di ILENIA MURA
La Sardegna si prepara a far parte di un progetto nazionale che punta alla valorizzazione della salicoltura. L’obiettivo è quello di dare riconoscimento (nazionale) ad un comparto che, almeno nell’Isola, produce quasi avvolto nel silenzio e, a quanto pare, meno di quel che potrebbe. Questo nonostante abbia tutte le carte in regola per essere (o diventare) una miniera d’oro, in grado di creare sviluppo economico e attrattive, anche dal punto di vista del cosiddetto Health tourism, ossia il turismo sanitario e dunque del benessere.
Sapore di sale, sapore di mare: ma quanti sardi – viene da chiedersi – sono consapevoli del grande potenziale che ha la Sardegna in fatto di produzione industriale di sale marino e non solo? Perché – se da una parte l’Isola potrebbe esserne la prima produttrice in Italia – dall’altra potrebbe sfruttarne le proprietà curative che, di fatto, sono – attualmente – quasi totalmente ignorate.
Ma andiamo per gradi: la Sardegna, conferma un dirigente di salina come Giuseppe Baghino – ingegnere ed ex direttore degli stabilimenti (Margherita di Savoia, in Puglia, e Sant’Antioco, in Sardegna) ha un potenziale produttivo di 700 mila tonnellate di sale all’anno: “Se riaprissero tutte le saline dell’Isola – spiega – la nostra regione diventerebbe il più importante polo produttivo in Italia, addirittura al centro del Mediterraneo”. Oggi, in Sardegna, i siti operativi sono due: “Macchiareddu e Sant’Antioco: il primo produce 300/350 mila tonnellate all’anno, il secondo, che si estende per 1800 ettari, fino a 200 mila“, racconta ancora Baghino. Con la riapertura della salina di Cagliari, la Sardegna potrebbe superare (in produzione) lo stabilimento della Puglia, considerato il più grande d’Europa per i suoi 4.550 ettari e una capacità produttiva media di circa 500 mila tonnellate annue di sale marino.
E dire che Omero lo chiamava “La sostanza divina”. Per i romani era “l’oro bianco”. Il sale ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’alimentazione, oltre che nei rapporti economici e sociali in tutto il mondo. Eppure la Sardegna sembra non dare importanza ad una miniera che, sì, ha certamente dei costi produttivi elevati, come ogni industria, ma con fatturati tali da incidere non poco sul Pil sardo. Per capire basta dare uno sguardo al dato nazionale emerso durante la presentazione del progetto “L’agricoltura coltiva il sale” curato da Confagricoltura e Saline marine italiane. Le aree delle saline marine coltivate in Italia sono quasi 10mila ettari, con una produzione media annua di circa 1,2 milioni di tonnellate sui circa 4,2 della quota raggiunta tra sale marino, salgemma (il minerale estratto dalla terra) e salamoia. Il giro d’affari? 60 milioni di euro all’anno.
Le saline di Cagliari, un’isola ambientale con magnifica vista sul Poetto, ha fermato la produzione nel 1985. Se riattivate “potrebbero produrre 100/120 mila tonnellate di sale ogni anno”, continua Baghino. Per le saline di Carloforte, sull’isola di san Pietro, è stata recentemente rinnovata la concessione: “Sono molto più piccole, non interessanti dal punto di vista industriale, piuttosto dal punto di vista curativo per uso termale“.
Da Salsomaggiore Terme alle Terme di Margherita di Savoia, in Puglia. Fino alle decine e decine di stanze del sale presenti in numerose Spa italiane. Cagliari? Nonostante possa cogliere questa opportunità, sta a guardare. Nelle saline affacciate sul Golfo degli angeli “si raccoglieva un solfato di calcio di qualità eccelsa con cristalli lunghissimi – racconta Baghino – poi l’impianto è stato chiuso perché oneroso”. Le potenzialità? “Le acque madri hanno anche proprietà curative, così come i fanghi delle saline“. E allora, perché non sfruttarle?
In grado di detossinare l’organismo, ringiovanirlo e potenziarlo. L’unico luogo dove trarre i benefici dell’acqua madre marina di Sardegna si trova a Santa Margherita di Pula, a due passi dalla splendida antica città di Nora, dove da ormai quasi 25 anni, l’Acquaforte Talasso & Spa del Forte Village resort, richiama persone da tutto il mondo. In primis i campioni dello sport. Negli anni Ottanta, il direttore scientifico, Angelo Cerina, rivoluzionò il mondo della talassoterapia, creando un metodo certificato e di straordinaria efficacia, ma soprattutto unico al mondo, in collaborazione con l’equipe medica del Forte Village. E se è vero che in pochi conoscono la potenzialità delle saline sarde, il medico Cerina precisa che probabilmente “in pochi sanno che la talassoterapia italiana nasce a Santa Margherita di Pula. Nello stesso mare dove – a distanza di qualche chilometro – gli archeologi hanno scoperto un pozzo sacro che digrada verso il mare”. Stiamo parlando del sito archeologico di Nora. Dunque è chiaro che i nostri antenati, considerassero l’acqua di mare benedetta e salvifica”. E che la usassero anche per scopi terapeutici.
Dai tempi dei pozzi sacri ai giorni nostri: “La talassoterapia italiana nasce in contrapposizione con quella creata dalla scuola francese di Quiberon che ha molti limiti e lavora solo con l’acqua vergine marina, a temperatura calda”, spiega Cerina. La talassoterapia made in Sardegna, invece, utilizza l’acqua vergine marina ricavando l’acqua madre marina, ricca di sali di magnesio, presente nel mar Mediterraneo, per il 4 per cento, sia un’altra ricca di sali di sodio (presente al 95%). Queste due acque hanno una concentrazione salina che va dai 32 gradi Bé dell’acqua madre marina ai 13 gradi Bé di quella ricca di sodio. Con questo sistema – sottolinea Cerina – sfruttiamo la potenzialità unica dell’acqua di mare data dal nostro sale, il migliore del mondo”. Perché “se il mar Morto ha una densità salina di 6 gradi Bè, la nostra raggiunge i 12 Bé, praticamente il doppio”.
Così (il sale di Sardegna), attraverso la talassoterapia, può essere sfruttato in campo medico: “Ha importanti effetti antinfiammatori e detox più potenti presenti in natura – spiega il dottor Cerina – accelera il processo di osmosi favorendo la perdita di liquidi. Sono sufficienti dai venti ai trenta minuti di immersione per eliminare i liquidi in eccesso”. Consigliato per le donne in menopausa (stimola la produzione di endorfine) ma anche per gli ipertesi: “Perché la perdita di liquidi aiuta a stabilizzare la pressione”.
L’uso della talasso si sta sperimentando anche in campo oncologico: “In attesa di precise evidenze scientifiche – racconta l’oncologo Daniele Farci – è appurato, grazie a riscontri interessanti, che i pazienti oncologici traggano vantaggio dai trattamenti della talassoterapia”. Per quanto riguarda le donne affette da tumore al seno “potrebbe essere indicata per le pazienti che presentano effetti collaterali dati dalla terapia adiuvante ormonale, post intervento. Ma anche “in pazienti trattati con chemioterapie neurotossiche“, precisa Farci. Il sale sardo, dunque, potrebbe giovare all’economia e perfino alla salute. Ecco perché gli esperti sono convinti che la Sardegna possa diventare un’isola del benessere a cinque stelle.
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