da sinistra: Pierangela Abis, Giacomo Serreli e Giovanni Cervo
di SERGIO PORTAS
Ti sorprende, a volte, la Sardegna, quando sembra destarsi all’improvviso da sonni che parevano perenni. Così te la ritrovi baldanzosa per un premio a poesie tutte cantate nella natia “limba del paese”. Da Oschiri, Villanova o Mamoiada. E in quel di Milano per di più, al teatro Dal Verme prestigioso, prestato dal Comune meneghino al circolo dei sardi di quaggiù. Ove eravamo rimasti, dice Massimo Serreli che presenta, ricordando che dieci anni son passati da che non si rinnova quest’evento. Che il circolo sardo già per nove volte era riuscito a mettere in cantiere. Con successo crescente, e prestigioso era diventato ricevere l’alloro del primato. La festa di oggi di oggi è dedicata a quel Paolo Pillonca che una vita ha speso per parlare della sarda poesia, e da poco “è scomparso”. Aprono le danze nel proscenio due che con l’organetto e le launeddas sono capaci di farti immaginare che la Sardegna sia qui e balli a ballu tundu. Andrea Pisu launeddas a Villaputzu e Vanni Masala, organetto d’Oristano, sanno evocare nenie così antiche che paiono rubate da nuraghi che credevi perduti tra foreste di lecci millenari. E loro sono maestri a riprodurle a tinte così forti, che senti il cuore batterti nel petto come volesse volarsene sul palco. A giocare con le rondini che quelli sanno animare usando gli strumenti, scambiando note nere in pentagramma per falene mosche e moscerini. A farne scorpacciata. Al bando hanno risposto centotrentasette poeti, qualcuno sin dall’Europa centrale: è un premio internazionale di poesia. Bastianino Mossa, presidente di FASI è di Bultei, non arrivano a mille e si conoscono tutti, saluta la gente in sala in lingua tattarese, si dice felice che oggi, l’otto marzo, la Sardegna abbia finalmente una giudichessa tutta nuova, quella Todde Alessandra nugoresa che parla quattro lingue, il sardo compreso ben s’intende. Tocca a Tonino Mulas di Dorgali presentare il politico di turno: Pier Francesco Maran il più votato della giunta di Sala, e studia già da sindaco. Intanto si occupa delle case dei milanesi con esiti alternanti, che quelle popolari sembrano scomparse dall’agenda corrente di chi governa, e gli sfratti per incapacità di pagare sono schizzati a numeri che gridano vendetta. E’ Clara Farina, scrittrice e attrice teatrale, oltre che componente la giuria che ha scelto i vincitori, che fa da “recidadora” in stile personale. Alcune rime le canta, alcune le declina: inizia con “Acaradas Rivas” di Luca Meledine e con “L’’antigu trenu” del gallurese Gianfranco Garrucciu. Sullo schermo gigante scorrono le rime delle poesie in “limba” e a fianco tradotte in italiano. Che non tutto il pubblico è nato in “cab’e susu”, e ce ne sono parecchi che confondono il sardo e l’ostrogoto. Maria Giovanna Cherchi fa la sua prima apparizione sul palco, canta “Mediterranea” un poco in sardo e un poco in italiano “unu cantu de antigas paraulas e melodias”. Una voce potente quella dell’artista di Bolotona, dove ha preso a cantare sin che era bambina. Naturalmente tutto regge Serreli che sottolinea la straordinaria ricchezza della nostra lingua. E presenta al pubblico Pier Sandro Pillonca, figlio di Paolo, lui anche cultore di poesia: “Primas pandelas” (prime bandiere) chiama i poeti premiati, che alzano alto lo stendardo della parlata sarda in rima. Si merita una “conchiglia d’argento” dalle mani di Pierangela Abis, già presidentessa del circolo sardo di Milano, senza il suo lavoro niente di tutto questo avrebbe potuto svolgersi. Lei con Giovanni Cervo, attuale presidente e Andrea Serra a segretario. Premio speciale del circolo a Giuseppe Mesina che fa irrompere l’attualità in sala con un titolo che dice già tutto: “Terra de Palestina”. L’artista orgosolese interpreta un sentire che è di tutto il pubblico, e Clara Farina grida la carneficina inspiegabile che nessuno si impegna veramente a far finire. Davvero molto bella! Dalle “donne Fasi” premio speciale alla desulese Anna Laura Floris, terra di poeti Desulo da che il suo “Montanaru” ha fatto udire le sue rime alla Sardegna tutta. La sua “Ora Mà” (signora madre) è una sorta di preghiera, in sintonia con quest’otto di marzo che non si accontenta più delle solite mimose. Ma chiede all’altra metà del cielo di schierarsi a che la parità di genere non sia più solo di facciata. Per la poesia sperimentale il premio a Lorenzo Atzeni e la sua “Rebèllia”, per lui che per la prima volta è a Milano e, giovane com’è, ama ancora giocare, questa è “la città di Giorgio Gaber”. A spezzare il ritmo delle prose Serreli introduce un trio di “musicisti navigati”, con un repertorio che spazia dal leggero al classico ( un paio di loro erano nell’orchestra della Scala). Un flauto, una chitarra e un mandolino, tre brani di cui una struggente “Amapola”. Anche per sentire loro sono presenti in sala numerosi componenti degli “Amici del Loggione” che, dice Pierangela Abis componente dell’associazione, sono pure “Amici della Sardegna”. Molto alla riuscita della manifestazione ha collaborato la Fondazione Maria Carta. Lei forse la cantante sarda per antonomasia, nel ‘75 aveva pubblicato delle poesie in lingua italiana: “Canto rituale”. A Clara Farina il singolare tentativo di tradurle in sardo, in un libro uscito da poco: ne declama un paio cantandole. Leonardo Marras, presidente del “Maria Carta” in un breve intervento ascrive i poeti e musicisti sardi a “spina dorsale della nostra identità”. Sembra quasi riferirsi ai due “Fantafolk” che, rientrando sul palco, scatenano le gambe del pubblico a una danza involontaria, nonostante l’età media sia piuttosto elevata. Il premio dei residenti è per Giuseppe Branca: “Mancosedda mancosa e tumbu”, lui emozionato dice che mai avrebbe potuto sognare di sentir recitare “sa cantone mia dinante a tanta gente”. E di gente ce ne è veramente tanta, il teatro di 1500 posti è completamente pieno. La poesia del Branca è costruita secondo il “fiato circolare” che occorre per suonare le launeddas: “unu casinu” dice Clara Farina: “proverò a leggerla”, ma è così bella che canta da sola. Giuseppe vive a Sassari ma è originario di Cheremule. Per i non residenti a vincere è Teresa Piredda, di Escolca, abita a Perugia e “Aintru de i-cust’amori”, si può anche intendere per amore della poesia, un amore che lei ha sempre sentito sin da piccola ma “mi paria bregungia ‘e du nai” ( avevo vergogna a dirlo). I fiori per lei sono di Serafina Maxia, presidentessa emerita Fasi. Serafina liscia il pelo al pubblico presente ricordando il bittese Bachisio Bandinu, per molti anni insegnante a Varese, che definiva i sardi, residenti e non: “petras fittas”, E tocca a Giacomo Serreli far menzione dei Nicola Tanda e Franco Loi, frequentanti per anni il premio di poesia milanese. A Giovanni Cervo ricordare che il “logo” del premio, molto bello in verità, è opera di Aligi Sassu, Simone Pisano, linguista glottologo e professore emerito, presidente di una giuria di cui ogni membro, a suo dire, avrebbe potuto essere al posto suo, legge in sardo un testo che si sofferma sulla ricchezza linguistica assoluta della lingua sarda. Nelle sue molteplici declinazioni. “Noi sardi viviamo nel presente e le lingue vivono ed evolvono con noi”. Anche questo evento odierno dice della vitalità di questa lingua. Si accomiata con un: “A medas annos chin salude”. Poi la vincitrice assoluta: Maria Cristina Serra, un “pezzo da novanta” della poesia sarda, originaria di San Basilio dove è cresciuta ora vive a Cagliari, ha due figli Silvia e Francesco. Aveva cominciato per gioco a scrivere poesie ma poi ha preso parte, e ha vinto, a tutti i concorsi più prestigiosi dell’isola. Dll’”Ozieri” ( 2 volte vincitrice) , al “Mialinu Pira”, dal “Remundu Piras” all’”Internazionale di Milano” (tre volte) e con questo fa quaterna. Tradotta in mezzo mondo, le sue poesie mutate in canzoni: nel disco “Murìga” di Alba Pintore ce ne è un paio, ha scritto il testo di: “anda si ois andai” e coautrice con Pino Martini Obinu di “Wangari Maathai”, in onore della prima donna africana, keniota, a ricevere il “Nobel” per il suo impegno ambientalista e per la democrazia e la pace. E questo dice molto delle problematiche che le stanno a cuore e che mette in poesia. Questa che vince a Milano: “Crapiteddas”, scarpette in campidanese, sono tragicamente di colore rosso, l’incipit fa così: “ E candu totu at essi’ iscurigau/ de is capriteddas mias arrùbias / at a sighiri su tzérriu avrigau/”: e quando tutto sarà caduto nell’oblio/ continuerà l’urlo straziante/ delle mie scarpette rosse. Dice del modo commovente con cui è stata accolta, parla della poesia che non ha confini, del suo lavorio nel risveglio delle coscienze, delle diversità che sono solo ricchezze. La poesia Clara Farina la legge a voce strozzata, come fosse un “attidu”. Non vi nascondo che sentire la parlata campidanesa defluire a dire cose che toccano l’animo, mi fa venire i brividi alla schiena. Poi torna Maria Giovanna Cherchi a prendersi l’applauso sfrenato del pubblico con “ No potho reposare” ( con in retrofondo la voce di Mango) e “Procura de moderare”, i “Fantafolk” che passano dal “Il suono del silenzio” a uno scatenato “Dillu”, loro rimangono senza fiato, noi tutti senza parole. A suggello finale i tre “Tazenda”: Pitzinnos in sa gherra” la cantano insieme a mezzo teatro, ma anche “Carrasecare” e “Spunta la luna dal monte”, nonché “Domo mia” hanno più o meno la stessa sorte. E in sala spuntano vivaddio le bandiere dei quattro mori. Che vieppiù sventolano alla “ No potho reposare”finale che tutti gli artisti mettono in scena, a grande richiesta del pubblico. La seconda bandiera che sventola al mondo quella sarda ( la prima è l’americana), dice sempre Paolo Fresu, dovunque sia andato a suonare, anche in capo al mondo, ce ne è sempre almeno una. E, a fine concerto, arriva sempre qualcuno che mi dice: “ciao, anche io sono sardo”. Lasciando sempre di stucco gli artisti che suonano con me, che da loro non ci va mai nessuno a dirgli: “ciao, sono anche io lombardo, o ligure, o abruzzese…”. “ O sardu, si ses sardu e sis ses bonu/ sempre sa limba tua apas presente:/ no sias che isciau ubbidiente/ faeddende sa limba’e su padronu/…”da Remundu Piras, il cantore della poesia orale di Villanova Monteleone. Lui di “gare poetiche” ne ha vinto a centinaia.
Bravu Sergio Portas