di LAURA TUSSI
La RWM Italia Spa, azienda di proprietà della multinazionale degli armamenti Rheinmetall, ha acquistato nel 2010 dalla SEI – Società Esplosivi Industriali, uno stabilimento nel Sud Sardegna, in una valle al confine tra i Comuni di Domusnovas e Iglesias. Sino al 2010 era uno stabilimento per la produzione di esplosivi per applicazioni civili – cave e miniere – a cui dieci anni prima, nonostante le proteste e l’opposizione di buona parte della popolazione, era stata affiancata anche una linea di produzione per esplosivi e ordigni militari. Nel giro di un paio d’anni la nuova gestione di RWM ha riconvertito lo stabilimento a una produzione esclusivamente militare. Con una politica commerciale assai spregiudicata, RWM ha orientato la sua produzione verso l’esportazione di armi, portando avanti un ampliamento dello stabilimento che supera qualunque vincolo legislativo. Per saperne di più abbiamo raggiunto Massimo Coraddu, fisico, consulente di parte procedimenti giudiziari poligoni Quirra e Teulada e consulente tecnico delle associazioni che si ribellano alla fabbrica di armi RWM.
Quali sono i casi più eclatanti di RWM rispetto alla produzione e all’export di armi? Clamoroso il caso delle forniture di bombe per aereo all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, un ordine pluriennale di circa 20.000 bombe per un importo di 400 milioni di euro. Ordigni che sono stati impiegati per bombardare la popolazione yemenita nel conflitto in corso dal 2016. Ha poi fornito bombe ad alta penetrazione alla Turchia, ha stretto accordi con l’azienda israeliana Uvision per la produzione e la commercializzazione dei droni-killer della serie Hero e recentemente ha fatto sapere di essere impegnata anche nella produzione di proiettili di artiglieria da fornire all’Ucraina per alimentare il conflitto in corso. Come si vede si è avuto un vertiginoso aumento di fatturati e profitti senza crescita di occupazione: l’azienda fa massiccio ricorso alla fornitura di manodopera interinale per coprire i picchi di produzione, senza assumere nuovo personale, sbarazzandosi poi disinvoltamente dei lavoratori interinali alla prima incertezza.
Perché è stato necessario l’ampliamento dello stabilimento produttore di bombe? La crescita degli ordini, a partire dallo scoppio della guerra in Yemen nel 2016, ha avuto come conseguenza la saturazione della capacità produttiva dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias, rendendo necessario il suo ampliamento. Di conseguenza l’azienda ha programmato, dal 2017, un imponente piano di potenziamento degli impianti, con la realizzazione di nuovi reparti di produzione, magazzini, strade e piazzali e persino di un nuovo poligono per effettuare test esplosivi.
L’area RWM è però interessata da un forte rischio idrogeologico. La realizzazione risultava assai problematica a causa della collocazione dello stabilimento, che in buona parte non si trova neppure in un’area con destinazione industriale, ed è oltretutto privo di servizi di acquedotto e fognatura. Non possiede un depuratore per il trattamento dei reflui industriali ed è servito da un’unica strada di accesso di sezione molto ridotta, sulla quale transitano mezzi pesanti carichi di ordigni ed esplosivi. Oltretutto si trova incassato in una valle dalle pareti ripide e franose, attraversata da un fiume a elevato rischio di esondazione, il Rio Figu, che divide in due lo stabilimento passando in mezzo agli impianti.L’area in cui si trova la fabbrica RWM risulta inoltre interessata da un rischio idrogeologico elevato, aggravato anche dalle passate attività minerarie dismesse da decenni, senza essere mai state messe in sicurezza, ed è quindi interessata da diversi vincoli. Se si aggiunge che a poche centinaia di metri dallo stabilimento si trova anche una importante area naturalistica protetta – Monte Linas Marganai –, si capisce come l’area sia assolutamente inadatta per un’attività così impattante e pericolosa. Il progetto per l’ampliamento degli impianti non poteva e non doveva essere accolto.
Eppure, la RWM è riuscita nei suoi intenti. Sì, ricorrendo ad alcuni sotterfugi e stratagemmi risultati poi irregolari e illegittimi. In particolare ha frazionato il suo piano di ampliamento di potenziamento degli impianti in un gran numero di interventi – un centinaio tra il 2017 e il 2021 –, per i quali ha richiesto altrettante autorizzazioni edilizie, come si trattasse di progetti indipendenti e non correlati. Ha poi negato la produzione di esplosivi attraverso procedimenti chimici, nonostante l’azienda fosse in possesso di licenze di fabbricazione di esplosivi di tipo PBX – rilasciati dal ministero dell’interno – e che i manuali pubblicati dai collaboratori dell’azienda mostrassero come per la produzione di questi esplosivi fossero impiegati processi chimici di polimerizzazione. L’RWM vuole eliminare sulla carta tutti i corsi d’acqua interni alla sua proprietà che confluiscono nel Rio Figu
E la Valutazione di Impatto Ambientale? RWM ha ottenuto che le amministrazioni coinvolte rilasciassero tutte le licenze edilizie per l’ampliamento dei suoi impianti senza nessuna Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che oltretutto è obbligatoria per le industrie chimiche che producono esplosivi. La RWM non si è rassegnata all’idea di poter rinunciare all’ampliamento e ha chiesto alla Regione Sardegna di effettuare una VIA a posteriori delle opere realizzate illecitamente, sostenendo che un eventuale esito positivo autorizzerebbe l’azienda ad aprire i reparti e avviare la produzione.Si tratta di una evidente forzatura della normativa, visto che in questo modo la VIA, di regola effettuata prima della realizzazione delle opere, agirebbe come una sorta di sanatoria degli illeciti. Tuttavia la Regione Sardegna nell’estate del 2022 ha avviato la procedura per la VIA “postuma” di una parte del progetto di ampliamento della RWM. Tale procedura è ancora in corso.
Quali sono le intenzioni dell’azienda? Eliminare sulla carta tutti i corsi d’acqua interni alla sua proprietà che confluiscono nel Rio Figu, il fiume a elevato rischio di esondazione che attraversa lo stabilimento. Alcuni di quelli di cui si chiede la cancellazione si trovano però all’interno dello stabilimento e le norme di salvaguardia avrebbero obbligato l’azienda a rispettare delle fasce di sicurezza di ampiezza variabile tra 20 e 50 metri, cosa che non è avvenuta, visto che attualmente l’alveo di questi corsi d’acqua appare profondamente alterato dalle costruzioni realizzate, sino a scomparire del tutto in alcuni tratti.Oltretutto tali corsi d’acqua confluiscono nel Rio Figu a cui, a causa dell’elevato rischio idrogeologico, è associata una fascia di rispetto larga 150 metri, nella quale si trova una zona a rischio idrogeologico – zona cosiddetta Hi4 – dove, per ragioni di sicurezza, non possono assolutamente essere realizzati impianti industriali. Ciò nonostante, anche in tempi recenti, l’azienda per espandersi ha realizzato in quest’area imponenti sbancamenti e ha costruito grandi strutture. Ancora ci chiediamo come sia stato possibile che abusi di questa entità siano stati realizzati alla luce del sole, senza che nessuna delle autorità competenti muovesse obiezioni.
RWM vuole quindi forzare le normative esistenti sia sulla fornitura dei paesi belligeranti sia sulla tutela.
In definitiva sì, appare evidente come un’industria che produce armi ed esplosivi destinati ad alimentare i conflitti in corso riesca spesso a forzare le normative esistenti, sia quelle che dovrebbero impedire la fornitura di armamenti ai paesi in guerra, sia quelle che dovrebbero tutelare la sicurezza della popolazione, dell’ambiente e del territorio. Nonostante le evidenti violazioni, sanzionate anche dai tribunali, sono stati realizzati in un’area a elevato rischio idrogeologico impianti ad alta pericolosità, destinati a fabbricare ordigni micidiali. Anche in presenza di sentenze ormai passate in giudicato, l’azienda non si rassegna e ricorre a ogni mezzo, compresa la “cancellazione” legale dei corsi d’acqua dalla sua proprietà, pur di “sanare” la situazione e ottenere l’apertura e la messa in produzione dei nuovi impianti realizzati illecitamente.
Come si pone la resistenza delle popolazioni contro i colossi dell’industria militare? La resistenza della popolazione contro questi colossi degli armamenti è impari: la società civile trova difficoltà a opporsi alle schiere di avvocati e tecnici al soldo delle società armiere, le amministrazioni pubbliche sono per lo più orientate alla difesa degli interessi dei produttori di armi e giustificano il loro atteggiamento con la vaga promessa di una manciata di “posti di lavoro”. La storia dello stabilimento Rheinmetall-RWM, in questo senso, è esemplare. La resistenza contro l’a resistibile ‘ascesa dell’industria delle armi è tuttavia irrinunciabile, ne va della nostra sopravvivenza.
Ma come è possibile?