Piero Schiavazzi
di MICHELA GIRARDI
È una storia incredibile quella del più grande tenore mai nato in Sardegna.
Oggi il cognome Schiavazzi è ricordato dalla via cardine del quartiere cagliaritano di Sant’Elia, ma non tutti conoscono la vita e le opere dell’artista che dà il nome a questa strada.
Piero Schiavazzi ebbe una parabola unica nel suo genere che lo portò da una vita semplice, normale e con poche prospettive a una carriera piena di successi all’insegna del suo grande talento vocale.
Nacque nel 1875 in una famiglia di umili origini e come primo mestiere, ancora ragazzo, svolse quello di manovale nei cantieri del capoluogo, allora interessato da grandi opere edilizie. Come racconta il sito del Cimitero Monumentale di Bonaria, in cui fu interrato dopo la sua morte avvenuta nel 1949, il talento di Schiavazzi fu scoperto proprio in un cantiere.
A quanto pare, armato di cazzuola, il giovane era solito deliziare i suoi colleghi e capomastri con la sua voce. Un giorno, di questa voce, si accorse un facoltoso concittadino, l’avvocato Giovanni Battista Dessì, raffinato appassionato di musica. Dessì fece da vero e proprio mecenate al giovane cantante e fece in modo che si iscrivesse alla scuola municipale di musica. I virtuosismi di Schiavazzi arrivarono fino al Municipio con l’allora sindaco Ottone Bacaredda che lo segnalò al celebre compositore Pietro Mascagni. Fu proprio l’autore de “La Cavalleria Rusticana” a offrirgli una borsa di studio per il prestigioso liceo musicale di Pesaro, una delle città musicalmente più fiorenti dell’epoca (basti pensare a Rossini).
La premura di denaro spinsero Schiavazzi gli fece bruciare le tappe: il giovane cagliaritano non completò gli studi musicali ma passò subito all’opera affermandosi presto come uno dei tenori italiani più acclamati e ricercati dei primi due decenni del XX secolo. “Iris” di Mascagni fu la sua grande prima opera da protagonista (nel 1900) a cui seguirono altre creature del compositore toscano. Da ricordare le sue performance in “Conchita”, “Resurrezione”, “Pagliacci”, “Tosca”, “Manon Lescaut”, “Fedora”, “Zazà”, “Amico Fritz”, “Cavalleria rusticana” e “Maschere”.
Il successo da nazionale divenne internazionale con le tournée in vari Paesi: Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Portogallo, Ungheria, Svizzera, Egitto e Sud America. I primi quindici anni del ‘900 furono strepitosi. Tanto fiorenti da causargli un deciso peggioramento della voce, sfruttata senza misura. Seguì una discesa e la decisione di ritirarsi dopo la splendida esecuzione di “Fedora” al Teatro Massimo di Palermo.
La sua seconda vita fu il cinema, settore in cui ottenne un discreto successo. Morì nel 1949 a Roma e fu poi sepolto a Bonaria dopo funerali molto importanti che gli furono tributati nella Capitale proprio su impulso dei suoi concittadini. Nel 1980 l’onore di una strada piuttosto importante a lui intitolata, quella appunto del quartiere Sant’Elia.