LA VIA DEI SANTUARI: CONFERENZA AL CIRCOLO SARDO DI MILANO, RIGENERARSI E GUARIRE DORMENDO SU LUOGHI SACRI

Innumerevoli sono i modi per guardare alle cose del mondo in cui “veniamo gettati” (Heidegger, “Essere e tempo”), suo anche: “il linguaggio è la casa dell’essere e nella sua dimora abita l’uomo”, e fatte di linguaggio sono le storie che ci sono state tramandate e che qualcuno ha poi scritto per noi sin dal tempo in cui i Sumeri inventarono la vela, e la scrittura. Dando modo alle genti tutte di interpretare gli scritti pervenutici da tempi imperscrutabili altrimenti. Nella sua “Fisica” Aristotele, discettando del tempo, dice che per taluni sembra che non sia trascorso: “per coloro che in Sardegna, secondo quanto alcuni raccontano (tois muthologouménois) dormono presso gli eroi”. Questo di un sonno terapeutico per curare malattie, è sempre stato ripreso da scrittori postumi, Tertulliano ad esempio, cinque secoli dopo, dice di aver avuto notizia di “un certo eroe della Sardegna che libera dalle visioni quelli che giacciono a dormire nel suo tempio”. Insomma è da che si parla di loro che i sardi siano noti per questo loro costume, questo rigenerarsi e guarire dormendo su luoghi “sacri”. E, a chiesa cattolica oramai imperante, sorsero nell’isola, attaccate ai nuovi luoghi di culto, spartane casette, piccoli monolocali perlopiù, dove nella ricorrenza del Santo a cui la chiesa era dedicata, per nove giorni (da qui i novenari) si svolgevano riti liturgici e feste le più gioiose possibili. In terre che vedevano spesso gli uomini lasciare i paesi natii per vagare con le pecore alla ricerca di pascolo, le donne in casa a tirare su i figli, nel novenario c’era un ricongiungimento festoso per tutta la famiglia, era veramente “festa manna”. Da qui l’intuizione di Paolo Loi, sessantadue anni, bancario di professione, camminante per passione, di suggerire un altro modo di vivere la Sardegna, a piedi, seguendo quella che lui ha poi chiamato “la via dei santuari”, soggiornando e dormendo seguendo la pista dei novenari, accolti lì da gente del posto che ti fa trovare un letto pronto e un pasto che risanerebbe anche il viandante più malconcio. Non occorre, come è ovvio che sia, essere più o meno “credenti”, la fede nei santi o nelle divinità dà un tocco in più a un’esperienza di per sé “tutta diversa” da quella che si trascorre in un villaggio della costa smeralda, tremila euro a settimana tutto compreso. Loi ha fondato un’associazione, di cui è ora presidente, poi ha chiamato Francesco Casu, che di mestiere fa dei “docufilm”, gli ha raccomandato di portarsi dietro una telecamera, e lo ha fatto scarpinare per un numero di chilometri decisamente significativo. Romeo Scaccia ci ha messo le sue musiche: ne è nato un “docufilm”: “Camminantes sulla Via dei Santuari” che Loi e Casu, hanno presentato presso la sede del circolo sardo di Milano. E sempre a Milano già lo avevano presentato alla folla degli eco-sognatori che sciamano a frotte dentro i meandri della fiera di “Fà la cosa giusta”. Francesco Casu, cagliaritano di mamma orunesa e babbo di Berchidda, lo zio parroco di Monti per 50 anni, è anche figlio di questi tempi e come dice lui “ama raccontare attraverso le immagini”. Su You Tube ha “postato” 76 video, praticamente tutti che parlano e raccontano di sardi illustri e altri meno, dalle fiabe di Maria Lai (una bambina che gioca si definisce, una bambina a cui una vita sola non basta, e se ne inventa altre mille, è così che nascono le storie) alle maschere sarde di Mamoiada. Zaino in spalla, mollando la telecamera (pesante) ad altro cameraman dopo 200 chilometri, si è fatto tutto il “cammino” sino in Corsica. Un percorso che definisce di “riscoperta della propria identità”. Andando per “cumbessias” o “muristenes” (dipende se siete del capo di sopra o di sotto), 26 giorni per 400 chilometri. Il video, e il cammino, parte da san Salvatore in Sinis, anche qui una chiesetta di poche pretese, che però poggia su di un pozzo ipogeo già funzionante ai tempi di Roma, troppo piccola per contenere gli “scalzi” biancovestiti che , ai primi di settembre, da Cabras corrono portando a spalla l’effige del Salvatore. Da salvare, si presume, da una delle frequenti incursioni moresche che approdavano a far razzia di schiavi e donne, mercé la facilità di sbarco che da sempre offre il porto di Tharros. Le cumbessias ( domigheddas per i cabrarissi) si sono moltiplicate come funghi e a primo acchito ti sembra di entrare in un vero e proprio villaggio, perlopiù deserto d’abitanti, se non nei giorni di festa. Che quando si svolge mette in tavola ogni tipo di pescato che proviene dallo stagno di Cabras, muggini e anguille, arselle e cozze, bottarga, il tutto innaffiato da ogni tipo di vernaccia che accompagni innumerevoli dolci di mandorle. Gli “spuntini” si susseguono sino a notte inoltrata, tutti si conoscono e tutti “ti invitano”, per reggere per più giorni, ci vuole, vi assicuro, “un fisico bestiale”. I camminanti del video si lasciano sulla sinistra il mare di “is aruttas” e Puzzu Idu, di un blu che neanche i lapislazzuli afgani, sfiorano campi di grano punteggiati di papaveri rossi e arrivano a S’archttu, vanno salendo verso i “Columbaris” di Monteferru, si lasciano alle spalle resti di antiche miniere e le case di pietra di Seneghe e, finalmente si fermano a Bonarcado, a Nostra Signora di Bonaccattu, il più antico santuario mariano dell’isola, XII secolo, attorniato da muristenes che formano uno straordinario novenario urbano. Tappa successiva: Santa Cristina a Paulilatino. Che dire, il più splendido pozzo sacro di Sardegna, muristines ai lati di una piazza dietro la quale resti di un villaggio nuragico, un nuraghe lì vicino a fare la guardia. Per arrivarci si perdono in mezzo a campagne in cui non c’è anima viva, qualcuno suona fili d’erba “ a launedda”, tra ferule ed  asfodeli, Santa Cristina una porta nel ventre della madre terra. Qui qualcuno abbandona la compagnia mentre altri camminanti si aggregano al gruppo originale. Tutti vanno poi di buon passo verso i muristenes di Ghilarza, prima a Tempu, con le sue domus de janas, poi in un percorso ricco di cardi rosa e di cavalli bradi a san Giovanni e infine a San Serafino che, tra le altre cose, offre una vista sul lago Omodeo da mozzare il fiato ( sa zente abarrat ispantada). E’ anche nella “Sardegna vista dai giapponesi”, a cura di Idenobu Jinnai (iichico Edizioni), prima edizione, giapponese e inglese in Tokio 1994, dieci anni dopo ad Oliena, Iris ediz. in quattro lingue, le due di prima più italiano e sardo. Dolores Turchi in prefazione rileva che dei novenari trattati nel libro, in numero di trenta, sorgano sulle rovine di antichi villaggi distrutti, in alcuni dei quali è sopravvissuta soltanto la chiesa. “Spesso accanto a questa si trovano nuraghi, resti di tombe, cippi funerari o altri residui di monumenti sacri riferibili a tempi assai remoti” (pag.8). Sulla parete della chiesa spicca uno stemma con al centro l’albero deradicato della casa d’Arborea. Forse il primo scolpito di tutta la Sardegna. San Serafino è il “mio preferito” perché di lui ho letto per la prima volta nelle “Lettere dal carcere” di Antonio, Nino, Gramsci. Nel ‘31 il 19 ottobre alla madre: “…Sono stato molto contento di sapere che ti sei rinforzata e che andrai almeno per un giorno alla festa di San Serafino. Come mi piaceva, da ragazzo, la valle del Tirso sotto San Serafino! Stavo ore e ore seduto su una roccia ad ammirare quella specie di lago che il fiume formava proprio sotto la chiesa per il nesserzu (pescaia, in sardo) costruito più a valle, a vedere le gallinelle che uscivano dai canneti tutto intorno a nuotare verso il centro, e i salti dei pesci che cacciavano le zanzare…”. Il giorno dopo, tra asfodeli bianchi e rosa che fanno da cornice, i camminanti, guidati dai 250 menhir di Biru ‘e Concas, sono a Santu Mauru di Sorgono, che tutti accoglie con lo splendido suo rosone, il più grande di Sardegna. Il nuraghe Losa non è lontano, sentinella possente del territorio. Nord è la direzione, lasciando alle spalle i viottoli stretti di Tiana, paese dell’orbace, per salire con un certo sforzo a Fonni e poi Ovodda, dinanzi a un grande menhir, una grande roccia da cui, dicono le leggende, venivano “precipitati” i “vecchi” del paese in tempi di carestia. A Fonni le cumbessias fanno da ala alla Basilica della Madonna dei Martiri che si affaccia su di una vasta piazza cittadina. Sono invece ai piedi del monte sulla cui cima svetta la chiesetta di Nostra Signora di Gonare, da sempre meta di pellegrinaggio da tutta l’isola, chi la raggiunge ha premio una visione sconfinata, il panorama spazia dal golfo di Orosei a quello di Oristano. A San Francesco di Lula i pellegrini che venivano da Nuoro, era tradizione andassero scalzi nel cuore della notte, torcia in mano e luna piena in cielo. A tutti rifocillare grandi falò per riscaldarsi e pasta filindeu in brodo di pecora. Il docufilm è molto bello, la Sardegna attraversata bellissima. Francesco Casu e Paolo Loi, raccontando le loro esperienze di “camminanti”, sono bravissimi a suscitare un sentimento di emulazione che ti sorge dentro spontaneo: una Sardegna così, dicono, mai avremmo nemmeno saputo immaginarla. Eppure, zaino in spalla, è lì che che ti aspetta sorniona. Te ne innamorerai.

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