VIAGGIO INTIMISTICO NEL MONDO DELLA SCRITTRICE BIANCA PIZORNO

Bianca Pitzorno nella foto di Daniela Zedda

Alghero, quasi fine estate, piazzetta sui bastioni, incantati dalla bellezza del profilo di Capo Caccia di sera. Mi incanto a guardarlo: lui lì, immutabile, ma nuovo ogni sera.

Mi chiamano, ritorno al presente: sono qui per presentare l’ultimo libro di Maria Antonietta Macciocu, scritto insieme a Ernesto Torta, Come lupo nella pioggia. Alghero è accoglienza, incrocio di culture e di mondi, di tramonti e di maerstralino la sera.

Stasera sono in molti davanti a noi che ci seguono nel viaggio delle pagine. Non fanno domande, ma sanno essere presenti. Li sentiamo in un abbraccio di libri e di racconti. Volano parole, emozioni, storie; storie di donne, perché la storia la fanno le donne, e non importa poi chi la scrive. Allora interviene Bianca Pitzorno, era tra il pubblico, silenziosamente regale, ma se si parla di condizione femminile, di cui scrive e si occupa molto attivamente, ha tanto da dire.  E non si dirà mai abbastanza.

Per questo quando finisce la presentazione del libro mi avvicino a lei per stringerle la mano. Una grande autrice, di fama internazionale, in fondo è una persona normale, e si concede senza nessun piedistallo.

Allora oso chiederglielo. Guardo in alto, il volo di due gabbiani che sfrecciano a una velocità folle mi fanno capire si può. Un attimo per trovare parole morbide e le sparo con delicatezza l’invito a rilasciare un’intervista per TOTTUS In PARI.

Mentre ci accordiamo per un appuntamento virtuale penso già alla prima domanda. Vorrei chiederle che effetto fa essere diventata tanto apprezzata e famosa. Ma no, non possiamo fare una domanda così stupita, a lei così normale; potrebbe rinunciare all’intervista. Sarebbe come se non ci interessasse niente di lei e ci fermassimo alle apparenze.

Ripassa uno dei due gabbiani di prima, ora plana fino ad adagiarsi sul muretto fortificato, quasi un balcone antico sul porto di Alghero e sul Golfo. Guarda anche lui l’orizzonte come  noi, forse ha in mente un viaggio, o l’infinito, come noi.

Ho capito, parleremo di animali, come il suo recente libro A chi smeraldi e a chi rane, come tutto quel mondo ancora da scoprire.

Sono giorni che sto cercando tra gli scritti dei grandi autori una frase, una sola frase, capace di esprimere tutto l’amore struggente che ispirano gli animali. Quell’amore che va da sguardo a sguardo, da pancia a anima. Non l’ho trovata. Ma poi ho pensato che di sicuro Bianca Pitzorno ce l’ha già nel cuore. “Non mi piacciono i sentimentalismi. Quello che so è che la natura è divisa in tre ‘regni’: quello minerale, quello vegetale e quello animale. Noi esseri umani apparteniamo al regno animale. Siamo animali come gli altri: tutti fratelli”.

L’amore per gli animali rischia di essere egoistico: un’esigenza nostra e non loro! Alla fine sollevi questo dubbio strisciante che mi ha messo profondamente in crisi. Un castello che crolla, e forse siamo davvero inadeguati a questo mondo. Accettare la Natura non è scontato, ma ci sia arriva in un lungo percorso con tanto amore e qualche disillusione. Perché, se è vero amore, un po’ si soffre. Questo sembra sussurrarci il tuo A chi smeraldi e a chi rane: era qui che ci volevi portare? “In genere non è mia intenzione lanciare ‘messaggi’. Nello scrivere questo libro ho raccontato di episodi realmente avvenuti, e dei miei sentimenti che li hanno guidati. Però, man mano che scrivevo, mi rendevo conto di quanto egoismo ci fosse dietro questi miei sentimenti. E ho maturato, prima per me stessa che per eventuali lettori, la consapevolezza di quanto sia crudele considerarsi ‘padrone’ di un animale, ‘possederlo’, tenerlo in casa e costringerlo alle nostre abitudini. Se li amiamo davvero dobbiamo lasciarli liberi, come mi ha insegnato la tartaruga Zafferana. Anche se rinunciare a ‘possederli’ qualche volta ci fa soffrire. Ma questo accade anche negli amori tra esseri umani”.

Ho visto con grande piacere il film-documentario che suggerisci: Il mio amico in fondo al mare (Netflix 2023). Ti posso dire che adesso ho capito, come un cielo nuvoloso improvvisamente limpido ho visto chiaro: amare gli animali non è solo empatia, è educazione sentimentale. Amare gli animali, parafrasando il protagonista del film, è un contatto intimo con la Natura dove impari la gentilezza e il rispetto. Perché quelle fantastiche creature ci danno tantissimo, allora ti chiedo: gli animali ci insegnano? Sì, ci insegnano a non essere crudeli gratuitamente. L’essere umano è l’unico animale che fa soffrire i propri simili e gli altri animali senza necessità, per puro divertimento. Anche il gatto che ‘gioca’ col topo lo fa non per cattiveria ma per stancarlo e potere così saziare la propria fame, oppure per insegnare la caccia ai cuccioli, come mi ha insegnato la gatta matriarca Stumbadda.

Nella tua casa a Milano, dove sogni, pensi, scrivi, hai esposta qualche bella foto della Sardegna? Qualche immagine che ti lega alla nostra Isola, e che ti fa emozionare, ricordare le nostre origini tra vento e mare? Su una porta ho incollato un grande plastico della Sardegna, con tutte le sue montagne in rilievo. Chi la guarda si meraviglia, perché è abituato a identificarla col cliché ‘vacanziero’ di spiagge, vento e mare. La Sardegna che io più amo è quella dell’interno, in particolare la regione del Montiferru, l’altopiano di San Leonardo delle siete fuentes, vicino all’Antenna di Badde Urbara, dove per tutti gli anni della mia adolescenza e giovinezza ho passato lunghi periodi in campeggio, cercando sotto le querce fragoline selvatiche, funghi ed elicrisio, saltando sui massi dei piccoli torrenti, riempiendo dalle fonti- sus casntareddus– le brocche di terracotta con l’ottima acqua sorgiva. Il mare di Santa Caterina di Pittinuri lo vedevamo in fondo a un azzurro e infinito ‘color di lontananza’.

Chiudi gli occhi, anzi, immagina di essere proprio bendata, di salire sulla macchina del tempo, e di sbarcare dopo pochi secondi e tanti anni nel porto vecchio di Stintino, nel cuore degli anni Cinquanta. Da cosa riconosci quel molo e quel tempo? Dalla ‘Nave Cisterna’ ancorata al largo e dai moltissimi tubi di tela gommata che raggiungevano il paese e attraversandone le strade entravano in ogni casa e rifornivano la cisterna di ogni famiglia, da cui noi attingevamo l’acqua da bere con un secchio di zinco.

Abiti a Milano, che nonostante ciò che dicono è una bellissima città, e hai girato mezzo mondo. Ti chiedo, quando sei lontana cosa ti porti dentro della Sardegna? Cosa in particolare ti fa emozionare e ti fa volare sopra una leggerissima nuvola di nostalgia? Quando sento, magari senza vederlo, qualcuno che parla l’italiano col nostro accento, con le nostre inconfondibili doppie. E di cui riconosco immediatamente se è cresciuto al nord come me o se è campidanese.

La tua scrittura è fantastica, lineare, immediata. Non è un complimento è la verità, te lo avranno detto tanti professoroni. La semplicità che tu fai sembrare facile sappiamo che è la cosa più difficile del mondo; come ci si arriva? Il pensiero si compone rettilineo dentro di te per dono di natura, o si suda a lungo con forbici e colla, lima e ricerca infinita? “Io prima che scrittrice sono narratrice. Narratrice orale. Mi piace ascoltare e raccontare storie, a voce. Mi piacciono le storie raccontate dal cinema, dal teatro, quelle raccontate dai quadri. Le storie entrano dentro di me in varie forme e in varie forme escono. Di queste forme ho sempre preferito la più semplice. Quando ho pubblicato i primi libri mi sono messa davanti a uno specchio e mi sono detta: ”Guai a te se usi una sola parola che non useresti raccontando alla tua domestica analfabeta quello che ti è capitato la mattina al mercato.” Da questa decisione nasce la mia ‘medietà espressiva’ così definita dal professor Luigi Matt* nell’articolo Orientamenti (e disorientamenti) della narrativa italiana apparso nella sezione Lingua Italiana dell’Enciclopedia Treccani: “l’adesione senza riserve alla medietà espressiva è perseguita non cedendo alla tentazione della mediocrità, ma anzi sfruttando a fondo le risorse di precisione, concretezza, intelligenza e anche eleganza che la lingua comune offre a chi se ne sa servire. Un buon esempio è La vita sessuale dei nostri antenati di Bianca Pitzorno, convincente esemplare di saga familiare condotta senza alcuna concessione ai cliché del genere”

*Luigi Matt insegna Storia della lingua italiana nell’Università di Sassari. È condirettore degli «Studi linguistici italiani». Ha pubblicato tra l’altro Teoria e prassi dell’epistolografia italiana tra Cinquecento e primo Seicento. Ricerche linguistiche e retoriche (Roma, Bonacci 2005), Gadda. Storia linguistica italiana (Roma, Carocci 2006), La narrativa del Novecento (Bologna, Il Mulino, 2001), Forme della narrativa italiana di oggi (Roma, Aracne, 2014).

Sei molto apprezzata come scrittrice sia per ragazzi che per adulti; anche se da oltre vent’anni ti rivolgi solo a questi ultimi. Quindi la scrittura per ragazzi la consideri una esperienza ormai chiusa? Però ti ha segnato, e ancora adesso quei libri hanno tanto successo. Sembra quasi che quella tua cifra di scrittura così alta e limpida possa avere un ascendente dal genere junior. “Purtroppo il cliché di ‘scrittrice per ragazzi’ mi è rimasto appiccicato addosso, nonostante sia quasi un quarto di secolo che non scrivo più libri per loro. Quando ho cominciato a pubblicare, nei primi anni Settanta del Secolo scorso, ero in età di riprodurmi, avevo attorno tanti bambini, parlavo con loro, mi facevo raccontare le loro esperienze, desideri, paure. Li ascoltavo, raccontavo loro a voce, mi divertivo a fare insieme a loro giochi di parole, a inventare lingue inesistenti. Io però ero un’adulta, frequentavo adulti, leggevo libri e guardavo film per adulti… e scrivevo anche libri per adulti. Il romanzo storico Vita di Eleonora d’Arborea è del 1984, un anno prima de L’incredibile storia di Lavinia. Ciò che cambiava nei due generi non era la lingua, che come sempre cercava la massima chiarezza e semplicità. Erano i temi, gli argomenti (che prima di tutto però dovevano stare a cuore a me). Il lettore adulto apprezzava l’immersione negli archivi per ‘inseguire il fantasma di Eleonora’, il bambino di sei anni si estasiava davanti all’anello magico di Lavinia che trasforma tutto in cacca.

Poi gli anni sono passati, i bambini che conoscevo sono cresciuti, io sono invecchiata, sono cambiati i miei interessi. E ho smesso di scrivere per bambini. Gli ultimi sono del 2004, anche se tutti, compresi quelli del 1974 come Clorofilla dal cielo blu, continuano ad essere stampati e venduti. Oggi quello di cui più mi interessa scrivere è la condizione femminile nella nostra società, in altri paesi, nel passato. E la vecchiaia che si volge indietro a ‘ricordare’. Non per nulla come formazione sono archeologa, ho studiato con Lilliu, ho fatto la mia tesi su un nuraghe. Oggi quello che più di tutto mi interessa è ‘come eravamo’, noi e i nostri antenati.”

E poi bisogna ricaricare le pile! Capita anche a te di avere dei momenti di buio dalla scrittura? Dei periodi in cui ti devi tuffare con tutta l’anima dentro la vita, senza pensarci. Di attraversare giornate futili senza senza che siano appunti della memoria; che tanto poi le emozioni, quelle vere, sono scogli affioranti che potrai vedere anche da lontano, e tornarci per un nuovo tuffo, e questa volta nel mare. “Non ho mai avuto la ‘crisi della pagina bianca’. Né ho mai preso appunti per prepararmi a scrivere. Raccontare una storia è per me la cosa più facile e spontanea che ci sia. Anche se dietro ai diversi romanzi storici ci sono spesso ore e ore di studio, di ricerca e di lettura. Può succedere che sia costretta a delle pause, ma semplicemente per fatica fisica. A stare seduti tante ore al computer finisce che fa male la schiena, e la mia schiena ha 82 anni. Mi sto allenando a usare un programma in cui io detto a voce, e il computer scrive. Quando lo padroneggerò potrò raccontare per iscritto anche mentre faccio ginnastica o sto a letto”.

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3 commenti

  1. Maria Antonietta Macciocu

    Parlare con Bianca e’un piacere dell’intelligenza e del cuore che sente senza inutili sentimentalismii. Porle delle domande non scontate un pregio.
    L’intervista di Pierbruno Cosso ci restituisce Bianca com’e’, chiara, diretta, profonda, calata in realtà presenti e passate che coinvolgono tutti
    noi,ma che solo lei sa raccontare con l’incantesimo della scrittura lieve. La leggerezza cara a Calvino, che non e’ superficialità ma altro modo di volare sulle cose senza pesantezza, porgendole con esattezza di linguaggio pervaso di ironia.

  2. Pier Bruno complimenti! Bella intervista e Bianca Pizorno è una grande!

  3. Alessandra Azara

    Bella intervista!

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