di RITA CODA DEIANA
Nel cuore del Sarcidano della Sardegna, in cima ad un dirupo del canalone del Rio Brabaciera-Nedda, sorgeva il maestoso Nuraxi de Chistingionis.
In questo immane maniero abitava un popolo di arruminaus e di tessitrici, abili nel lancio de sa soga, la cui origine si perde nella storia dei tempi. Poco distante dal maestoso Nuraxi, erano presenti delle grotte, is tanas delle argianas, dove dimorava Arrumiedda, una giovane argianas minuta, esile, con una pelle candida come la luna dai lunghi capelli dorati e ramati, come la sabbia dei lidi della sua terra sfiorati dalle onde di un mare cristallino color smeraldo.
Arrumiedda era cresciuta circondata dall’affetto della sua famiglia. Quando era bambina, durante le fredde sere invernali, amava sedersi accanto al grande focolare, dove la saggia nonna, raccontava favole pronunciando formule magiche. Ad ogni formula magica pronunciata, le fiamme del focolaio si tramutavano in esseri fantastici che ballavano gioiosi al suono di una musica melodiosa. Gli esseri fantastici suonavano uno strumento musicale a fiato composto da tre canne di fiume. Una canna era separata e le rimanenti erano unite con uno spago impeciato. Lo strumento era accordato con l’ausilio della cera d’api. Arrumiedda, rapita dal dolce suono, notò che i suonatori non prendevano fiato quando immettevano l’aria nello strumento e che la musica non aveva mai fine. Tanto era il suo stupore e meraviglia che si affrettò a chiedere subito spiegazioni alla nonna. La nonna però la mise subito in guardia, dicendole che si trattava di uno strumento magico: le launeddas che gli umani utilizzavano per stregare e catturare le argianas. Le sfortunate argianas, imprigionate in luoghi bui scavati nelle rocce di granito, venivano costrette a lavorare al telaio dall’alba al tramontare del sole. Tessevano la lana e producevano un pesante tessuto: l’orbace che gli umani utilizzavano per giacche, cappotti, mantelli e pantaloni. Le sventurate perdevano la capacità di volare, perché le povere ali private della luce del sole, si indebolivano fino ad atrofizzarsi. A causa di questa prigionia, le argianas, divenivano argianas malas, la cui cattiveria le trasformava in piccoli esseri che vivevano nelle viscere della terra. Le argianas malas per vendicarsi dell’affronto fatto dagli umani, si tramutavano in argia e quando mordevano con rituali magici, provocavano una sfrenata danza che causava uno stato di trance, fino alla perdita della coscienza. Arrumiedda rabbrividì e la nonna, con una carezza sul viso le disse: – Cara mia dolce Arrumiedda, tu più delle altre argianas dovrai prestare attenzione, perché sei preziosa. Arumiedda stupita, chiese subito alla nonna il perché di questa sua affermazione, anche perché in cuor suo, si sentiva umile e simile alle altre. La nonna le spiegò subito il motivo della sua preziosità. Arrumiedda, era una argiana dai lunghi capelli dorati e ramati. Tutte le sere, la mamma, le spazzolava i capelli delicatamente e i filamenti dorati che rimanevano nella spazzola, venivano raccolti e custoditi segretamente, come un grande tesoro. La nonna le spiegò che quei filamenti dorati, sarebbero serviti per ricamare sfarzosi abiti di lino, ricchi arazzi e scialli. La saggia argianas nonna, dagli occhi ramati, sorridendo disse: – Arrumiedda, dolce nipote, tu possiedi un grande e inestimabile tesoro, la capacità di impreziosire con i tuoi capelli dorati, ricami e tessuti e tutto questo ti viene dalla nitidezza dell’anima. Possiedi un cuore che proietta splendore, che dirada la nebbia, che risuona come l’eco nostalgico del mare lontano, dove si accumulano i voli e si spiegano le ali dei gabbiani. Ma non temere mia cara nipote, ogni qualvolta dovessi trovarti in pericolo dovrai recitare i seguenti versi che ora ti insegnerò:
Oh mariposa,
Leggiadra bellezza di colori,
Luminoso alone di gioiello,
Arcobaleno sospeso nel cielo,
Perla di una conchiglia smarrita,
Immergimi in un mare di luce scintillante,
e custodiscimi nell’oro del tuo profondo deserto.
La nonna diede ad Arrumiedda una conchiglia in filo di rame, raccomandandosi che la portasse sempre al collo. Arrumiedda da allora, portò sempre al collo la conchiglia donatale dalla nonna, custodendola con grande cura come se fosse un gioiello prezioso. Ogni volta che percepiva brividi di pericolo, cantava con voce angelica, i versi che la nonna le aveva insegnato vincendo ogni paura interiore. Arrumiedda amava percorrere i lunghi sentieri di montagna, per poi raggiungere la vetta da dove poteva ammirare tutto il paesaggio. Solo lì la sua anima si rasserenava, si lasciava stregare dal suono del vento di maestrale e dai profumi del ginepro e della ginestra selvatica, che si spandevano tra i suoi stupendi capelli. Solo lì riusciva a udire l’eco nostalgico del mare che sembrava la chiamasse a sé, con un pianto lamentoso e struggente. Un giorno, impietosita dal pianto del mare, decise di rasserenarlo, andando a consolarlo. Spiegò le sue esili e lucenti ali, e volò per giorni e giorni su vaste pianure, colline e vallate. La notte trovava rifugio, nelle pinnettas, dove si rifocillava con le golose pietanze, che si era portata dentro sa betua: pani e saba, amarettus, papassinus, gattò de mendula. Per riscaldarsi, si avvolgeva intorno al corpo, il grande scialle di lana della nonna e si addormentava felice. Quella notte, durante il sonno, ritornò nella mente di Arrumiedda, la melodiosa musica delle launeddas. Sognò un suonatore de sonus de canna che suonava seduto accanto a un maestoso nuraghe. Intorno a lui gli umani, prendendosi per mano formavano un grande cerchio: su ballu tundu e con una danza ritmica, seguivano la melodia delle launeddas, procedendo in avanti e indietreggiando. Le donne, indossavano lunghe gonne ornate sul bordo da nastri colorati e dorati ( sa munnedda ) in orbace, sovrapposte alle gonne il grembiule ( pannellu ), in seta, il giubbetto ( tzippone ) di stoffa pregiata, la camicia bianca di lino ( sa camisa ) e come copricapo, uno scialle impreziosito da ricami colorati e dorati, con lunghe frange. Gli uomini, indossavano dei calzoni ( cartzones ) bianchi di lino, infilati dentro le uose, sopra i pantaloni un gonnellino nero ( ragas ) in orbace, la camicia bianca di lino ( bentone ), sopra la camicia un gilet ( su cosso ) in velluto, e un copricapo che ricadeva di lato ( sa berritta). Gli umani si muovevano con una danza ossessiva, in preda alla musica e alcuni di loro accompagnavano lo strumento con versi poetici i Muttettus. Fu in quel preciso istante che Arrumiedda si svegliò, e in preda alla paura ricordò le raccomandazioni della nonna, e prendendolo come sogno premonitore, riprese il viaggio con più attenzione. Finalmente, dopo un boschetto di pini marittimi, sentì il profumo del mare, era decisamente giunta alla sua meta. Davanti a lei si presentò un paesaggio indescrivibile, per quanto immensa, era la sua bellezza. Una calda e dorata sabbia sfiorava i suoi piccoli piedi e un leggero vento, che profumava di salsedine, rinfrescava le sue guance arrossate dal viaggio. Arrumiedda si sedette accanto al mare, e il dolce e incantevole suono del rinfrangersi delle onde, come una nenia, la fecero cadere in un lungo sonno. Ma il suo sonno venne disturbato dallo schiamazzo degli umani, che la circondavano con un grande cerchio. Gli umani, mano nella mano, danzavano seguendo il ritmo della musica delle launeddas e cantando versi al tramontar del sole. Arrumiedda in preda alla paura, cercò di spiegare le ali per sfuggire agli umani che volevano catturarla. Ma il sole ormai era già tramontato e le sue ali, stanche per il lungo viaggio, erano prive di energia. Stringendo la conchiglia che portava al collo, cominciò a recitare i versi che la nonna le aveva insegnato:
Oh mariposa,
Leggiadra bellezza di colori,
Luminoso alone di gioiello,
Arcobaleno sospeso nel cielo,
Perla di una conchiglia smarrita,
Immergimi in un mare di luce scintillante,
E custodiscimi nell’oro del tuo profondo deserto.
Quando pronunciò l’ultimo verso, il mare, come per magia, con una potente onda, la trascinò via, strappandola dalla cattiveria degli umani. Solo quando si riprese dallo spavento, si rese conto che si trovava all’interno della conchiglia ragalatale dalla nonna. Capì allora, il significato dei versi che la nonna le aveva insegnato. Per evitare che il suo cuore si incattivisse, e che perdesse tutta la limpidezza e luminosità, che le sue ali, come quelle di una mariposa, perdessero i colori dell’arcobaleno, Arrumiedda era diventata una perla, racchiusa dentro una conchiglia, custodita nelle dorate sabbie marine. Arrumiedda racchiusa dentro la conchiglia, continuò a produrre i suoi filamenti dorati e ramati, che le argianas utilizzavano per ricavarne una pregiata seta, il bisso. Le argianas scampate alla malvagità dell’uomo, trovarono rifugio nelle Domeranus dove con il bisso tessevano su telai d’oro preziosi arazzi, ricamavano scialli con fili d’oro e ramati. Durante la tessitura si potevano udire i versi magici della nonna di Arrumiedda, accompagnati dal suono melodico delle launeddas.
Oh mariposa,
Leggiadra bellezza di colori,
Luminoso alone di gioiello,
Arcobaleno sospeso nel cielo,
Perla di una conchiglia smarrita,
Immergimi in un mare di luce scintillante,
e custodiscimi nell’oro del tuo profondo deserto.
Ancora oggi, nel silenzio delle Domeranus sommerse dall’acqua del lago di San Sebastiano, qualcuno ha giurato di aver visto danzare delle giovani libellule nel lucido riflesso dell’acqua in onore della misteriosa vergine che con dita delicate intrecciano le infiorescenze dell’anima di Arrumiedda
Is Barrocus…