INTRECCI GIORNALISTICI: PAOLO PULINA, SERGIO PORTAS, ANTONIO GRAMSCI E ‘TOTTUS IN PARI’

Paolo Pulina

L’incipit di Gianraimondo Farina su “Tottus in Pari” del 9 agosto scorso, a titolo: “Paolo Pulina (1948-2024) : quando la cultura sarda costruisce ponti”, mi riporta alla mia infanzia guspinese, quando il silenzio assolato del meriggio estivo veniva improvvisamente interrotto dal suono delle campane “ a morto”, e ognuno scrutava sgomento il vicino interrogandosi su chi fosse la persona che ci aveva lasciato per sempre: “ L’emigrazione sarda, tutta, organizzata e non, è in lutto. La notte del 27 luglio è venuto a mancare una delle sue “anime” e “cuori” pulsanti del mondo de “su Disterru”. Uno per cui…la parola cultura non è mai banale. Questo, sostanzialmente, è stato Paolo Pulina da Ploaghe, pavese d’adozione. Uno per cui costruire ponti è stata la normalità. Lungo tutta la sua vita, dedicata alla cultura e alla diffusione, in tutte le sue forme, della cultura sarda”. Tutto l’articolo è davvero magistralmente scritto, faccio mie le parole di Renata Asquer, lei scrittrice di libri, che così lo commenta: “Bellissimo questo ricordo del grande Maestro, Paolo Pulina! E’ completo di tutte le tappe esistenziali più importanti, con le opere letterarie legate tutte dal filo conduttore della nostalgia e dall’amore per le sue radici sarde, per Ploaghe e per tutta la sua isola. Risalta sempre in tutto ciò che Pulina ha scritto, il suo messaggio: la cultura come ponte tra tutte le terre, in particolare con la Terra che dovette troppo presto abbandonare e mai dimenticare. Inoltre dall’intero scritto di Raimondo Farina, emergono-dando luce al suo vissuto-le molteplici qualità dell’animo appartenute a Paolo da quelle intellettuali a quelle, rare, di una grande sensibilità e umanità”. Con Paolo ho fatto un percorso di vita parallelo, per quanto riguarda l’unità d’intenti, da…sempre, perlomeno da quando, cronista di Gazzetta, ho preso a frequentare i convegni della FASI (Federazione Sardi Italia) . Lui sempre presente, come giornalista che avrebbe curato la pubblicazione degli atti, immancabilmente seduto accanto a Massimiliano Perlato di “Tottus in Pari”, attento a ogni intervento, anche i più noiosi e pedanti. Quante volte l’ho visto alzare gli occhi al celo a sentire l’ennesimo discorso populista dell’ennesimo politico sardo venuto a portare i saluti del presidente regionale di turno. E ci si scambiava allora un gesto di sconforto: “Questo è quello che passa l’intellighenzia politica sarda: che dio ce la mandi buona”. Perché se c’era una cosa che lo faceva andare in bestia era proprio il pressapochismo, sentire argomentazioni che si basavano su impressioni personali e poco più, prive di spessore, e senza che alle spalle fossero supportate da una qualche lettura che avvalorasse l’argomento che veniva trattato. Non sopportava, Paolo, il dilettantismo esibito in maniera spudorata specie da chi, occupando una qualche carica pubblica, non importa di quale parte politica fosse, non si vergognava di “sparare cazzate”, una più grossa dell’altra. Io pure, del resto. E altra cosa che contribuì, in maniera determinante, a considerarci facenti parte della medesima squadra, quella che guarda i fatti della vita, della politica, con gli occhiali tarati sulle problematiche che innanzitutto riguardano gli ultimi, i meno fortunati. Ad avvalorare questa scelta, grande mediatore comune, fu l’interesse per la vita e gli scritti del più grande pensatore a cui la Sardegna abbia mai dato i natali: Antonio, Nino Gramsci. Paolo ci scrisse la sua tesi di laurea in lettere alla Statale di Milano, ma fu la frequentazione del liceo Azuni di Sassari che lo buttò tra cotante braccia, fu il professor Manlio Bragaglia, grande figura dell’intellighenzia isolana, che svezzò il ragazzino di Ploaghe e gli dispiegò le infinite possibilità che potevano aprirsi all’appropriarsi di una “certa” cultura, fatta di sudore e studio critico sulle fonti, ottenendo il premio finale di poter meglio scrutare il sostrato delle cose del mondo, quel mondo che Gramsci avrebbe detto grande e terribile. Quando gli venne di definirlo così era il 1923, ospite di una casa di cura nella Russia sovietica, otto chilometri da Mosca, scrutava in lontananza la figuretta della ragazza di cui si era innamorato che si stava allontanando, Giulia caracollava portando sulle spalle la custodia del suo violoncello, la treccia chiara dei suoi capelli che sbandava a destra e sinistra, gli apparve così assolutamente indifesa… e temeva che il mondo gliela avrebbe inghiottita. Come aveva fatto dei milioni caduti nella recente grande guerra, dei milioni di caduti nella recente rivoluzione sovietica. In Italia Mussolini aveva fatto spiccare per lui un mandato d’arresto: reato di conclamato comunismo. Per avere una seppur pallida idea di cosa abbia fatto Paolo per promuovere la conoscenza della figura e degli scritti gramsciani basta cliccare su Google e dirgli di cercare il numero speciale che “Tottus in Pari” pubblicò nel gennaio 2021 in occasione del 130° anniversario della nascita ( Ales , 22 gennaio 1891), numero speciale che Paolo Pulina curò pubblicandovi le cronache dei convegni gramsciani tenuti fuori dalla Sardegna a cui lui aveva partecipato e alcuni organizzato, nel periodo dicembre 1995-dicembre 2020. Di quello tenutosi a Sesto San Giovanni il 23 settembre 2007 ho buona memoria perché fu lì che Paolo mi presentò a Massimiliano Perlato e iniziò la mia collaborazione “ufficiale” con il sito www.tottusinpari.it  che portava avanti con successo crescente, se è vero che ha raggiunto da poco il numero di 1000 uscite. Come che sia, come mi venne in mente di “fare un’intervista a Gramsci”, sulla falsariga di quelle che la “Gazzetta del Medio Campidano” metteva in pagina ogni quindici giorni e, giustamente, il direttore GianPaolo Pusceddu trovò che, data la sua lunghezza, anziché pubblicarla a pezzi sarebbe stato il caso di farne un piccolo libro (che Mediatre editrice dette alle stampe nel 2011: Antonio Gramsci: coscienza internazionalista e subconscio sardo) mi venne spontaneo che, per la prefazione, di rivolgermi a Pulina. Che, al solito fu molto generoso, mandandomi in risposta uno scritto molto denso che GianPaolo mise parte all’inizio e parte alla fine del libro. Pietro Picciau sull’”Unione Sarda” si mostrò d’accordo con me, trovando “irresistibile l’idea di intervistare Antonio Gramsci…Portas mette mano alla corrispondenza gramsciana dal carcere e la lettura che ne fa “è certo tesa a scovarvi”, scrive Paolo Pulina nella prefazione al volume, “tutti i riferimenti che esse contengono alla storia, alla cultura, alla mentalità, ai costumi dei paesi dell’isola e dimostra quanto fosse il cordone ombelicale che legava il nostro illustre conterraneo alla terra natale”. Ma fu la postfazione, a mio avviso, che arricchì il volumetto che ne venne fuori: Paolo la intitolò: Gramsci emigrato sardo. In essa Paolo, scrivendo della vita di Nino fuori dall’isola, rivede un po’ se stesso, ne fa il prototipo del “vero emigrato”. Pretendo a spunto tre tra i tanti studiosi che di Gramsci si sono occupati ( Giovanni Spadolini, Michael Walzer e James Joll) scrive: “ Ebbene tutti e tre sentono la necessità di soffermarsi sul legame indissolubile che Gramsci mantenne con la Sardegna anche dopo che se ne allontanò verso la fine dell’estate del 1911 per andare a studiare alla “Facoltà di lettere per Filologia moderna” all’Università di Torino, in quanto vincitore di una borsa di studio di 70 lire mensili, per dieci mesi all’anno, offerta dal Collegio Carlo Alberto di Torino agli studenti disagiati delle vecchie provincie del Regno di Sardegna”(pag.87,op.cit.). 70 lire voleva dire a Torino, dormire senza riscaldamento alcuno e fare la fame. Già a Cagliari, studente del prestigioso “Dettori”, Nino scrive al padre che non gli ha mandato i soldi per rifarsi un vestito, il 10 febbraio 1910: “…IL 26 febbraio gli studenti del 2° e 3° anno di liceo faranno una gita a Guspini, per visitare le miniere di Montevecchio, perché studiano mineralogia, e quindi dovrò andarci anch’io, e sono proprio indecente, con questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida…oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe” (pag.89). Non ne aveva che un paio Nino, e vien da pensare che abbia dovuto attendere in bottega che il ciabattino terminasse il suo lavoro, prima di poter tornare a casa. E i più allora vivevano la medesima condizione di povertà. Io che sono del ‘46 me lo ricordo bene che quasi tutti i bimbi del vicinato andavano in giro scalzi. Sardegna arretrata, e come scrive Aldo Aledda (i sardi nel mondo, Cagliari, Dattena 1991) la motivazione più diffusa che sta alla base del movimento migratorio è il desiderio di lasciarsi alle spalle un “ modello economico, sociale e culturale arretrato”. Scrive ancora Paolo: “A noi emigrati non interessano le lamentazioni elegiache dei nostalgici che solo attraverso un cordone ombelicale virtuale  esprimono i propri sentimenti di amore per la Sardegna. Chi si sente emigrato cerca il contatto con “gli uomini e le donne in carne e ossa” (per dirla con Gramsci) che provengono dalla sua stessa regione e la lingua e la cultura cerca di farle rivivere in un rapporto concreto, e non solo simbolico, con i propri conterranei” (pag.91). Occorre far tesoro della possibilità di far parte di due o più culture, non restando passivi ovviamente ma, ricordando i termini categorici che ha usato il sardo Antonio Gramsci- emigrato sardo anche lui!:  “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con uno speciale tirocinio oltre che mentale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”: Quartu Sant’Elena, Paolo Pulina alla tribuna, 30 ottobre 2016.

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