di MARIA GRAZIA MARILOTTI
Aromi, sapori, prelibatezze tra le righe, per uno stuzzicante invito alla lettura di libri, tutti da assaporare. “I Portolu avevano avuto un lauto desinare, fave bollite col lardo”. “Sulla tavola fumava già un gran piatto di ravioli di cacio fresco e farina”.
Tra le pagine dei romanzi e delle novelle di Grazia Deledda affiorano non solo incantevoli paesaggi della Sardegna ma anche i profumi intensi della cucina della sua Barbagia, con le sue antiche tradizioni, i gesti rituali, il mio cibi genuini. Filindeu, pani fratau, macarrones de punzu, pecora in cappotto, porchetto arrosto e, per finire in dolcezza, casadinas o seadas. Ad accompagnare le portate il corposo e rinomato rosso rubino di Oliena, il Nepente, lodato da Gabriele D’ Annunzio. “A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente”. E che il Nepente levasse ogni tristezza lo sapeva bene la scrittrice quando ne ‘La via del male’ si chiedeva “che aveva in sé la giovine padrona quel giorno, perché al solo vederla egli si rallegrasse tutto come dopo aver bevuto un bicchiere di vino d’Oliena?”.
Gustose pagine di letteratura e sfiziose pietanze diventano gli ingredienti di un menu letterario da premio Nobel. Ricette entrate nella storia, o meglio, nelle storie. Quelle raccontate dalla scrittrice nuorese nelle sue celebri opere. Due ristoratori illuminati, Vincenzo Palimodde, noto Cenceddu e Tonina Biscu, di Oliena, a pochi chilometri da Nuoro, paese di vigneti e uliveti ai piedi del monte Corrasi, le hanno raccolte e catalogate per dar vita al Menu Deleddiano. Un accurato lavoro di ricerca dove la passione letteraria si sposa con l’amore per l’arte culinaria. Dai libri dell’autrice di “Canne al vento”, Palimodde e Biscu hanno scelto i succulenti passaggi dove Deledda offre una citazione o descrizione di apprezzate specialità tipiche per creare un prezioso catalogo culinario e letterario: oltre 40 citazioni da dodici libri dell’unica donna italiana ad aver conquistato il Nobel per la letteratura. Uno speciale ricettario per un invito alla lettura e all’assaggio di prelibatezze della cucina di questo territorio ricco di piatti genuini di segno agropastorale e che diventa strumento di promozione enogastronomica e culturale in chiave turistica. Per far conoscere la Sardegna, in particolare la Barbagia, attraverso i capolavori della letteratura e le sue ghiottonerie. Con un testimonial d’eccezione, Gianfranco Zola, il grande talento del calcio.
La lettura dei romanzi di Grazia Deledda diventa così un piacere da gustare con più sensi e disegna uno squisito itinerario: dall’antipasto al dolce, senza farsi mancare il caffè e il distillato sardo per eccellenza, il fil ‘e ferru, acquavite che prende il nome dal filo di ferro utilizzato in epoca di proibizionismo come segno di riconoscimento del punto in cui venivano sotterrate le bottiglie clandestine di questo “abbardente”, acqua che infiamma. L’idea iniziale ha poi preso forma con un progetto articolato di respiro nazionale e internazionale.
Vitalia Scano, titolare e chef del Ristorante Sandalia di Roma e referente delle Lady Chef di Roma e provincia ha lanciato l’idea, vincente, di rendere itinerante il menu dedicato all’autrice di “Canne al vento” e “L’ edera”. Viaggerà per il mondo assieme ai romanzi del premio Nobel con tutto il carico di suggestioni e atmosfere. Non solo. E’ nata l’omonima associazione culturale guidata da Vitalia Scano, vice è Vincenzo Palimodde, ideatore del menu, segretaria è Annalisa Atzeni, agrichef, custode e cultrice delle ricette della tradizione sarda. Ne fanno parte anche le chef Tonina Biscu, Marina Ravarotto del “Chiaro Scuro” di Cagliari, Elisa Sabeddu, imprenditrice “Pasta Paradijs” ad Amsterdam, Badore Ticca, chef di Oliena, titolare del “Ristorantino Shardana” a Parigi e a Orosei.
Prima tappa all’estero è stata Bruxelles, Palazzo Africano. Lo scorso novembre l’associazione Menu Deleddiano è stata invitata in occasione dell’ottava edizione della “Settimana della cucina italiana nel mondo” e il ministro Francesco Lollobrigida ha consegnato un riconoscimento all’associazione culturale.
“E’ stata l’occasione per mostrare la preparazione del filindeu, col suo sacro rito, poi fatto assaggiare assieme a altre specialità citate e descritte da Grazia Deledda: ‘maharrones de busa con salsa di noci’, pane guttìau, sas cattas, maialetto, aranzada, acquavite, nepente di Oliena”, racconta Vitalia Scano.
Vincenzo Palimodde spiega che “ la principale missione dell’associazione è far riscoprire agli emigrati sardi nel mondo quei sapori di una volta dimenticati, ma il progetto si estende a tutti gli ambiti”. Articolato nei suoi aspetti socio-culturali, turistici, culinari ed educativi, “diverrà quindi strumento di racconto, divulgazione e promozione, con il coinvolgimento di realtà quali le associazioni dei sardi e gli istituti italiani di cultura presenti in tutto il mondo”, aggiunge Scano.
In particolare sono stati già presi contatti con i circoli di Francia, Danimarca e Olanda e realtà culturali di Argentina, Australia, Tokyo, New York, Chicago, Quebec. Il viaggio del Menu Deleddiano dopo Bruxelles, è poi proseguito il poi il 15 dicembre a Villa Vivaldi a Cagliari per ‘una cena in compagnia di Grazia” e dopo in viaggio verso Copenhagen, Chicago, New York.
Grazie a questo affiatato team le ricette antiche rivivono, riproposte fedelmente con rigore e competenza, con il contributo di Annalisa Atzeni, ma anche rivisitate in chiave moderna.
Maharrones con salsa di noci, pane guttìau, sas cattas, le gustose frittelle citate in Elias Portolu, pecora bollita, pabassinos, pompia e aranzada, sono stati anche protagonisti a Roma nelle proposte tradizionali e rivisitazioni delle chef sarde Scano, Ravarotto e Biscu in occasione di “A tavola con Grazia”, cena solidale per la raccolta fondi per la realizzazione di una scuola di formazione professionale nel villaggio di Orangea in Madagascar. Ogni piatto è stato accompagnato dalla lettura della citazione deleddiana. Ma anche in altre città. L’ ultima edizione a Oliena di Cortes Apertas, è stata improntata sul menù Deleddiano. Ogni cortile era dedicato a una ricetta e il titolo era quello del romanzo da cui era stata estrapolata.
Il battesimo del Menu Deleddiano è avvenuto a Sa Horte de su poeta, l’home restaurant di Oliena di Palimodde e Biscu. Un ambiente dove cultura e gastronomia convivono e dove si respira un’atmosfera intima con gli arredi sardi e le pareti decorate da Luigi Columbu con brani di Grazia Deledda, versi di Antioco Giuseppe Casula, meglio noto come Montanaru, Peppino Mereu, Raimondo Congiu e del padrone di casa, il compianto Luigi Biscu a cui “Sa Horte” è dedicata. “I turisti restano affascinati quando scoprono che quei piatti vengono fuori dai romanzi di una figura così importante come Grazia Deledda”, spiega Vincenzo Palimodde. Il lavoro è solo ai primi passi. “Ci sono ancora tante ricette e pietanze che man mano saranno recuperate per arricchire il libro di piatti dedicato alla scrittrice”, svela Vitalia Scano.
Un’antologia di citazioni culinarie affiora dai capolavori della grande scrittrice. Sfogliando i suoi libri emerge il suo legame viscerale per la sua Isola. Pagina dopo pagina Grazia Deledda tiene vive emozioni e ricordi di quell’immaginario magico dell’infanzia. E porta all’attenzione anche il sentimento dell’ospitalità e dell’accoglienza. “Descrive minuziosamente il rito, in rapporto al momento e al luogo in cui l’incontro si svolge, sia esso nel silenzio di Galtellì, sia con sullo sfondo le ‘cerule lontananze del Montalbo’. In qualunque luogo si accolga l’ospite, l’offerta del cibo, l’invito al proprio desco, ricco o parco che fosse, è atto dovuto con senso di antica sacralità”, spiega lo studioso e docente di filosofia Ugo Collu.
Basti pensare al “sanguinaccio” che il padre di Marianna Sirca, nel romanzo omonimo, fa preparare dai servi, oltre la carne allo spiedo, per l’arrivo in “pinneta” di Simone Sole diventato bandito, o con quanta cura in “Canne al vento” Ester, una delle sorelle Pintor, prepari nella loro ormai povera casa, il pane bianco, quello speciale, per l’arrivo del nipote Giacinto. Il ricettario è sparso qua e là lungo tutti i suoi libri.
Sempre in “Canne al vento” racconta di “una ragazza alta che portava sotto il grembiule un vaso di latte cagliato..”, ne “La via del male” Francesco “trovò i rognoni che taglio a pezzetti”. Di rognone d’agnello, tenero e dolce come una sorba matura si parla anche in “Cosima”, di pane, formaggio, uova, una salsiccia… in “Colombi e Sparvieri”. La scrittrice cita anche altre due specialità della Barbagia a tavola, il carasau “quel caratteristico pane sardo detto carta di musica” e il formaggio con i vermi “un intero formaggio marcio, da un buco del quale scappavano saltellando piccoli vermi bianchi che sembravano molto allegri e birichini…”.
L’ antica sapienza delle donne si trasforma in creazioni come il filindeu, l’intreccio di fili di pasta creato dall’incanto di movimenti ondulatori delle mani esperte delle maestre pastaie. O negli elegantissimi e raffinati e preziosi dolci, cattas, specie di frittelle di pasta lievitata, con uova, latte e acquavite descritte in “Elias Portolu”.
Anche la campagna offre tanto per uno spuntino se la protagonista di “Cenere” era stata “durante il giorno a cogliere erbe mangerecce selvatiche, e veniva a domandare un po’ d’olio per condirle”. Di romanzo in romanzo, di novella in novella è un’esplosione di aromi e fragranze. Quelli della Casadina, “piccola e sottile torta di pasta e formaggio fresco, ingiallito con zafferano” affiorano da “La Giustizia”. Cose buone come fave, lardo, lenticchie, viscere di pecora sono citate in “Cenere” mentre pietanze per stomaci forti come il sanguinaccio sono descritte, come detto, in “Marianna Sirca”. Tra le ghiottonerie citate anche portate a base di pesce trote e “un timballo di riso ed anguille…”. Da qui ai grandi classici della Barbagia serviti come seconde portate: pecora in cappotto, “carne di capra arrostita allo spiedo”, un bel porchetto arrostito, “cinghialetto con la cotenna rossa… ripieno di foglie di mirto”, mentre “l’odore della carne di capra arrostita allo spiedo che usciva da molte casupole stuzzicava il mio appetito”. Ma prima ancora “Sulla tavola fumava già un gran piatto di ravioli di cacio fresco e farina” e “il formaggio dopo averlo lasciato alquanto fermentare, e lo riduceva a caciuole dalla forma di pera” mentre “trasse dall’altra bisaccia la forma di cacio fresco ancora stillante di siero di ricotta stretta in un vaso di legno ricoperto da foglie di asfodelo” e “dal soffitto pendevano grappoli di formagelle giallognole e vesciche di strutto bianche come palle di neve”. Ad arricchire il pasto “graziosi formagelli in forma di uccelli, di piccole vacche, di cinghiali, di cervi; ed anche trecce e statuine che parevano idoletti indigeni, e microscopici cavallini con sella e briglia e relativo cavaliere”. Dulcis in fundo “i dolci di pasta sapa e uva passa”, “un cuore di pasta dolce e di mandorle ed altri pasticcini in forma di uccelli, di fiori, di triangoli”, “Grandi vassoi contenenti torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche di mandorle e miele”. Non poteva mancare “il formaggio fresco cotto con il miele”.
La cultura e la tradizione della buona cucina fanno parte di un ricco patrimonio che il premio Nobel menziona con dovizia di dettagli. “Profumi e squisitezze che sembrano scomparsi o lontani, sono invece ancora vivi nella memoria e, ancora oggi, si possono assaporare. Poco o nulla di questi è stato scritto: sono il frutto di gesti amorevoli che si sono ripetuti nel tempo e trasmessi oralmente”, sottolinea Vincenzo Palimodde. E che rivivono anche nei ristoranti gourmet.
Marina Ravarotto chef nuorese, ha dedicato l’insegna del suo ristorante a Cagliari alla novella e alla raccolta di racconti di Grazia Deledda “Chiaroscuro”.
Qui Marina fa conoscere attraverso una sua personale lettura, i piatti della cucina tradizionale della sua Barbagia. Terra con un ricco patrimonio culturale, storico e enogastronomico tutto da far scoprire. Come sembrano suggerire i versi di Grazia Deledda scritti a mano sulle pareti de sa Horte de su poeta, versi che hanno illuminato e ispirato la creazione di questo straordinario progetto, riconoscimento a una capacità di raccontare un’atmosfera, un’epoca, attraverso il suo cibo identitario: “A tottus nara chi s’ isola ‘e Sardigna isettat galu de esser iscoperta e connoschida ”. Dì a tutti che l’ isola di Sardegna aspetta ancora di essere scoperta e conosciuta”.
Grazie di cuore TOTTUS IN PARI
Bravissima
Ancora complimenti Annalisa ☺️🥇
Bellissimo servizio appena andato in onda a Videolina 👏🏻👏🏻👏🏻 complimenti Annalisa Atzeni ❤️