LA TELERIABILITAZIONE PARLA SARDO: LA RICERCATRICE DI MAMOIADA GIULIA SEDDA PREMIATA PER IL SUO PROGETTO ‘RIPARTO’

Giulia Sedda

Il suo progetto Riparto ha avuto un doppio riconoscimento all’ultima edizione dei premi AIIC (Associazione Italiana Ingegneri Clinici), quello come miglior lavoro in assoluto, decretato da una giuria popolare, e il primo premio nella sessione Sanità digitale e telemedicina. Giulia Sedda, giovane di Mamoiada, è ricercatrice presso l’Università di Cagliari dove fa parte del MeDSP Lab (Medical Device and Signal Processing Lab) all’interno del Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica sotto la supervisione del professor Danilo Pani. 

Dopo gli studi a Mamoiada si è diplomata al Liceo Classico di Nuoro quindi ha conseguito la Laurea in Ingegneria Biomedica a Cagliari, successivamente la Laurea Magistrale in Bioingegneria a Genova e un dottorato di ricerca in Bioingegneria e Robotica sempre a Genova. In mezzo una esperienza di ricerca in Canada alla McGill University di Montreal.

Chi la conosce può confermare come la sua ricerca, che trova certamente ispirazione e conforto nella fede, sia mossa dalla volontà di rendersi utile al prossimo, una carità cristiana applicata alla ricerca e che si traduce anche nella capacità di rendere il più possibile semplici realtà molto complesse. Tutto questo è anche nel cuore del Progetto Riparto (Riabilitazione mediante Perturbazioni del feedback visivo per l’ARTO superiore), finanziato due anni fa da Sardegna Ricerche con circa 90mila euro nell’ambito del Bando “Proof of Concept” Valorizzazione dei risultati della ricerca in biomedicina

Giulia, che cos’è Riparto? «È un sistema innovativo di teleriabilitazione avanzata per l’arto superiore, domiciliare e a basso costo per pazienti con deficit neuromotori come ictus, malattia di Parkinson, disfunzioni cerebellari. Nasce in Sardegna da un’esigenza specifica, vale a dire la distribuzione non equa del servizio sanitario sul territorio e soprattutto dal fatto che persone con deficit neuromotori non sempre hanno la possibilità di proseguire la riabilitazione. Questo avviene o perché la devono pagare oppure perché eseguendo in casa senza alcun controllo medico esercizi imparati in ambito ospedaliero rischiano di comprometterne la qualità».

Esistono altri sistemi di teleriabilitazione? «Sì, ma in alcuni casi dimostrano di essere semplicemente strumenti per il body fitness, cioè i pazienti fanno esercizi a corpo libero per mantenere il tono muscolare ma non imparano a fare bene i movimenti. D’altro canto ci sono sistemi robotizzati che più si avvicinano al nostro prototipo ma sono appannaggio di laboratori di ricerca o cliniche private che li mettono a disposizione di pazienti facoltosi».

Il vostro prototipo per cosa si caratterizza? «Riparto ha l’obiettivo di migliorare la qualità della riabilitazione. Si tratta di una sfida grandissima con un prototipo che è però molto semplice. È costituito da tre elementi: un pc che può essere sostituito anche dal pc che ha a casa il paziente; uno schermo che può essere anche il televisore di casa; un sensore di tracciamento dei movimenti nella mano». 

Come funziona? «Il sistema utilizza le perturbazioni del feedback visivo, provo a spiegarlo. Quando il paziente fa i suoi movimenti nello spazio vede nello schermo una loro rappresentazione che tipicamente è uno a uno, cioè io mi muovo di 10 centimetri a destra e vedo il mio cursore virtuale che si muove di 10 centimetri a destra. Una perturbazione del feedback visivo invece è qualcosa che distorce questa rappresentazione visiva dell’arto superiore. Distorcendola, il paziente che ha un compito, per esempio deve raggiungere un bersaglio virtuale, non ha più la corrispondenza diretta tra il movimento della sua mano e quello che vede nello schermo, quindi non riuscirà a recuperare quel bersaglio ma dovrà modificare la sua strategia motoria per raggiungerlo. È un processo, il paziente è chiamato a ricostruirsi internamente il modello di quella che è la perturbazione che lui non conosce, semplicemente ne fa esperienza attraverso il sistema e piano piano apprende come gestirla e come compensarla, fintanto che poi riesce nuovamente a raggiungere il target.  L’allenamento fatto nel tempo produce adattamento motorio in primis e poi vero e proprio apprendimento ed è in grado appunto di modificare la strategia motoria del paziente. Quello che in letteratura si sapeva già con la robotica, l’abbiamo inglobato nel sistema. In più abbiamo creato delle perturbazioni che fossero ecologiche, cioè simulano quelle che il paziente sperimenta nella vita quotidiana».

Come sono andati i test? «Chi ha testato il prototipo, nonostante fosse sano, ha sviluppato nuove strategie motorie e ha migliorato delle caratteristiche del movimento fondamentali, per esempio l’accuratezza, la fluidità, parametri importanti per la riabilitazione dell’arto superiore. Il prototipo è oggetto di brevetto in Italia ma contiamo anche di estenderlo all’estero. I prossimi passi saranno quelli di cercare nuovi finanziamenti per testarlo anche su altri tipi di patologie neuromotorie». 

In un momento in cui la telemedicina è di grande attualità anche nelle nostre realtà vi aspettate che il progetto possa raggiungere una platea più ampia? «Essendo a basso costo l’idea è proprio di portarlo a casa di tutti i pazienti. Se pensiamo a quanto gli ospedali spendono per le riabilitazioni, a fronte di un piccolo investimento potrebbero invece raggiungere una vasta platea. Tra l’altro il sistema è dotato di una piattaforma di telemedicina che quindi consente al fisioterapista di controllare da remoto sia i progressi del paziente sia la costanza della sua teleriabilitazione e anche eventualmente di modificarne i parametri in modo tale da adattarli ai suoi progressi».

Nel tuo percorso hai avuto la possibilità di restare fuori, come mai hai scelto di tornare in Sardegna?  «La tentazione c’è stata perché mi sono sempre trovata bene ovunque sono stata, sia a Genova ma anche in Canada. D’altro canto però volevo stare anche più vicina ai miei effetti e mi faceva piacere poter vivere e operare sul territorio. L’idea della telemedicina da noi ha molto senso, altrove dove magari il sistema sanitario è privatizzato tutto funziona diversamente. Poi fidanzata qui già da un po’ e c’erano tanti motivi per rientrare a casa e ne sono contenta». 

Nel frattempo ti sei sposata e sei diventata mamma. Non vorrei essere banale, ma si parla molto di conciliazione tra il lavoro e la famiglia, come riesci a tenere insieme tutto?  «Grazie a Dio. C’è un po’ l’aiuto familiare, esistono gli asili nido per fortuna, e poi ho un lavoro flessibile. Non vado a timbrare il tesserino, lavoro per scadenze e quindi mi posso gestire e organizzare». 

Quale sarà il prossimo traguardo?  «Abbiamo vinto come gruppo altri tre progetti di riabilitazione, il fatto che ci abbiano finanziato significa che le proposte sono piaciute, che erano scritte bene e adesso bisogna rimboccarsi le maniche. Riguardano sempre la neuroriabilitazione, uno di questi ha preso anche tanti spunti dal progetto Riparto».

https://www.ortobene.net/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *