di PIERGIORGIO PINNA
Un crescendo di emozioni, trame, intrecci. C’è tutto questo e molto di più nell’ultimo romanzo di Ottavio Olita, Il rifugio dell’assassino. Da conoscitore delle cronache e scrittore ormai esperto dopo sei anni d’insegnamento universitario e trentaquattro trascorsi come giornalista all’Ansa, alla Nuova Sardegna e alla Rai, l’autore si butta a capofitto in una storia vera dai risvolti inediti. Affresco di popolo con scenario il Campidano e la comunità di Villacidro tra fine Ottocento e inizio Novecento. Dal racconto riemerge in tutte le angosce esistenziali, gli odi, gli amori e potenzialità di fratellanza il paese d’ombre di Giuseppe Dessì. In apparenza, la vicenda trova il centro nella figura di un ragazzo responsabile dell’assassinio di un coetaneo. In realtà, il tessuto narrativo affronta la vita e le relazioni sociali di famiglie che trovano gli anticorpi giusti per superare avversità, faide, rancori. E lo fanno anche attraverso la fede in Dio e la fiducia nelle autorità ecclesiastiche.
Per capire meglio i retroscena del libro (edizioni IsolaPalma, 16 euro) si dovrà ricordare che cosa dice di Villacidro Francesco Corona nella prima guida turistica della Sardegna, pubblicata nel 1896, quasi negli anni d’avvio della storia: “Un grosso villaggio di oltre cinquemila abitanti con abbondanza d’acqua e panorami incantevoli, giardini, frutteti, agrumeti. Oltre ai cedri che gli danno il nome, i contadini sono industriosi, dediti alla cura dei suoli, all’allevamento, alla distillazione del vino e di un’acquavite apprezzata in tutta l’isola. Stazione di villeggiatura di molti cagliaritani, Villacidro è nota per il palazzo del vescovo di Ales e l’antico convento dei Mercedari in Frontera”. E se oggi quel centro a poche decine di km dal capoluogo di regione, così come Samassi, Sanluri e altri paesi vicini, è in parte irriconoscibile sul piano dei contesti architettonici, toponomastici e stradali, certo non lo è invece per i tratti umani degli abitanti. Tutti aspetti che Olita ricostruisce nelle evoluzioni degli ultimi decenni agganciando gli sviluppi della storia a una contemporaneità dove i protagonisti si mescolano con antenati, amici, parenti. Tanto da rendere realistica la descrizione di Villacidro che oggi si fa in moderne guide, a cominciare dal numero – triplicato – dei residenti in quella che è diventata in un secolo e mezzo una cittadina d’interesse nevralgico per l’intero meridione della Sardegna.
Ma, come naturale, non ci sono soltanto il Monte Linas e i paesaggi suggestivi del Campidano a fare da sfondo agli intrecci raccontati da Olita. Predominano i fattori umani, gli elementi d’introspezione psicologica, le chance di riscatto sino alla redenzione. Due tragici fatti di cronaca prima ci riportano indietro nel tempo e poi, all’improvviso, ci fanno tornare rapidamente ai nostri giorni. Gli avvenimenti, così come si sono effettivamente svolti, sono ovviamente inseriti in un contesto dove singoli individui e riferimenti familiari vengono sopravanzati dalle invenzioni narrative. Con note e descrizioni davvero riuscitissime. Con un’escalation di colpi a effetto. Con un ritmo che spinge a non chiudere il libro prima della fine. Ed ecco perché Il rifugio dell’assassino è un romanzo che, in qualche misura, può rivelarsi rifugio di speranza. Leggere per credere.