DOMUS DE JANAS: LA “MEZZA SARDA” MYRIAM RACCAH A MILANO CON IL SUO PLURIPREMIATO DOCUMENTARIO

Myriam Raccah nella foto di Gabriel Bertholon

Myriam Raccah, aldilà del cognome ha mamma sarda di Posada, e come mi dice lei è “mezza sarda”, al Cinema Palestrina qui a Milano dove, dopo la proiezione del suo pluripremiato documentario: “Domus de Janas”, si intratterrà  con il pubblico presente non proprio numerosissimo in verità. “ Non ho mai vissuto in Sardegna, anche se ci andavo praticamente tutte le estati, e sono arrivata ad Oliena un po’ per caso, anche il titolo del cortometraggio inganna un po’. Le domus de janas si vedono di scorcio e non occupano di certo il centro della narrazione. Che si dipana seguendo poeticamente il ricordo che gli anziani conservano del loro paese, un po’ quello che ha svolto nei suoi libri Dolores Turchi, che mi ha molto influenzata. E anche le cronache di Grazia Deledda che, da ragazzina ancora non scrittrice di romanzi, mandava alla Rivista delle tradizioni popolari italiane col titolo “Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna”. Per il resto lascio spazio alla bellezza delle cose, dei paesaggi, cosa che dà modo allo spettatore di immergersi e di dialogare emozionalmente con essi. Il lavoro ha avuto un andamento lento, e i sopralluoghi sono proseguiti per quattro anni. Ho avuto la fortuna di trovare una Oliena accogliente che mi ha permesso di portare avanti un lavoro davvero collettivo. Le inquadrature della natura e dei personaggi hanno fatto il resto. Tutto il paese si è attivato perché ha capito la difficoltà di rendere palpabile la magia che ancora lo attraversava. Il film comunque è “molto scritto”, anche se non vi sono attori professionisti, ho concesso molta libertà d’espressione, anche ai ragazzi che, quando vogliono, si esprimono in sardo, e naturalmente quando cantano “a tenore”. Il contrappeso del tutto è questo film che un po’ ti fa entrare nelle storie paesane e un po’ ti fa uscire. Durante le riprese ricevevo mediamente una cinquantina di messaggi WhatsApp al giorno, di gente che mi chiamava per suggerirmi questa o quella scena che per loro era importante nella rappresentazione del paese. E poi naturalmente c’era Pina Monne e il suo murale in costruzione, coi contadini seduti dinanzi che commentavano davvero il suo lavoro, quella porta dipinta sul monte Corrasi diventava più reale del vero. Con tutta la difficoltà di rappresentare la cultura sarda, fatta di silenzi e espressioni misurate. A Oliena anche i bambini parlano in sardo, fa parte di quei paesi che hanno saputo conservare lingua e tradizioni, altri sono stati quasi trasformati dal turismo e hanno scordato quello che era il modo di vita di un popolo intero. Il documentario mischia finzione e realtà, i dialoghi sono comunque spontanei e mostrano tutto l’orgoglio delle persone nel dichiararsi sarde. Solo per due giorni i ragazzi che “sono stati attori” andando a scoprire sulle falde del Corrasi le grotte in cui i vecchi dicevano trovarsi favolosi tesori, hanno avuto una retribuzione. Tutti gli altri hanno semplicemente sentito il bisogno di mostrare quali fossero le loro tradizioni. Anche Antonio il pastore e guardia forestale col suo monologo sul fuoco e su quell’ago d’oro che si sarebbe potuto ritrovare là, vicino alle domus de janas, loro le piccole fate che lo usavano per  le trame dorate degli incantati ricami. Il murale che ho ordinato a Pina Monne è un ricordo del film che resterà nel paese, un modo per ringraziare tutti”. Pina Monne è lei stessa personaggio capace di riempire un film. Nata a Irgoli da Giovanni Maria fabbro e Rimedia casalinga (copio da Lucia Becchere su “Tottus in Pari” del 24 luglio scorso) “ha realizzato il suo primo murale disegnando elefanti e giraffe sui muri dell’officina del padre, un vero artista del ferro, mentre nei quaderni delle elementari già scriveva che nella vita avrebbe voluto fare solo l’artista. Dopo le medie si era iscritta all’istituto d’arte di Nuoro ma ha dovuto frequentare le magistrali perché i genitori volevano che facesse l’insegnante”. Geniale autodidatta la definisce la Becchere e instancabile creatrice, dico io, se è vero che ha realizzato murales per 88 comuni della Sardegna. Continua Lucia Becchere: “ Muralista, pittrice e ceramista raffinata, Pina Monne è un’artista di fama internazionale. Ha lavorato in Francia, Inghilterra, in Grecia per l’associazione muralisti di Atene e a Betlemme per i salesiani dove ha insegnato nella scuola di ceramica per i ragazzi Palestinesi traumatizzati dalle bombe. Attualmente a Telti sta lavorando su due bassorilievi in ceramica di 3 metri per 2 che l’amministrazione comunale intende collocare all’ingresso del cimitero, uno rappresenta la deposizione e l’altro la resurrezione di Cristo”. Ancora questa è la Sardegna che non si arrende del tutto a codesta modernità che tutti omologa e appiattisce. E naturalmente è una Sardegna che stupisce per questa resilienza che sa ostentare in maniera orgogliosa anche. All’estero anche, se è vero che il cortometraggio ha ricevuto consensi non scontati, a Bruxelles dove vive e lavora Myriam Raccah, ha vinto il primo premio della giuria e del pubblico al Festival Internazionale Art Film 2023 e il premio per il miglior lungometraggio al Festival Film 2024 Ann Arbor negli Usa. Che è in vero una cosa grossa, il festival fondato nel 1963 è arrivato alla sua 62° edizione, senza ombra di dubbio il più vecchio festival di film sperimentali e d’avanguardia di tutto il Nord America. Tutti gli anni seleziona dai 100 ai 140 “corti”, intorno ai 60 minuti di proiezione, quelli non in lingua inglese debbono naturalmente avere i sottotitoli. E per questo girato a Oliena alcune volte i sottotitoli dovrebbero essere in italiano, che le vecchie signore che ricordano il loro tempo di quando “brincavano” il fuoco di Sant’Antonio si esprimono ovviamente in sardo, così come le voci del “canto a tenore” dei ragazzi del resto. Anche se l’impressione che ne viene è sempre quella di una “voce che canta dal passato”, mischiata com’è dalle fronde del lentischio che si muovono in sintonia col vento che le fa vibrare. Bevono anche birra al tavolino del bar i giovani sardi di Oliena, e come potrebbe essere altrimenti, si scambiano battute in sardo, qualcuno esibisce un orecchino poco vistoso, ma chissà i commenti degli anziani…Ai miei tempi guspinesi, primi anni cinquanta del secolo scorso, sarebbe stato scandalo grande, e i pettegolezzi sarebbero volati di vicolo in vicolo in un battibaleno. Quella che vediamo nel “corto” è quindi l’Oliena “odierna” di Myriam Raccah, che predilige primi piani di visi (quasi tutti maschili) che si mischiano alle faville dei fuochi, accesi per Sant’Antonio o minacciosi sui contrafforti del monte, e grazie a dio sarà la pioggia a porre fine alla sua minaccia. La sua magia è costituita nell’aver saputo rendere le cose di tutti i giorni del paese come fossero soffuse di una storicità consolidata, facente parte del sentire comune, di cui non è neanche il caso di sottolineare le particolarità, ma che rendono la vita immensamente più ricca, e degna di essere vissuta. Sfido che è molto piaciuta persino nell’America del nord! Quando i ragazzi entrano nella grotta, di notte, si percepisce la loro paura, che non sia quello un anfratto di qualche coga… ( surbile nella Sardegna centrale, stria in Gallura): “persone viventi” particolarmente attratte dal sangue dei neonati, sono avvezze a stringere un patto col demonio, che consente loro di cambiare aspetto, trasformandosi in animali di piccola taglia- gatto, moscone, uccello-, in fumo o in ghiribizzi tali un gomitolo di cotone ( vedi: Valentina Porcheddu in :”Cogas, perturbanti donne-vampiro, nella terra di Sardegna, fra fate tessitrici (“janas”) e streghe malevole”. Nel “Manifesto” culture di venerdì 23 agosto). Sempre nel medesimo articolo, alle surbiles accenna Deledda in Canne al vento. L’autrice ricorda che da bambina, spaventata da queste figure immaginarie di vampiri, fate maligne e infernali “turava ermeticamente ogni buco della serratura non potendo appendere la falce in capo al letto”. Cosa che l’avrebbe messa al sicuro in quanto potentissimo amuleto. Parafrasando Matteo Boscarol che parla di un suo “grande documentarista” giapponese: “…siamo di fronte a un lavoro che cattura il fluire del tempo e i piccoli momenti prediletti dalla macchina da presa, riflettendo allo stesso tempo sul significato dell’atto cinematografico in sé e come questo sia indissolubilmente legato alla creazione di memorie”. A perenne memoria di quest’evento a Oliena rimarrà il murale di Pina Monne, ne parleranno in paese per anni e anni: era il tempo dei fuochi di Sant’Antonio, quell’anno, non ci crederete, c’erano in cielo il doppio delle stelle di sempre.

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Un commento

  1. Cassandra Casagrande

    Un documentario fantastico, ottimo articolo, Pina Monne fantastica

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