Elisa Pilia
di FEDERICA CABRAS
25 anni, nata a Cagliari ma residente a Quartu e con radici ogliastrine (nonni materni originari di Seui): la scrittrice Elisa Pilia, con all’attivo un libro, “Ladra di suoni”, esordisce con la casa editrice Il Maestrale con un nuovo lavoro, “La bambina del vetro”.
«La mia infanzia si è divisa tra la realtà caotica del capoluogo e quella quieta del paesino nascosto in mezzo alle montagne. Mia nonna ha ancora la casa della sua fanciullezza, laggiù dove io andavo quasi ogni fine settimana, immergendomi nella natura e nel suo continuo mutare attraverso le stagioni. Probabilmente è anche per questo che, fin da quando ero bambina, sono stata introspettiva e riflessiva; alle volte anche troppo!» racconta. «Sono da sempre una gran sognatrice, da che ho memoria ho sempre coltivato due desideri: diventare una maestra e scrivere per gli altri. Il primo è nato dalla professione dei miei genitori, vivo sopra la scuola dell’infanzia che gestiscono dal 1988, non poteva che essere così, ho l’arte dell’insegnamento nel sangue! Stare a contatto con i bambini e scoprire che le mie azioni potevano, in qualche modo, colorare le loro vite mi ha portata a scegliere, già dalle superiori, quest’ambito. Una volta preso il diploma mi sono iscritta alla Facoltà di Scienze della Formazione Primaria a Cagliari e oggi, dopo anni di studio, comincio ad intravvedere il traguardo all’orizzonte. Per l’altro sogno credo di dover tenere a bada le parole, vi svelerò tra poco, promesso!».
La passione per la scrittura nasce presto, anzi, come spiega, accompagna da sempre la sua vita.
«Quando ancora non sapevo scrivere, ricordo che prendevo una vecchia agenda in pelle di mio padre e ci scarabocchiavo linee che ondeggiavano su e giù per le pagine riportando, secondo me, storie sensazionali. Arrivata alla scuola primaria ho finalmente imparato a scrivere i grafemi e a unirli formando parole e frasi di senso compiuto, è stato così che ho conosciuto i temi. La maestra ci dava un foglio dicendoci che non dovevamo temere di riempirlo: scoprii che molti miei compagni avevano paura di quella carta che li aspettava incolore, il mio foglio, invece, in un attimo, si macchiava di storie. Con la crescita e l’arrivo della pubertà la scrittura è diventata una cura, mi ha aiutata a dare un nome alle paure, spingendomi a trovare il coraggio anche quando pensavo di averlo smarrito per strada» spiega. «Scrivevo piccole storie e poesie che, spesso, regalavo alle compagne di classe o conservavo in un cofanetto nella mia stanza; poi, con l’arrivo della pandemia, da cura si è trasformata in ali. Tra le mura di casa sentivo di soffocare, così, una mattina, mi sono messa a scrivere una storia a cui volevo trovare un epilogo. È stato attraverso quel racconto che ho pensato di voler scrivere per trasportare i lettori, con le ali della narrazione, in un luogo e in un tempo in cui sono le parole a scandire il ritmo, il ritmo delle storie.»
Così nasce “Ladra di suoni”, con il quale partecipa a un concorso per testi inediti meritandosi la pubblicazione.
«Quel romanzo è stato un’avventura già dalla prima volta in cui mi è saltato in mente. A ispirarlo sono stati gli studi di didattica della musica che facevo all’università in quel periodo, il mio amore per la musica e un testo strumentale che, una sera, mi ha fatto venire in mente l’incipit di questo racconto. Parla di Eiko, una ragazza che, da sempre intrappolata nella nera città in cui vive, si fa passare addosso la vita in una realtà caotica e violenta che la stritola fino a toglierle il fiato. La sua vita cambierà una sera di novembre quando la musica classica, che da sempre le era proibito ascoltare, le rivela qualcosa che pensava di aver dimenticato. È lasciandosi avvolgere dai dolci suoni degli strumenti di una sala da concerto in cui ha iniziato, di nascosto, a lavorare che Eiko comincia un viaggio guidato dalle storie nascoste che la musica le sussurra all’orecchio man mano. Quei suoni custodiscono un segreto, un mistero che, nel suo disvelarsi, metterà in dubbio tutte le sue certezze. Ricordo ancora quando mi chiamarono per comunicarmi che questa storia meritava di essere pubblicata, per la prima volta potevo scorgere i caratteri che avevo battuto stampati su carta, una copertina capace di legare assieme tutte le pagine e una storia che, per la prima volta, aveva l’opportunità di arrivare nelle cose dei lettori. Un’emozione indescrivibile, un sogno realizzato.»
Ma adesso un suo nuovo lavoro ha visto la luce, con Il Maestrale.
«“La bambina del vetro” vi farà fare un salto indietro nel tempo, in un attimo vi troverete catapultati in due storie che si intrecciano: la prima, trasportandovi nella Francia del lontano 1940, vi racconterà la storia di Étienne, un ragazzino che all’età di soli dodici anni, in quella che un tempo era una tranquilla cittadina sulle Ardenne, vive l’occupazione tedesca; la seconda, facendovi fare un salto fino al 1954, vi parlerà dello stesso bambino che, ormai divenuto un giovane uomo, è alla ricerca di qualcuno che ha perduto nel caos della guerra. Étienne ha smarrito le tracce della sua unica amica rimasta in vita dopo l’occupazione della città, una bambina che, nei neri anni di uno dei conflitti più brutali ricordati dal genere umano, gli mostra un linguaggio segreto capace di portare un po’ di colore nel suo mondo che, ormai, sembrava aver ceduto al freddo monocromatico. Sarà per aiutarla che rischierà la vita in quel lontano 1940 e sarà per cercarla che si spingerà, a guerra conclusa, fino ai vecchi campi e oltre i confini che, a quel tempo, sembravano essere neutrali per trovare i tasselli che, in quella storia che è cominciata con lui, sembrano mancargli. Questo libro parla dei traumi che, ancora oggi, i bambini devono affrontare nelle realtà di guerra, una storia dedicata a far conoscere la diversità come ricchezza e a celebrare la speranza come una stella che, nonostante l’incertezza, mai si spenga. Spero di avervi incuriosito e di poter, attraverso le pagine di un libro, raccontare una storia che, nonostante il tempo, sfortunatamente, riguarda ancora tutti noi.»
Due temi ben diversi: il primo e il secondo sembrano prodotti da penne differenti, eppure spesso nella scrittura la magia è proprio questa… saper variare, mettersi in gioco, provare a dare vita a mille storie in una sola.
«Mi piace l’idea di definirmi una cantastorie moderna» dice a tal proposito. «Le narrazioni fanno parte dell’umanità sin da che si ha memoria: narriamo continuamente, lo facciamo quando pensiamo, quando parliamo e persino quando sogniamo. Abbiamo bisogno di storie, ci fanno riflettere, viaggiare, conoscere e immaginare. Questo penso accomuni tutti miei racconti: la voglia di regalare una realtà che, se lo desideri, ti aspetta dentro quel libro che hai riposto nella libreria della tua stanza; sta lì, aspetta solo che tu apra la prima pagina. Ogni racconto, però, nel suo dipanarsi, veicola un messaggio tutto suo e, sicuramente, quello che è alla base di questi due romanzi è molto diverso. “Ladra di suoni” nasce con l’intento di sensibilizzare su temi che, addolciti dalle note degli strumenti che accompagnano tutto il racconto, si rivelano forti e tristemente attuali. Parlo di violenza domestica, di traumi infantili, di restrizioni imposte e di quanto possa essere doloroso perdere le tracce delle proprie radici. “La bambina del vetro” germoglia tra le notizie che, man mano, mentre scrivevo e rivedevo il racconto, hanno rimbombato dalle televisioni dentro le nostre case: la guerra non è distante da noi, le parole mai ascoltate dei bambini schiacciati dalle macerie che crollano su di loro a causa delle bombe, le grida soffocate dei cittadini costretti a fuggire chissà dove perché privati delle dimore, i pianti rassegnati delle donne costrette a coprirsi il volto, a smettere di lavorare e studiare per il volere di chi è più forte. Credo sia importante provare a mettersi nei panni degli altri, farlo ci permette di sperimentare empatia, di comprendere e di smettere, per una volta, di voltarci dall’altra parte.»
Introspezione o pubblicazione, scrittura o lancio del proprio libro al mondo? Una delle domande più fatte agli scrittori riguarda proprio questo dualismo. Un libro nasce nella solitudine della propria mente che viaggia, poi però c’è l’altro lato della medaglia: farlo volare. E Pilia è perentoria.
«Quando scrivo, lo dico sempre, sembra che le mie mani vadano da sole; si muovono sulla tastiera così veloci che sembrano voler urlare parole. La sensazione che provo, se la dovessi racchiudere in un solo termine, è leggerezza; scrivere mi fa sentire in contatto con la me più autentica, un’Elisa senza filtri, senza confini, senza paura o incertezza. Il momento introspettivo è davvero speciale per me, parte dalle idee che mi frullano in testa per concretizzarsi in caratteri neri su una pagina bianca di Word. È una magia che mi avvolge completamente per tutta la durata del racconto; mentre scrivo vedo i personaggi e le loro ombre, i luoghi che fanno da colorato sfondo, ma anche i messaggi, le metafore e i versi che la storia vuole veicolare. È un’esperienza forte, alle volte faticosa, ma estremamente gratificante e, come tutte le cose intense, è più bella se condivisa con gli altri. È qui che entrano in gioco i lettori, sanno essere straordinari con le loro parole che scaldano il cuore. Sapere di averli fatti commuovere e riflettere dentro le pagine di un racconto è una grandissima vittoria per me. Diverse volte un libro è stato capace di salvarmi la vita, quello che voglio fare scrivendo per gli altri è cercare di entrare nelle loro parti più nascoste mediante le parole: abbattere muri invisibili, illuminare stanze scure e riportare in superfice è una delle capacità più straordinarie delle storie.»
E l’ispirazione? Be’, tutto parte dal mondo in cui la 25enne guarda il mondo.
«A fare da cornice a tutti i miei racconti è sicuramente l’amore per la botanica e per tutto ciò che riguarda il mondo vegetale; in questo sicuramente giocano un ruolo importante le mie radici ogliastrine che mi hanno permesso, fin da bambina, di perdermi tra i boschi e le loro magiche meraviglie. Vedo la foresta come un’importante metafora di passaggio che, in un modo o nell’altro, rappresenta un bisogno di perdersi per ritrovarsi, di incespicare nel buio per godere della luce una volta usciti dagli intricati rami. A ispirarmi per le trame e i personaggi è sicuramente tutto quello che mi circonda; sono una persona intraprendente ed estremamente curiosa, amo fare e conoscere così tante cose che, chi mi conosce, mi definirebbe un fiume in piena. È questo mio modo d’essere ad avermi portato ad approfondire temi che ho avuto modo di scoprire attraverso i miei studi, i libri che ho letto, le notizie e le storie con cui entro in contatto ogni giorno. Penso che una delle cose più belle della scrittura sia trasformare ciò in cui ci imbattiamo nella monotona quotidianità in una splendida avventura!»
E per i progetti? Be’, la laurea a breve, come racconta entusiasta. «Non vedo l’ora di poter lavorare a contatto con i bambini, di sporcarmi le mani di pittura e leggere per loro libri di ogni forma e colore. A lungo termine insegnare in una sezione o classe tutta mia e continuare a scrivere. Ho tante storie in testa e ogni idea non vede l’ora di materializzarsi con inchiostro nero su una pagina bianca; ho tanto da raccontare. Nonostante la positività, però, non sono mai riuscita a immaginare con chiarezza il mio futuro, questa parola mi ha sempre fatto una certa paura: è ricca di aspettative, sogni, ambizioni e, si sa, quando si guarda in là con ambizione si ha sempre timore di fallire. Quello che so con certezza è che continuerò a fare ciò che amo e lo farò come ho sempre fatto: con passione, determinazione e amore.»
Ma non solo scrittura e insegnamento, nella vita della giovane ma già molto determinata Pilia. «Come dicevo sono sempre stata una persona curiosa, l’idea di provare cose nuove mi ha sempre spinta a sperimentare. È stata questa mia predilezione per la scoperta che mi portata ad amare ogni forma d’arte. Adoro la musica, ho suonato il violino per qualche anno, ma ciò che più mi appassiona è il canto. Canto da sempre e, da sempre, illumina la mia vita quando sembra troppo buia. Mi piace tantissimo anche la fotografia, spesso abbino questa forma d’arte a quella della scrittura, a parere mio hanno molto in comune. Amo ritrarre i paesaggi e tutto ciò che vorrei fermare nel tempo: le foto sono ricordi, visioni, attimi stampati su carta. Adoro anche la pittura che, da anni ormai, accompagna il mio poco tempo libero; attimi in cui mi perdo tra le sfumature dell’acrilico su carta, dei colori ad acqua sulla pelle o su qualsiasi materiale mi salti in mente. Vorrei celebrare l’arte come modo autentico per osservare e interpretare il mondo, uno strumento per indagare noi stessi e gli altri. Oggi è relegata a puro svago ma, a parer mio, attraverso tutte le sue molteplici forme, è in grado di mostrare ciò che a un primo sguardo sfugge ai nostri occhi.»
Un fiume in piena, così la definiscono le sue conoscenze, e non si può che essere d’accordo. E intanto aspettiamo “La bambina del vetro”.
Grazie a TOTTUS IN PARI e a Federica Cabras per aver ripostato la mia intervista