Irene Bosu
di ALESSANDRA GHIANI
“Content is king”: questo motto coniato dal magnate americano dei media Sumner Redstone, ripreso poi da Bill Gates, è diventato un pilastro della comunicazione. Creare contenuti di valore, comprensibili ed efficaci è fondamentale in tutti i settori. A maggior ragione lo è quando si parla di comunicazione istituzionale e d’emergenza, il cui destinatario è un’intera comunità. Ne abbiamo parlato con Irene Bosu, esperta di comunicazione istituzionale, politica e culturale, giornalista e social media strategist, responsabile delle pagine social del Comune di Nuoro, della Protezione Civile locale e portavoce del sindaco della città.
Quali sono le finalità della comunicazione istituzionale? Perché è importante? Le finalità sono molteplici, la più importante è quella di informare i cittadini riguardo alle attività delle istituzioni. È uno scenario complesso e variegato, nel quale il web e i social hanno assunto un ruolo di primo piano, accanto agli strumenti tradizionali. Una partecipazione democratica ci può essere solo quando i cittadini sono ben informati. La buona comunicazione promuove la trasparenza e la responsabilità delle istituzioni, e deve garantire un’informazione accurata e accessibile a tutti. La comunicazione istituzionale serve poi a rendere comprensibile il linguaggio tecnico e burocratico degli avvisi o dei bandi della PA, agendo come un ponte tra gli uffici e i cittadini, rendendo il messaggio tecnico e normativo chiaro e comprensibile a tutti.
Non tutte le istituzioni si avvalgono di un ufficio stampa e di un social media manager, figure fondamentali al giorno d’oggi. Quali sono, a tuo avviso, le conseguenze di questa scelta? Porto l’esempio del Comune di Nuoro, con cui collaboro da quattro anni, che non dispone di un ufficio stampa istituzionale ma ha una portavoce del sindaco – io – e un addetto stampa. Queste ultime due figure sono legate allo staff del primo cittadino, variano a ogni mandato politico, e hanno una funzione diversa rispetto all’ufficio stampa istituzionale. Quest’ultimo ha il compito di comunicare tutti gli atti e le attività degli uffici.
La sua assenza comporta il rischio di una minore trasparenza dell’ente e una comunicazione disorganizzata e soggetta a variazioni di stile e approccio. A questa funzione importante spesso sopperiscono i portavoce e gli addetti stampa del sindaco. L’assenza di figure stabili nel tempo mina l’efficacia della comunicazione e della trasparenza dell’istituzione – quest’ultima, ricordo, è un obbligo di legge.
Anche in presenza di queste figure, quali sono invece gli errori commessi più spesso e cosa comportano? La mancanza di chiarezza, di una social media policy e di coerenza del messaggio trasmesso. Sono errori che possono portare a fraintendimenti, perdita di fiducia e, nei casi più estremi, reputazione danneggiata.
Durante la pandemia ti sei occupata anche di comunicazione di emergenza con la gestione dei social media della Protezione Civile comunale di Nuoro, un caso riconosciuto a livello italiano come buona prassi. Come è stata strutturata la campagna di comunicazione? L’attività di comunicazione e informazione è partita il primo giorno in cui si è riunito il Centro Operativo Comunale, l’organismo della Protezione Civile per far fronte all’emergenza sanitaria. Era il 10 marzo del 2020. L’obiettivo era quello di trasmettere in maniera puntuale, aggiornata, tutte le informazioni utili ai cittadini per fronteggiare l’emergenza. La pagina Facebook della Protezione Civile in quel periodo era diventata un vero e proprio punto di riferimento per i cittadini ma anche a livello provinciale: ci chiedevano informazioni, chiarimenti sulle restrizioni, cosa potevano o non potevano fare e si cercava di rispondere in tempo reale.
L’attività si è concentrata sulla comunicazione dei bollettini della protezione civile, ordinanze regionali e comunali, decreti del presidente Conte, diffusione di FAQ regionali e nazionali, vademecum del Ministero della Salute e circolari del Viminale e Prefettura. La pagina la gestivo io ma ho sempre lavorato a stretto contatto con il sindaco, con un collega giornalista, con i servizi sociali, col settore comunale delle attività produttive, con la polizia locale e con le associazioni di volontariato.
Le istituzioni potrebbero adottare una strategia integrata di politiche di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici
Cosa ha reso il tuo approccio una best practice, peraltro segnalata anche nel Nuovo manuale di comunicazione pubblica di Sergio Talamo e Roberto Zarriello? Si è cercato di dare un ordine comunicativo quando tutto intorno regnava il disordine. Credo che sia stato premiato il modo di diffondere informazioni accurate, tempestive e soprattutto rassicuranti riguardo alle misure di prevenzione e alle indicazioni delle autorità sanitarie. È stata utilizzata una comunicazione diretta e trasparente, coinvolgendo anche la comunità locale e promuovendo comportamenti responsabili.
In quel frangente, quali sono state le criticità maggiori dal punto di vista della comunicazione e quali gli aspetti positivi? Nel primo periodo della pandemia circolavano tantissime fake news. Ci siamo trovati ad affrontare una grande confusione, con significativi ritardi tra le comunicazioni della ASL e quelle fornite dalla Regione Sardegna, aggravata dall’inesperienza di tutte le istituzioni nel gestire una situazione pandemica così complessa e in rapida evoluzione.Nessuno aveva una chiara strategia unica su come comunicare al meglio le informazioni, e in quel frangente era fondamentale agire con prontezza e attenzione, per evitare confusione e disinformazione. Le emozioni prevalenti della popolazione da gestire a livello comunicativo sono state la tensione, la paura, l’ostilità e lo scetticismo. Tra gli aspetti positivi c’è stata la capacità di mobilitare solidarietà nella comunità.
A proposito di comunicazione di emergenza, hai qualche idea rispetto al come affrontare gli esito del cambiamento climatico? Dal punto di vista della comunicazione, le istituzioni cosa potrebbero fare? Le istituzioni potrebbero adottare una strategia integrata di politiche di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. La comunicazione dovrebbe partire da una base scientifica ma utilizzare un linguaggio comune e il più semplice possibile, promuovendo azioni positive ed empatiche anziché rabbia o scetticismo.
Parliamo di promozione dell’Isola. Le campagne di comunicazione della Regione Sardegna sono state spesso oggetto di critiche. Secondo te che cosa si sbaglia e come si potrebbe migliorare? Uno dei principali errori è l’eccessiva folklorizzazione del messaggio e l’enfatizzazione degli stereotipi sulla Sardegna: l’orgoglio, l’ospitalità, la fierezza e così via. Ultimamente, in particolare, si è notato un trend nel realizzare prodotti turistici più vicini a film fantasy che a spot pubblicitari, che mirano a magnificare l’“identità sarda” senza riflettere sulle peculiarità che rendono la Sardegna un attrattore poliedrico. Secondo me non si ha chiaro a livello culturale il messaggio da trasmettere e così ci si affida a consumati cliché.
“Identità” è un termine spesso usato a sproposito. Cosa significa per te e in che modo la nostra identità può essere funzionale alla comunicazione anche istituzionale? Identità è una parola che mi piace tantissimo perché raccoglie le caratteristiche culturali, storiche e sociali di una persona, di un gruppo o una comunità. Però bisogna stare attenti perché identità non è un concetto fissato una volta per sempre. L’identità è una caratteristica fluida, in divenire. Ciò che siamo oggi non è lo stesso di ciò che eravamo dieci, venti o quarant’anni fa. Nella comunicazione, l’identità può essere funzionale quando viene utilizzata per promuovere valori condivisi e coesione sociale. Non lo è – anzi, fa danni – quando scade nel folklorismo, trasformando i soggetti – i sardi – in oggetti da mostrare per far felice il turista.
Parlando invece di comunicazione culturale, quali sono le differenze rispetto a quella istituzionale e d’emergenza? Sicuramente la comunicazione culturale non parla burocratese! Questo permette di adottare approcci più creativi e coinvolgenti, di esplorare la bellezza e l’arte senza le formalità del mondo istituzionale. Ciò che trovo particolarmente gratificante è la libertà di raccontare un evento o il territorio lasciando al pubblico un’impronta emotiva duratura.
In chiusura, un pensiero su come l’intelligenza artificiale potrebbe incidere sul modo di fare comunicazione. Una gestione oculata e responsabile dell’IA può arricchire la comunicazione, ma è essenziale mantenere sempre al centro l’attenzione per il valore umano e l’etica. Ciò che difficilmente l’IA può riuscire a fare è creare connessioni empatiche tra l’autore e il fruitore della comunicazione. È questo è fondamentale per chi svolge il mio lavoro.
ringrazio ancora Alessandra Ghiani per l’intervista.