Lorenzo Pireddu
di SALVATORE SANTONI
Da Oristano alla California, passando per Bologna, Milano e Amsterdam. Non poteva che essere una vita in continuo movimento quella del general manager di Uber Italia, il ramo italiano del colosso americano che ha rivoluzionato il trasporto automobilistico. Lui ha 41 anni, si chiama Lorenzo Pireddu, e questa è la sua storia di successo.
Ci dica subito qual è il suo segreto, come si fa ad arrivare ai vertici di un colosso della Silicon Valley? «Il mio percorso lo definirei insolito e poco lineare, perché fatto di sfide, scommesse e un po’ di incoscienza. Ho sicuramente avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha dato l’opportunità di formarmi a livello accademico, ma soprattutto mi ha insegnato l’etica professionale e il rispetto per il lavoro».
Il suo curriculum? «Dopo gli studi scientifici, come tanti sardi, avevo una gran voglia di vedere il mondo e allargare i miei orizzonti. Quindi Economia prima a Bologna, e specializzazione a Milano (Bocconi). Poi ho cominciato la mia carriera come stagista sempre a Milano in un’agenzia di comunicazione digitale (la 77Agency), ai tempi ancora piccola ma molto ambiziosa. Erano gli anni del boom dei motori di ricerca e di lì a poco dei social media, con grandi opportunità inesplorate. Infatti, dopo solo pochi mesi il mio primo capo ha scommesso su di me e ho avuto la grande opportunità di aprire una sede della società ad Amsterdam. Avevo soltanto 25 anni e mi ci sono buttato con molta incoscienza e inesperienza, ma tra mille difficoltà iniziali le cose hanno cominciato a girare e in cinque anni abbiamo costruito una cosa importante, lavorando con clienti di rilievo internazionale (Banca Ing, Abn Amro, T-Mobile, e altri)».
Altre esperienze lavorative? «Successivamente sono tornato in Italia all’interno dello stesso gruppo ma da Partner, per gestire un nuovo progetto (GotU.io), sempre legato alla comunicazione digitale, che ha avuto un successo immediato e abbiamo quindi deciso di esportarlo in tutto il mondo. Da qui la mia seconda esperienza all’estero, questa volta a Los Angeles dove, un po’ come per la prima, ho aperto la sede statunitense».
Quando e come arriva in Uber? «Vivevo in California, non avevo la macchina e usavo Uber anche per andare a fare la spesa, questo mi ha fatto realizzare che servizi di questo genere funzionano possono davvero migliorare la vita delle persone. Quando si è presentata l’opportunità di sviluppare un concetto simile anche nel nostro Paese non ho esitato».
Qual è il suo rapporto con l’isola? «Sono partito molto giovane ma ho sempre mantenuto un gran legame con la Sardegna, infatti sono sempre tornato anche per il rapporto molto stretto che ho con la mia famiglia. Pur vivendo a Milano con la mia compagna, quando è possibile cerco sempre di tornare, in questo Uber è un’azienda molto moderna perché permette di bilanciare lavoro e vita privata con flessibilità».
Ogni tanto ritorna a Oristano? «Assolutamente sì, ci sono nato e cresciuto. Qui ho ancora gran parte dei miei affetti (soprattutto i miei due nipotini di 4 e 8 anni) e delle mie amicizie. Infatti, torno ogni volta che posso anche per via di un legame molto stretto con la nostra natura e il nostro mare. Sono un appassionato di surf e avere una base sulla costa ovest da questo punto di vista è un grandissimo privilegio. Fare surf in una giornata d’inverno a Capo Mannu per me è un’esperienza impareggiabile».
Uber collabora con qualche azienda sarda? Avete qualche progetto particolare in Sardegna? «Dall’anno scorso collaboriamo con tre radiotaxi locali (Radio Taxi Rossoblu a Cagliari, Consorzio Taxiamico a Quartu Sant’Elena e S.T.L Taxi a Olbia). Poi, da maggio di quest’anno abbiamo allargato la collaborazione a società di noleggio con conducente che dal giorno del lancio sono in costante crescita perché stanno riscontrando nella nostra applicazione opportunità di business molto interessanti. Stiamo portando valore a tutte queste realtà che hanno deciso di lavorare con noi e siamo convinti che il comparto del trasporto non di linea possa crescere ulteriormente portando opportunità e benefici a molti più operatori locali, aiutandoli a lavorare più efficientemente sia in alta che in bassa stagione».
In fin dei conti Lorenzo, lei gestisce una grande azienda di trasporti. Cosa pensa di quelli che abbiamo in Sardegna? Ha qualche ricetta per migliorare le cose? «Crediamo che al centro di qualunque ragionamento vada messo l’utente, non solo il turista ma anche il sardo, che sempre più frequentemente ricerca servizi di trasporto tramite applicazioni tecnologiche. Questo vale per la mobilità su gomma ma anche per quella su rotaia, aerea e marittima. Per questo crediamo che possano funzionare partnership come quella che abbiamo siglato di recente con Italo, per permettere agli utenti di programmare il proprio viaggio da “porta a porta”. Questo concetto è facilmente replicabile se arrivo con un traghetto o in aereo: non posso impiegare un’ora di volo per poi aspettare due ore una macchina che mi porti a destinazione».
Se le dico destagionalizzazione, a che cosa pensa? «Dico una cosa magari scontata ma sempre attuale: allungare la stagione turistica è possibile, soprattutto nella nostra bellissima isola. Abbiamo una combinazione di elementi unici al mondo come il clima, la tradizione e la varietà di mete turistiche. Ciò che serve è una pianificazione specifica e coraggiosa da parte delle istituzioni, e un cambio di passo da parte degli operatori che credano nel fornire servizi di livello anche in primavera e autunno. Noi come Uber abbiamo intrapreso proprio questa strada: il nostro servizio in Sardegna non sarà stagionale ma presente tutto l’anno, anzi ci impegneremo maggiormente durante la bassa stagione perché è lì che possiamo fare la differenza per gli operatori locali e per i sardi».