da sinistra: Masia, Pala, Ciusa, Ciusa Romagna, Pellegrini
di ANTONIO MARIA MASIA
Il Gremio dei sardi di Roma ha accolto con larga partecipazione ed entusiasmo la Fondazione Ciusa e il suo progetto inteso a celebrare ricordandolo e proponendolo, specie presso le comunità dei sardi in Italia e nel mondo, ma non solo, la figura, le opere e il sentimento artistico e civile di Francesco Ciusa. Per il grande uomo che è stato, ricco di valori civili, familiari e sociali. Per il grande artista che ha dimostrato di essere con le sue opere che hanno contribuito, a dare lustro, prestigio e luce alla Sardegna, alla sua storia, ai suoi costumi, alla sua cultura. Insieme agli altri splendidi nuoresi e nuorese che per un miracolo laico hanno dato vita nella seconda parte dell’800 a quel fenomeno culturale chiamato “l’Atene della Sardegna”.
Un gruppo di giovani e giovane artisti, scrittori, poeti, pittori, scultori, musicisti, fotografi: Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Pasquale Dessanay, Antonio Ballero, Giacinto Satta, Francesco Cucca, Priamo Gallisay, Sebastiano Guiso… E con loro, Francesco Ciusa, l’artista che aveva in sé il sentimento poetico di scolpire come parlava, come vedeva le cose e di scrivere come scolpiva.
Nelle sue opere la primitività e i dolori della Sardegna, le faide, le violenze, i soprusi, ma anche le innumerevoli bellezze naturali, culturali e storiche che contribuiscono a formarne l’identità. Gli interventi dei relatori, efficaci e apprezzati, coordinati da lontano (assente giustificato) dal giornalista Antonio Rojch, direttore della Fondazione, e in presenza dal presidente Pietro Ciusa, nipote diretto di Francesco, e dal sottoscritto, hanno dato ai presenti un’immagine vicina, amichevole, affettuosa e coinvolgente del grande scultore. Un nonno che non ha conosciuto, ha detto, commosso, Pietro, di cui però ha sempre respirato la presenza spirituale e culturale, attraverso il padre, che lo assisteva in bottega. Un nonno affettuoso che curava con attenzione e continuità la crescita civile e morale dei figli.
«Mio nonno era antifascista ed amico di Emilio Lussu», ha continuato con fierezza, malgrado di questi tempi pronunciare quella parola comporti, purtroppo, esitazione e perplessità revisionistiche. Il tempo, il luogo e l’ambiente in cui ha vissuto e operato prevalentemente Francesco Ciusa, Nuoro e la Barbagia, dice Maria Elvira Ciusa Romagna, nota scrittrice e storica dell’arte, parente del nostro scultore, era durissimo, faticoso e costellato di violenze, ruberie e omicidi che lui ha letto e rappresentato con l’assunzione su stesso di quel dolore intenso e dignitoso che ha prima introitato, riuscendo poi mirabilmente a trasmetterlo per sempre attraverso le sue opere: la più bella e conosciuta la “Madre dell’ucciso”.
La lettura di alcuni brani tratti dall’autobiografia di Francesco, a cura dell’attore algherese Alessandro Pala hanno testimoniato le sue ottime capacità di scrittura, in grado di cogliere e descrivere al meglio il contesto e i particolari. Era un bell’uomo, Francesco, continua Maria Elvira, affascinante, educato, lineare e con la schiena dritta. Amichevole e leale con i suoi contemporanei “ateniesi”, in primis con Sebastiano Satta, Bustianu, il grande vate, maggiore di lui di quasi 18 anni, che lo “proteggeva” e lo stimolava, riferisce Carlo Maccioni, dottorando all’Università di Cagliari operativo in storia dell’arte, nel corso del suo brillante intervento, facendo scorrere e commentando alcune interessanti diapositive.
L’incontro iniziato con il forte impatto emotivo suscitato dalla visione del bellissimo video ideato e scritto da Antonio Rojch, con un suo testo poetico musicato da Marino Maillard e Joël Flateau: “La ballata della madre dell’ucciso”, splendidamente recitato e cantato da Leena Galte, si è chiuso sempre tenendo alta l’attenzione e l’emozione del pubblico, con la relazione e valutazione sull’arte di Francesco Ciusa nel 900 italiano da parte di Giorgio Pellegrini, storico dell’arte e docente all’Università di Cagliari. Una magistrale lectio, preceduta dal giudizio video di Vittorio Sgarbi: «La forza di un nome, di un individuo che si afferma nella scultura come Francesco Ciusa non ha precedenti in Sardegna, quindi è l’orgoglio fondamentale della vostra identità, cultura e capacità di resistere con quanto nello stesso tempo, nei primi anni del 900, accadde in Italia e in Europa».
Una lezione di grande spessore tecnico ma anche relazionale, riferita a braccio con chiarezza, trasporto ed entusiasmo in grado di coinvolgere anche i non addetti. Mentre sullo schermo scorrevano le immagini non solo de “La madre dell’ucciso”, ampiamente commentata non solo come opera d’arte, ma anche come simbolo di una comunità, di un territorio e della sua cultura. Immagini di altre opere, alcune esposte in sala, come La filatrice, opera straordinaria per eleganza e raffinatezza che, viene ricordato, era stata posta in copertina del volumetto catalogo, Quaderno n. 3 prodotto dal Gremio per la “Mostra d’arte moderna” che aveva organizzato a Roma nell’aprile del 1950 presso la Galleria nazionale d’arte moderna, Valle Giulia. Mostra che alle opere degli artisti allora viventi (Remo Branca, Giovanni Ciusa Romagna, Mario Delitala, Stanis Dessy, Dino Fantini, Filippo Figari, Foiso Fois, Maria Lai, Marius Ledda, Pietro Mele, Libero Meledina, Federico Melis, Melchiorre Melis, Pino Melis, Bernardino Palazzi, Vincenzo Piras, Aligi Sassu, Giuseppe Silecchia, Primo Sinopico, Costantino Spada, Eugenio Tavolara, Gavino Tilocca… per non citarli tutti… erano 67) aggiungeva la retrospettiva di alcuni noti pittori già scomparsi (Giuseppe Biasi, Primo Sinopico) e scultori (Francesco Ciusa, morto a 66 anni l’anno prima). La “Madre dell’ucciso” esposta nelle sale del Gnam, dove ancora figura, fu di fatto, in quella circostanza, la bandiera ideale di tutte le opere esposte.
La mostra s’era svolta con grande successo di pubblico e di critica, insieme e accanto alla “Mostra dei bronzi nuragici e della civiltà paleosarda” sempre curata e organizzata dal Gremio, in collaborazione con il ministero della Pubblica istruzione e con la prestigiosa Associazione “Amici del libro” di Cagliari. Fra i presenti in quella primavera romana del 1950, l’archeologo responsabile della cattedra all’Università di Cagliari Massimo Pallottino con il suo volume “La Sardegna nuragica” e il presidente della Regione Sardegna Luigi Crespellani, socio onorario istituzionale del Gremio.
La chiusura travolgente del prof. Giorgio Pellegrini, che ha colto nello sviluppo artistico di Francesco Ciusa il momento in cui lo scultore riesce a coniugare la sua creatività con l’inizio di quel processo di industrializzazione e modernizzazione che l’Isola inizia negli 1918-1924, grazie alla realizzazione della diga di Santa Chiara sul fiume Tirso, è stata sottolineata da un lungo e caloroso applauso. In sala Italia gremita, la graditissima presenza del giornalista e regista Roberto Olla, dello storico Carlo Felice Casula e della presidente dell’associazione “Amici del libro” Maria Grazia Vescuso.
Ce ne vorrebbero più spesso
Complimenti al Gremio dei Sardi romano che si ricordano degli artisti sardi che hanno dato lustro alla nostra isola,ma in patria non vengono ricordati.
Molto interessante, Francesco Ciusa grande artista dalle mille sfaccettature raccontate molto bene dai relatori. Bellissima serata,grazie!