climatici estremi, come ondate di calore, tempeste e inondazioni.

L’analisi del registro archeologico, in particolare la scienza della paleoclimatologia, permette di studiare le variazioni climatiche del passato, fornendoci gli strumenti per valutare i cambiamenti climatici attuali e distinguere quelli naturali da quelli indotti dall’uomo. Le e gli studiosi in questo campo analizzano dati provenienti da diverse fonti – come sedimenti lacustri e marini, pollini fossili, speleotemi (stalagmiti e stalattiti), carote di ghiaccio e anelli degli alberi – per ricostruire le condizioni climatiche e ambientali passate, tracciando un quadro del contesto che è fondamentale per l’interpretazione dei siti archeologici.

Anche in Sardegna la paleoclimatologia ha permesso di ricostruire le variazioni del clima antico. La nostra isola ha vissuto significativi cambiamenti climatici dalla fine dell’ultimo episodio glaciale, datata a circa 12.000 anni fa. L’innalzamento progressivo delle temperature dopo la glaciazione ha dato avvio a una fase di clima caldo-umido durante il primo Olocene (11.700-8.200 anni fa), caratterizzata da una rigogliosa vegetazione mediterranea. A partire da 6.000 anni or sono, questa è stata seguita da un periodo di aridità – con diminuzione delle foreste e un aumento delle specie xerofile – intervallato a fasi relativamente brevi di raffreddamento intenso, intorno agli 8.200 e poi di nuovo 4.200 anni fa.

Il riscaldamento del clima preistorico e l’aumento del livello del mare a conclusione della fase glaciale sono, dunque, osservabili nell’arco di millenni; i brevi episodi climatici estremi erano relativamente rari.  Le variazioni climatiche attuali sono, invece, infinitamente più rapide.

L’aumento delle temperature, la variazione delle precipitazioni e l’incremento degli eventi climatici estremi influenzano direttamente la conservazione e l’integrità del patrimonio culturale

Negli ultimi decenni, le temperature in Sardegna sono aumentate in modo drammatico: i dati raccolti dalle stazioni metereologiche di Cagliari, Sassari e Olbia mostrano un chiaro trend di riscaldamento, con un aumento della temperatura media annuale di circa 1.5° C tra il 1970 e il 2020. Le temperature estive hanno visto un aumento più marcato rispetto a quelle invernali, con ondate di calore più frequenti e intense: l’estate del 2021 ha registrato dati record, con picchi fino a 48.8°C. Allo stesso modo, le precipitazioni sono diventate più irregolari, con lunghi periodi di siccità alternati a piogge intense. 

Il cambiamento climatico ha un impatto significativo sui resti archeologici, soprattutto in regioni con un clima mediterraneo come la Sardegna. L’aumento delle temperature, la variazione delle precipitazioni e l’incremento degli eventi climatici estremi influenzano direttamente la conservazione e l’integrità del patrimonio culturale, in modo particolare i siti archeologici. Uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico sui resti archeologici è l’erosione accelerata. L’aumento delle precipitazioni intense e delle inondazioni provoca un maggiore scorrimento superficiale dell’acqua, che può erodere strati di terreno contenenti manufatti e strutture antiche. 

In Sardegna tanto eventi gravi come il ciclone Cleopatra del 2013, quanto episodi su scala ridotta che si ripetono stagionalmente, mostrano che le piogge torrenziali possano causare frane e smottamenti, mettendo a rischio potenziali resti sepolti. Inoltre l’erosione costiera, amplificata dall’innalzamento del livello del mare, minaccia i reperti e gli insediamenti situati in prossimità delle coste, esponendo i resti archeologici processi di degradazione accelerata.

Anche l’aumento delle temperature e la frequenza delle ondate di calore contribuiscono alla degradazione chimica e fisica dei materiali archeologici. Le alte temperature possono causare l’espansione e la contrazione dei materiali, come pietre e mattoni, portando a fessurazioni e fratture. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante per i monumenti in pietra e le strutture murarie che costituiscono gran parte del patrimonio archeologico sardo. Inoltre, l’aumento della salinità del suolo, dovuto a processi di evaporazione accelerata, può causare danni significativi ai manufatti metallici e ceramici attraverso processi di corrosione e degrado chimico.

Le variazioni climatiche influenzano anche la copertura vegetale, che a sua volta ha un impatto sui resti archeologici. In Sardegna, i cambiamenti nel regime delle precipitazioni e delle temperature possono portare a un’espansione delle specie vegetali invasive. Le radici delle piante possono penetrare nei materiali archeologici, causando danni meccanici e favorendo la biodeteriorazione attraverso l’introduzione di microorganismi e umidità. Questo processo è particolarmente dannoso per i siti archeologici sepolti, dove le radici possono compromettere l’integrità strutturale dei manufatti e delle costruzioni antiche.

Infine gli incendi boschivi, sia spontanei che dolosi, rappresentano una minaccia significativa per il patrimonio culturale della Sardegna. Questi incendi possono danneggiare irreparabilmente o distruggere i materiali archeologici come ceramiche, ossa e resti di strutture. I siti maltenuti, invasi da erbacce e sterpaglie, sono a maggior rischio e se l’incendio è nelle vicinanze vengono raggiunti più facilmente dalle fiamme. Anche le architetture in pietra subiscono gravi danni ad alte temperature: ossidazione, fessurazione e frammentazione sono alcune delle conseguenze, che espongono le strutture a un maggior rischio di crolli. 

Nel sottosuolo il calore è veicolato dal surriscaldamento delle radici degli alberi e può raggiungere anche diversi metri di profondità. Anche il fuoco può bruciare a lungo sottoterra dopo che è stato spento in superficie, alimentandosi nei depositi organici. Il danno in questo caso interessa tutte le evidenze archeologiche non ancora scavate e studiate, ancora immerse nel sedimento.

Scolorimento, annerimento, fessurazione e frammentazione colpiscono tanto la ceramica quanto i materiali litici come la selce; mentre le ossa subiscono un’alterazione del colore, della morfologia microscopica, della struttura cristallina e del contenuto di carbonio, con una possibile distruzione completa del reperto. I pollini e i resti botanici, importantissimi per ricostruire la vegetazione e il clima, possono essere alterati nei loro elementi diagnostici, con una perdita irrimediabile di informazioni. Oltre a danneggiare i reperti, l’azione del fuoco può alterare i dati che permettono di condurre datazioni assolute: come quelle al carbonio 14, la dendrocronologia, la termoluminescenza e l’archeomagnetismo. 

Dopo un incendio, la perdita di vegetazione espone poi il suolo all’erosione causata da piogge e vento. Questo fenomeno può portare alla perdita di strati archeologici, rimuovendo preziosi contesti stratigrafici che sono essenziali per la datazione e l’interpretazione delle scoperte archeologiche.

L’ingiustizia climatica, che si manifesta in Sardegna con l’espansione dell’eolico industriale e le sue strutture accessorie – come il Thyrrenian Link –, rischiano di esacerbare questo fenomeno, contribuendo all’abbandono dei terreni che, diventando incolti, accumulano materiale secco e combustibile. Le osservazioni negative della Soprintendenza Speciale sui progetti del mega-eolico sottolineano inoltre un potenziale rischio di ostacolo alle operazioni antincendio per le mega-pale, limitando con la loro presenza l’accesso ai mezzi aerei e terrestri e rendendo più difficile la gestione degli incendi boschivi.

In questo contesto di rapidi cambiamenti climatici, il patrimonio della Sardegna diventa una priorità urgente. L’espansione dell’eolico industriale, sebbene promossa come soluzione sostenibile, non costituisce una valida alternativa all’attuale modello di produzione ma riproduce vecchie logiche di sfruttamento dei territori. È cruciale invece adottare un approccio integrato per garantire, nella lotta al cambiamento climatico, il rispetto delle comunità locali, la cui memoria è conservata è trasmessa attraverso il patrimonio archeologico e culturale.   

https://www.italiachecambia.org/sardegna/

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