Michela Bussu
di LUCIA BECCHERE
Michela Bussu nata a Ollolai il 21 agosto del 1922, ultima di 5 figli di padre pastore e madre casalinga, a breve festeggerà il suo 102esimo compleanno. Ha conseguito la licenza elementare con la maestra Angelina Medde di Sorradile in una classe di 20 alunni, dieci maschi e dieci femminucce, rigorosamente separati”. Non amava studiare, era solo un dovere per non diventare “una molentedda”, voleva solo giocare a pischeddas, (a 5 pietre), a luna monta e a tacca tacca (a nascondino). A 11 anni, nei giorni di festa, la mamma le faceva indossare il costume tradizionale con la gonna in panno rosso (su vardellinu) che porterà fino al giorno delle nozze. Lo aveva dismesso qualche anno dopo per vestire la blusa a causa di un forte deficit uditivo bilaterale che l’aveva colpita improvvisamente e questo perché su crundhile, due trecce di capelli attorcigliate con nastri di stoffa per fissare su capiale (la cuffia) su cui poggiava il fazzoletto del costume, mal si conciliava con l’apparecchio acustico.
Ancora bambina zappava e innaffiava l’orto. “Non mi piaceva tanto lavorare – confessa -, ma lo dovevo fare e lo facevo, anche se non sempre ubbidivo, preferivo restare in paese.
Aveva conosciuto il futuro marito Salvatore Zedde presso una comune parente, era appena rientrato dalla guerra a cui aveva preso parte dal 1939 al 1944. In seguito, Bore aveva portato la sua testimonianza nella classe elementare del nipote Stefano a Oristano perché i giovani capissero le atrocità dei conflitti.
“Faceva su pastoreddu – racconta zia Michela –, mi era piaciuto subito ma la sua presenza mi creava disagio. Un giorno mi ha chiesto in sposa, voleva una risposta immediata, sì o no. Ho detto sì e da quel momento non ci siamo più lasciati. Nato nel 1918 – continua -. maggiore di me di 4 anni, era bello e bravo mentre io ero superba e piuttosto malinna. Dopo un breve fidanzamento ci siamo sposati nel 1945, avevo 23 anni e lui 27. Abbiamo avuto 6 figli, tutti allattati al seno. I parti avvenivano in casa con l’assistenza di Mariantonia Ghisu, sa zia de partu e di signorina Leandra, un’ostetrica venuta da fuori. Ollolai era un paese piccolo e si stava bene, oggi ognuno pensa per sé e manca quel rapporto che un tempo teneva unite le famiglie. I sacrifici per andare avanti erano tanti, eravamo poveri ma felici e con maggiore sentidu, i vizi non si conoscevano e neppure i supermercati, si consumavano i prodotti dell’orto e del bestiame, ogni casa era una piccola azienda autosufficiente”.
Zia Michela è molto devota, prega e ringrazia Dio per la lunga vita che le ha donato. Ha sempre frequentato la chiesa, a 12 anni insegnava il catechismo ai bambini più piccoli e negli anni 70 per due anni è stata prioressadi Nostra Sennora de sos dolores (la Madonna Addolorata).
“La mia famiglia – afferma con orgoglio -, da generazioni è abbonata a L’Ortobene, prima di me mio padre Giovanni, mia madre Caterina e mio marito Bore”.
Ricorda con gioia i tanti viaggi in Emilia dove i figli si sono trasferiti per lavoro, anche se tornare a casa è sempre stato il suo pensiero dominante.
Tre giovani donne si alternano per prendersi cura di lei che ama le coccole, innaffiare le ortensie, le calle, i tulipani e le belle di notte. E’ una grande affabulatrice e non vuole che le si rubi la scena.
Non fa uso del cellulare e al fisso risponde “solo se urgente altrimenti lo lascio squillare”. E’ ironica e dalla battuta facile. A chi le domanda se sbadiglia per amore replica divertita: “Una volta”!
I giovani di oggi? “Sono bravi – dice -, ma hanno poca voglia di lavorare e sbagliano in tante cose. Si truccano troppo mentre io non ho mai tagliato neppure i capelli”. Quando a suo avviso le cose non vanno per il verso giusto bacia la foto del marito scomparso nel 2009 a 91 anni per una semplice influenza e gli chiede di non lasciarla più sola. “Ite sese aendhe! Beni e piamiche”.
“I miei cento anni? Una bella festa – conclude zia Michela -, dopo la messa pranzo in ristorante, torta e balli in cortile fino a notte. Ma la cosa più bella è stata la presenza dei figli, nipoti e pronipoti. C’erano proprio tutti”.
La maestria e la professionalità della prof. Lucia Becchere riesce a coinvolgere il lettore e calarlo nella vita semplice e dura di queste centenarie, depositarie di un passato che molti non conoscono. Complimenti.