Costantino Meucci
di CARMEN SALIS
Costantino Meucci ci regala un’altra opera letteraria, Castiàda, il nuraghe del mistero – Edizioni Amicolibro, una storia avvincente che ci porta a ripercorrere la storia antica della Sardegna.
Costantino, sei romano ma innamorato di un’isola che hai scoperto grazie al tuo lavoro. Scoprii il nord della Sardegna e soprattutto il maestrale nel lontano 1971: eravamo due coppie felici e desiderose di nuove scoperte. Quella terra mi piacque subito, così come il suo mare, un elemento che per me, subacqueo fin da bambino, non poteva mancare in una vacanza. Ma fu la vita dei piccoli paesi dell’entroterra a colpirmi maggiormente. Scoprii che esisteva in quelle realtà una sorta di fratellanza spontanea che si esprimeva nel supporto vicendevole nelle calamità come nelle feste. Un richiamo corale alla partecipazione attiva a ogni evento della vita. Così mi ritrovai a ballare con i paesani cercando di imitare i loro saltelli e i piccoli passi del ballo tondo. Altre volte tornai in Sardegna e, nella Bosa del mio compianto amico fraterno Guido, bosano doc, scoprii un’altra Sardegna, quella delle coltivazioni della malvasia e delle tradizioni contadine. Ancora una volta mi trovai a far parte di una comunità nella quale non c’era distinzione tra isolani e continentali, purché i rapporti fossero stabiliti sul reciproco rispetto. Un tipo di rapporto che mi piacque allora e che ancora credo sia corretto. Nel 1992 fu l’archeologia subacquea a farmi tornare nel mare di Cala Sinzias per la verifica dello stato di conservazione di un relitto romano scoperto da due subacquei ternani che operavano in quella zona da più di dieci anni. L’anno successivo iniziò una collaborazione con la Soprintendenza archeologica di Cagliari che proseguì per quattro lunghi e avvincenti anni. Decisi allora che avrei abbandonato il mare della Grecia per quello del Sud della Sardegna. Sono stati trent’anni di viaggi continui tra Roma e Castiadas finché il COVID ha deciso il mio destino: abbandonare Roma e trasferirmi armi e bagagli in Sardegna. Da tre anni ormai sono a tutti gli effetti cittadino sardo e ne sono stramaledettamente felice.
I Personaggi di questo romanzo sono tanti, alcuni addirittura vengono dal passato. È vero, nel romanzo si incontrano tanti personaggi, ognuno con la sua storia e le sue peculiari caratteristiche. Sono per lo più personaggi contemporanei, figure che vivono in un presente che potrebbe essere il nostro. Altri, invece, sono figure remote che fanno parte del passato storico della Sardegna. Sono i nuragici che parlano e vivono in diretta la loro vita, le loro passioni. Quelli sono i protagonisti veri del racconto e tramite le loro vicende ho tentato di ricostruire uno spaccato della vita quotidiana di un periodo storico ancora ampiamente sconosciuto e dibattuto. Intendiamoci, non ho avuto alcuna intenzione di fare un’analisi storica di quel periodo, è un compito che lascio agli archeologi e agli specialisti. Però, la lettura dei testi di illustri studiosi, delle più recenti guide archeologiche dei nuraghi più famosi e studiati, nonché di articoli scientifici sulle diverse culture neolitiche della Sardegna, unita all’esperienza maturata sul campo e allo studio diretto di illustri monumenti dell’epoca (dal Santuario di Monte d’Accoddi, alla Tomba del Capo di Bonorva fino all’Ipogeo di San Salvatore in Sinis) e le ripetute visite a pozzi sacri e necropoli neolitiche dell’isola, hanno scatenato la mia fantasia. Da queste sia pure sporadiche conoscenze è scaturita la mia ricostruzione di uno spaccato della società nuragica tra il XIV e il XII secolo avanti Cristo. In questa ricostruzione ogni personaggio rappresenta un aspetto particolare della società dell’epoca: la pastorizia e l’artigianato, la produzione ceramica e gli scambi commerciali con il mondo mediterraneo, un aspetto, quest’ultimo, che a mio avviso ha fortemente contribuito allo sviluppo della società nuragica.
Hai deciso di affidare il ruolo più importante a una donna: Adriana Fantoni. Il mondo dell’archeologia è prevalentemente in mano agli uomini, ma per esperienza diretta sono consapevole che le donne hanno una sensibilità e una capacità di interpretazione dei dati archeologici spesso superiore a quella dei maschi. La figura di Adriana Fantoni ribalta lo stereotipo dell’archeologo all’Indiana Jones; è per questo motivo che ho voluto dare il ruolo di protagonista a una donna, descrivendola, peraltro, con tutte le prerogative di una donna moderna, dalla serietà e competenza professionale alle insicurezze e debolezze personali. Adriana è una donna dei giorni nostri che non si contrappone alla figura maschile, ma al contrario coinvolge i colleghi e i collaboratori in un rapporto paritario. Una visione del mondo del lavoro che si fonda sulla collaborazione e non sull’arrivismo. E questo è il frutto delle mie esperienze sui cantieri di archeologia subacquea dove i risultati si ottengono esclusivamente quando si fa lavoro di squadra.
Quando hai capito che oltre a divulgare ti piace anche raccontare? La mia professione di conservazione del patrimonio culturale mi ha portato a partecipare a numerosi convegni e a tenere conferenze su argomenti per lo più tecnico-scientifici. Però, mentre nella presentazione di un contributo scientifico occorre essere essenziali e puntualmente tecnici (spesso col risultato di vedere occhi che si chiudono per la noia), tenere una conferenza di quarantacinque minuti senza vedere la sala svuotarsi più o meno lentamente, richiede una particolare attenzione nell’elaborazione delle sequenze delle immagini e dell’esposizione. Il tono deve essere colloquiale, inframmezzato da commenti delle immagini e, all’occorrenza, da una battuta frivola per alleggerire la tensione. Questo modo di presentare argomenti complessi in modo semplice e facilmente comprensibile mi ha aiutato nella mia attività di docente universitario e forse si è anche affinato proprio grazie a quell’esperienza. Transitare dalla divulgazione scientifica all’affabulazione è stato quasi naturale. In questo mi ha molto aiutato l’abitudine di osservare il mondo con cui venivo a contatto nel corso dei miei viaggi traendone spunti e riflessioni che annotavo sui miei taccuini di viaggio. E allora perché non mettere insieme dei racconti di quelle esperienze dirette? Lo feci con la silloge dal titolo Carretera Nacional interamente ambientato in Perù e che vinse il primo premio al concorso letterario ‘Un Fiorino’ a cura della Montegrappa Editore di Monterotondo. Da quel momento ho iniziato ad alternare la stesura di testi tecnici con la narrativa di evasione, anche se devo confessare che la maggior parte delle mie storie ha un fondamento nelle mie esperienze di viaggio e nel mio sapere. D’altra parte, sono sempre lo stesso Costantino Meucci che scrive e racconta frammenti della propria vita.