Bidonì, località Pera Pintore. Foto di F. Demontis
di CINZIA LOI
Il territorio indagato, collocato geograficamente quasi al centro della Sardegna, comprende la regione storico geografica nota col nome di Barigadu. L’area presa in esame, che contempla terreni di differente morfologia, è marginata in parte dalla sponda sinistra del fiume Tirso, uno dei più importanti corsi d’acqua della Sardegna (159 km). La costruzione di un imponente sbarramento noto come Diga di Santa Chiara (1918-1924), ha portato alla creazione del bacino artificiale del Lago Omodeo. La realizzazione di questo invaso, oltre ad aver mutato profondamente il paesaggio naturale, ha causato l’obliterazione di numerose tracce di vita del passato.
Le più antiche tracce di frequentazione umana nel territorio del Barigadu, sembrano risalire al Neolitico Recente, ai tempi della cultura di Ozieri (IV millennio a.C.), cui seguono testimonianze delle fasi iniziali dell’Età del Rame o Eneolitico (aspetti culturali Sub-Ozieri di Filigosa e Abealzu). Allo stato attuale delle ricerche sono da attribuire alle culture prenuragiche oltre 145 ipogei funerari del tipo a domus de janas, 2 dolmens, 2 menhirs, un gruppo di statue-menhirs, 11 stazioni litiche e 1 riparo sotto roccia. Per quanto riguarda il patrimonio monumentale di Epoca Nuragica, si conoscono almeno 81 nuraghi, 9 tombe di giganti, 2 insediamenti privi di nuraghe di riferimento, 2 fonti, i resti di 2 probabili pozzi nuragici e un complesso di natura cultuale. Su 81 nuraghi, 39 sono del tipo a tholos (7 complessi e 32 a torre semplice) e 5 a corridoio. Il cattivo stato di conservazione dei restanti 37 monumenti impedisce di comprendere se essi rientrino nella tipologia dei nuraghi a corridoi o di quelli a tholos. Secondo alcuni studiosi, sul Monte S.Vittoria vi sarebbe stato un insediamento di Età Punica. Per quanto concerne l’Epoca Romana, le ricerche effettuate hanno evidenziato un assetto territoriale articolato in piccole comunità rurali sparse nella campagna e dedite all’allevamento e all’agricoltura. La pratica di quest’ultima è confermata dal ritrovamento di diversi elementi di macina associati a frammenti ceramici. Non mancano le testimonianze dell’attività di frantoio per la produzione di olio, com’è dimostrato dalle basi di pressa e dai contrappesi litici rinvenuti in diversi siti. La produzione del vino è documentata attraverso numerosi palmenti rupestri, meglio noti come lacos de catzigare (vasche per la pigiatura). Attraverso l’analisi delle fonti bibliografiche, cartografiche, di quelle orali, ma soprattutto grazie alle ricognizioni sul campo, sono stati censiti oltre un centinaio di impianti fissi e una ventina di impianti mobili. I lacos de catzigare sono costituiti da due o più vasche di varia forma scavate nella roccia (palmenti fissi) o in un unico blocco di pietra (palmenti mobili).
Sulla base dei dati strutturali raccolti si è giunti a classificare 5 tipi diversi di impianti fissi:
- il Tipo I presenta la vasca di pigiatura di forma rettangolare; la vasca di raccolta si trova sempre ad una quota più bassa e mostra generalmente forma semicircolare;
- il Tipo II si apre su superfici rocciose piane poco rilevate rispetto al piano di campagna. La vasca di pigiatura presenta di solito forma semicircolare e scarsa profondità; in alcuni casi essa risulta delimitata da una serie di ortostati;
- il Tipo III si caratterizza per la presenza di ambienti rettangolari scavati più o meno in profondità nella roccia;
- il Tipo IV comprende gli impianti misti, quelli cioè in cui la vasca di pigiatura sfrutta la roccia affiorante, mentre la vasca di raccolta, mobile, risulta scavata su un masso unico;
- il Tipo V comprende tutti quegli impianti nei quali gli elementi strutturali risultano combinati in modo non sistematico.
Bidonì, località S’ardianu. Foto di D. Fadda
Talvolta i palmenti rupestri risultano scavati su affioramenti rocciosi che presentano alla base tombe ipogee a domus de janas. In località Arzolas, poco distante dal centro abitato di Ardauli, sorge una piccola necropoli costituita attualmente da tre tombe preistoriche. La medesima formazione che ospita la tomba I, ipogeo costituito da due ambienti disposti in senso longitudinale, presenta sulla superficie rocciosa un palmento costituito da due vasche utilizzate da tempo immemorabile per la pigiatura del vino. Vi si accede lateralmente attraverso due tacche scavate sul lato NE; l’ambiente di pigiatura ha forma sub-circolare (m 2,10 x 1,90,/2,20) e pareti dal profilo curvilineo. Un foro di scolo permetteva il deflusso del mosto nella vasca di raccolta. Quest’ultima presenta forma trapezoidale (m 0,55/0,75 x 0,80 x 0,49 di alt. residua), pareti aggettanti e spigoli vivi.
A breve distanza dalla tomba I, sulla cima di un banco ignimbritico, nella cui base è stata ricavata la tomba II parzialmente interrata e difficilmente individuabile a causa della fitta vegetazione che nasconde l’ingresso, è stato individuato un secondo palmento costituito da due vasche comunicanti attraverso un foro centrale posto a livello del pavimento della vasca di pigiatura. A ciò si aggiunga una sorta di canale di scolo ricavato in cima al setto divisorio posto tra le due vasche, funzionale forse al passaggio del troppo pieno. La vasca di pigiatura misura m 1,25×1,47×37 di prof.; la vasca di raccolta, rettangolare, misura m 1,17×0,75×0,34 di prof. L’impianto faceva parte di un complesso più ampio comprendente anche diversi bacili scavati nella roccia e una vasca in pietra ovale irregolare con un versatoio, interpretata come pigiatoio per il vino, individuati nell’area circostante il manufatto principale.
Analoghi casi di compresenza di una domu de janas e di un palmento nel medesimo affioramento roccioso, si osservano – sempre all’interno dell’area di indagine – nelle località di Pera Pintore e di S’Ardianu nel comune di Bidonì.
L’ipogeo di Pera Pintore, del tipo a forno, è costituito da due piccoli ambienti disposti in senso longitudinale, preceduti da un breve atrio. Esternamente, in cima alla medesima formazione ignimbritica, è presente un impianto vinario costituito da due vasche. Il palmento si sviluppa in direzione EW, trasversalmente rispetto all’ingresso alla domu. La vasca di pigiatura, di forma irregolare, misura m 0,95×1,20×0,20 di prof. Un foro di scolo permetteva il deflusso del liquido di spremitura nella vasca di raccolta. Quest’ultima, posta ad una quota più bassa, misura m 0,70×0,45×0,54 di prof.
Anche il palmento di S’Ardianu si apre in cima al masso roccioso che ospita alla base l’omonima domu pluricellulare. Qui l’impianto si sviluppa in senso longitudinale rispetto all’ingresso al monumento funerario; le vasche, di forma rettangolare con spigoli vivi, poste in comunicazione attraverso un foro di scolo, risultano scavate in profondità nella roccia.
Nel territorio di Sorradile, in località Sas Lozzas, il palmento noto come Perda ’e Cuba, è stato ricavato su di un affioramento che presenta alla base un ipogeo. Si tratta di un pressoi costituito da due vasche; la vasca di raccolta, di m 1,10×1,20×0,15 di prof, presenta forma grossomodo circolare. Sul piano pavimentale si osserva, lungo il lato esposto a N, un’area rilevata funzionale alla pressatura delle vinacce attraverso un masso dalla base appiattita. Un foro di scolo pone in comunicazione questa vasca con quella di raccolta, situata a un livello inferiore. Quest’ultima, di forma semicircolare (m 0,60×0,40×0,35 di prof.), risulta mancante del lato breve opposto a quello in cui si apre il foro pervio. A livello del piano di calpestio si apre, come già detto, la cella di una domu de janas del tipo a forno, manomessa per posizionarvi, con ogni probabilità, i contenitori di raccolta del mosto.
Fuori dall’area di indagine, alcuni vani delle domus de janas di Museddu-Cheremule, nei pressi della località Serra Cubale, furono riutilizzati in Epoca Romana come ambienti per la torchiatura, mentre altri furono usati come cisterne. Curioso il fatto che sia l’impianto di Sorradile sia quelli di Cheremule ricadano in località in cui il toponimo potrebbe derivare da cuba/cupa, termine che in sardo significa “botte”.
Complesso appare oggi estrapolare un quadro cronologico certo relativo all’utilizzo degli impianti vinari identificati. A tale scopo sarebbe importante avviare uno studio archeologico, procedendo allo scavo scientifico dell’area circostante di alcuni di essi. Tuttavia, anche lo studio del contesto archeologico in cui questi manufatti sono inseriti può fornirci utili indicazioni in tal senso. Circa la compresenza di domus de janas e pressoi, sulla base dei dati raccolti finora relativamente alla vinificazione in Sardegna, si può affermare con certezza la seriorità dei palmenti rispetto alle tombe preistoriche.