IL TERRALBESE FRANCESCO COCO E GLI ANNI DI PIOMBO: IL MAGISTRATO SARDO UCCISO DALLE BRIGATE ROSSE

Francesco Coco

Nato a Terralba il 12 dicembre 1908 Francesco Coco fu il primo magistrato a venir ucciso dalle Brigate Rosse durante gli anni di piombo. Procuratore generale presso la corte d’appello di Genova, durante il sequestro del magistrato Mario Sossi nella primavera 1974 da parte delle Brigate Rosse rifiutò la trattativa per la liberazione dell’ostaggio.

Alle 13,30 dell’otto giugno 1976, Francesco Coco esce dalla sua stanza al dodicesimo piano del Palazzo di Giustizia di Genova assieme all’addetto alla sua tutela, Giovanni Saponara, 42 anni, per andare a casa.

Si infila nella 132 blu guidata da Antioco Dejana (di Ardauli), un appuntato dei carabinieri di 42 anni, sardo come Coco, che per la prima volta effettua quel servizio.

È un dattilografo-autista della procura. Il suo autista, l’agente penitenziario Stefano Agnesetta, il giorno prima ha chiesto un permesso che gli salverà la vita. Li segue una Giulia con tre agenti di polizia. In otto minuti sono ai piedi della scalinata di Santa Brigida. Coco e Saponara salgono 42 gradoni. Sembrano padre e figlio che tornano a pranzo.

Neanche si avvedono che alle spalle hanno tre uomini che gli sparano contro 24 colpi. Saponara non ha neanche il tempo di mettere mano alla pistola. Nello stesso istante, a neanche cento metri dalla scala, un uomo con una sahariana e una borsa e un coetaneo vestito in blu si avvicinano alla 132 e con le Skorpion silenziate, freddano Dejana. Una di quelle mitragliette, due anni dopo, ucciderà Aldo Moro.

Il giorno dopo, alcuni militanti delle Brigate Rosse (fra cui Prospero Gallinari e Renato Curcio), durante lo svolgimento di un processo in cui erano imputati insieme a tanti altri rivendicarono nell’aula torinese l’omicidio del Procuratore Generale, che lasciava moglie e tre figli minori.

Nella sua carriera di magistrato fu giudice istruttore a Nuoro negli anni trenta (in questa veste istruì il processo per l’omicidio di Antonia Mesina) e durante la guerra fu, presso la giustizia militare, sostituto procuratore presso il tribunale militare territoriale di Oristano. Successivamente sostituto procuratore generale della corte d’appello di Cagliari, occupandosi di molti casi di sequestro di persona e banditismo. In seguito divenne procuratore della Repubblica di Genova, carica che mantenne negli anni sessanta e settanta.

Nel maggio 1974 si oppose al rilascio degli otto detenuti ex-militanti del Gruppo XXII Ottobre per la liberazione del giudice e amico Mario Sossi (sequestrato dalle BR), dopo che invece la Corte d’assise d’appello di Genova aveva dato parere favorevole. La corte d’appello, presumibilmente d’accordo con il giudice Francesco Coco, dispose per il rilascio a condizione della “stabilita incolumità del giudice Sossi”.

Invece, il giudice Coco, una volta verificata la liberazione del collega Sossi, impugnò in Cassazione la decisione di liberazione sostenendo che il Sossi non era esattamente incolume (riportava delle leggere contusioni) e impedì il rilascio dei Brigatisti; con la sottoscrizione del ricorso in cassazione, firmò la sua condanna a morte.

La notte prima di proporre ricorso in Cassazione ricevette la telefonata dell’allora Presidente della Repubblica, Leone, il quale non ebbe neanche l’occasione di sollecitare tale presa di posizione dato che il giudice Francesco Coco immediatamente gli disse: “Farò il mio dovere sino in fondo”.

Venne per questo assassinato l’8 giugno 1976 a Genova.

L’identità dei responsabili materiali del sanguinoso agguato rimane ancora oggi dubbia. Secondo il brigatista collaborante Patrizio Peci, che riferì presunte confidenze di Raffaele Fiore, peraltro non coinvolto direttamente, avrebbero partecipato tutti i principali clandestini dell’organizzazione: Mario Moretti, Rocco Micaletto, Lauro Azzolini e Franco Bonisoli. Egli inoltre coinvolse anche Giuliano Naria, che invece in sede giudiziaria è stato assolto e Riccardo Dura, lo sconosciuto membro non ancora dirigente del gruppo.

Tuttavia non si sono raggiunte conferme a questa testimonianza indiretta; altre fonti ritengono ipoteticamente che Dura, morto nell’irruzione di via Fracchia, fosse il capo del nucleo armato che uccise Coco e la scorta.

Decisiva al riguardo la deposizione istruttoria, non resa nota, dell’irregolare BR Lorenzo La Paglia, poi uscito dall’organizzazione che parlò della confidenza fattagli dall’amico Dura, dettosi partecipe solo di qualche avvistamento e lasciando intendere di non avere assolutamente preso parte all’azione. Azzolini, nella logistica dell’organizzazione, nel suo racconto fornito a Giorgio Bocca, pur confermando la sua partecipazione ai preparativi, lascia capire che egli non era presente nel nucleo operativo il giorno dell’agguato.

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