LA SENSIBILITA’ SOCIALE DI ADRIANO CORONA NEL NUOVO ROMANZO “STIAMO VICINI CHE QUI NON SI TOCCA”

Adriano Corona

Adriano Corona presenta il suo secondo romanzo, Stiamo vicini che qui non si tocca – Edizioni Amicolibro all’interno del Festival di San Gavino Monreale. Un libro che vede confermare i la sensibilità dell’autore nel trattare argomenti di rilevanza sociale.

Adriano un libro che lascia da parte la finzione. La storia o le storie che racconto nel libro hanno per protagonisti persone che potrebbero definirsi ordinarie, che conducono vite ordinarie fino a quando qualcosa, o qualcuno, non imprime in loro uno scossone che scompiglia quella linearità, in un effetto domino che muterà per sempre la disposizione iniziale. Se ci pensate, è un po’ quello che avviene nelle vite di ognuno di noi. Ci sono scossoni in grado di stravolgere una intera esistenza ed altri più lievi che ne deviano solo il percorso. In questo libro ho voluto giocare su questa falsa riga, sulle cause e sugli effetti che talvolta necessitano di un po’ più di tempo prima di potersi avvicendare. Per tornare alla domanda: la risposta è sì, il romanzo non lascia spazio alla finzione, perché ogni evento del racconto potrebbe essere reale, già avvenuto, certamente con altri protagonisti, ed è solo in quest’ultimo aspetto che si può trovare la finzione.

Un romanzo che attraversa la vita in tutte le sue realtà. La vita è fatta di cose belle e di cose brutte delle quali, per la maggior parte dei casi, siamo noi i primi responsabili ma che in alcuni casi ci capitano e basta. Come reagiamo, soprattutto rispetto alla seconda evenienza, è quello che determina chi siamo e di conseguenza la vita che andremo a condurre. Nel romanzo ci sono le cose belle, come l’amicizia, la famiglia e l’amore nelle sue varie sfaccettature e ci sono le cose brutte, come la crudeltà, la cattiveria e la perfidia. I personaggi del racconto si troveranno ad avere a che fare con tutto questo, e ognuno reagirà a proprio modo.

Cosa ti ha spinto a scrivere questa storia? “I pensieri non condivisi non muovono nemmeno una foglia. Sono come arcobaleni bellissimi che nessuno vedrà mai, e profumi di giardini segreti che resteranno per sempre sconosciuti”. Questo virgolettato fa parte del mio primo romanzo “Silvano principe del Monreale”. So bene che autocitarsi non sia proprio una buona cosa, ma in questo caso mi aiuta a rispondere meglio a questa domanda. La prima cosa che mi ha spinto a scrivere questa nuova storia è stata la voglia di condividere i miei pensieri e forse anche il “timore” che questi, se non messi su carta, si perdessero con troppo facilità nell’aria. Il seme del racconto nasce da una esperienza personale, il servizio di leva fatto nel lontano biennio 1997/1998. I personaggi e le vicende, come detto in precedenza, sono frutto di fantasia, a eccezione di qualche cameo. Nel romanzo ho voluto affrontare il tema della contrapposizione tra il bene e il male. Fino a che punto la cattiveria di un essere umano può essere tollerata o giustificata? Ė vero che a combattere il male con altro male ci guadagna solo il diavolo? Per citare Lugi, uno dei protagonisti del romanzo. Credo che il male sia intrinseco nella natura umana e che la vera evoluzione sia nel saperlo dominare. Troppo spesso si cerca di giustificare la cattiveria, la crudeltà, la perfidia come se fossero un effetto e non una causa, come se debbano per forza essere la conseguenza di qualcos’altro, di una educazione sbagliata, di un disagio economico, di cattivi esempi e perfino di una delusione d’amore. Credo nel concetto di “cattiveria incondizionata” presente in alcuni esseri

Nei tuoi libri c’è sempre l’amore e l’amicizia. Sì, in entrambi i libri riservo molto spazio all’amicizia, all’amore, e posso dire anche alla famiglia, soprattutto per quanto riguarda il rapporto figli e genitori. È una dinamica che mi viene naturale quando decido di raccontare una storia, credo perché anche nel mio quotidiano queste tre cose ricoprono una importanza fondamentale. Penso che ognuno di noi sia un po’ il risultato delle proprie amicizie, dei trascorsi amorosi e dei rapporti familiari, con in mezzo ovviamente una buona quantità di variabili. Facendo muovere i personaggi attraverso questi elementi mi permette di definirli meglio, di renderli più realistici e di conseguenza di farli metabolizzare al lettore in maniera spontanea, naturale. Credo che una delle maggiori gratificazioni che possa ricevere uno scrittore sia quella di far credere ai lettori che le proprie storie siano fatte di persone e non di personaggi. Per creare una simbiosi tra chi scrive e chi legge esiste una sola maniera, non togliere mai autenticità alle emozioni e, a parer mio, se non sei tra i più capaci scrittori del pianeta, queste emozioni devi averle provate almeno una volta.

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