Salvatore Patatu
di GIANRAIMONDO FARINA
La morte segna sempre, anche per chi crede, un limite. La fine di un mondo e l’inizio e la speranza di un’altra vita. Se ne è andato Salvatore Patatu, uno dei grandi della lingua, della letteratura e della cultura sarda contemporanea ed un amico del mondo de Su Disterru. Una vita, la sua, nato da umili origini in quel di Chiaramonti, cuore dell’Anglona, tutta spesa per la divulgazione della cultura e della letteratura sarda. Prima di tutto dall’esperienza e dal vissuto. Salvatore Patatu, non era un letterato da cattedra, come si suole fare oggi. Egli era, primariamente, un uomo, un sardo. Dotato di grande umanità. Ho avuto anche io l’onore di conoscerlo, in una delle tante manifestazioni culturali tenutesi in Sardegna a cavallo fra anni Novanta e Duemila. Un vero e proprio “vulcano”, come ha descritto l’amato e più anziano fratello Carlo, con un bellissimo post pubblicato sulla sua pagina facebook. Un “vulcano in continua eruzione”. La vita, con lui, alle origini, non è stata delle migliori. Nato nel 1941, era il quinto di una nidiata di sette figli. Questo, come ha sottolineato Carlo Patatu, “per ricordare a me e a tutti che lui e io siamo nati poveri. Uno solo a lavorare, nostro padre, e otto bocche da sfamare”. Erano la Sardegna e l’Italia del tempo. E, poi, gli studi successivi o il lavoro. Sia per Carlo che per Tore. Lo studio era l’eccezione, il lavoro la quotidianità, la necessità. Dopo Carlo, anche Tore, che era più piccolo, completerà, dopo alcuni anni di interruzione, il proprio cursus studiorum a Pisa laureandosi in lingua e letteratura francese. Per intraprendere la strada dell’insegnamento prima alle medie e, poi, alle superiori. Ma le sue passioni erano ben altre. Come, soprattutto, la linguistica, l’arte e la letteratura sarda. Ed è in questo contesto che matura la sua collaborazione, come esperto di Glottologia, presso la cattedra di Linguistica Generale dell’Università di Sassari. Portando “in luce” diversi lavori in limba, curando varie opere di autori ed intervenendo come esperto nelle scuole, in giornali, riviste, radio e televisioni private. Tra le sue opere più rilevanti si segnalano Contos de s’antigu casteddu (1980), raccolta di racconti con tre ristampe e oltre tremila copie vendute; Buglia Bugliende…(1993), libro di racconti a lungo fra i più venduti della Sardegna; i racconti Su trau de Funtana Noa (1995). Per arrivare alle fondamentali Fabulas imberritadas (2000), versione ed ambientazione sarda di dodici famose fiabe classiche ed il racconto Pro no esser comunista mezus sorighe (2006) (Per non essere comunista meglio topo). E’, soprattutto, con la pubblicazione dei racconti Contos de s’antigu casteddu (1980), che Tore Patatu può considerarsi il primo scrittore contemporaneo in prosa in lingua sarda. Fino a quel momento gli scrittori isolani avevano preferito il genere poetico. Perché scrive in prosa sarda, allora? Perché, fin dall’infanzia rimane affascinato dai contos et dicios antigos in limba. Patatu aveva la capacità di ascoltare, facendosene tesoro geloso, ogni sorta di racconto che i suoi compaesani di Chiaramonti si dilettavano ad esporre di volta in volta con particolari coloriti. E nasceva in lui l’esigenza di tradurre per iscritto questo immenso patrimonio culturale orale, da salvare e da tramandare. Punto dirimente nella sua scelta linguistica, la prosa. Un modo come un altro per iniziare, dal basso, a rendere il sardo una lingua non solo viva e parlata, ma moderna. In questo modo iniziava la stesura del suo primo racconto, trasponendovi ambienti e personaggi tratti dalla realtà locale, colorandoli ed avvolgendoli in un’atmosfera di realismo magico, con tempi e spazi reali anche se inseriti nell’ambiente fantastico del racconto. E così saranno le opere successive, come le centrali Fabulas Imberritadas del 2000, forse l’altra sua opera più importante, che segna un ulteriore “passo” del Tore Patatu linguista. Si tratta di una raccolta di favole tolte dalla tradizione classica greca, latina e francese. Non si tratta, però, di una traduzione in sardo delle celebri favole che noi tutti abbiamo studiato a scuola, ma di una rivisitazione che cambia totalmente la favola. Il titolo, a questo proposito è chiarificatore: sono state prese dodici favole e sono state “imberrittadas” cioè vestite del classico costume sardo. Sono state sardizzate, adattate alla condizione sarda ivi compresa la sottile ironia di cui il sardo, nell’immaginario collettivo, non è accreditato, ma che possiede allo stato puro e a livello di inconscio. Il libro è strutturato in questo modo: le favole sono dodici. All’inizio di ogni favola l’autore sintetizza brevemente il contenuto della favola classica. Dopodiché racconta la sua versione; il tutto in lingua sarda Logudorese. Alla fine c’è un questionario utile per I docenti. Il libro è stato concepito anche per essere utilizzato a scuola. A tal proposito si può procedere su due livelli: uno linguistico culturale e l’altro soltanto culturale, in quanto segue la traduzione in Italiano che segue la stessa struttura. Il questionario, o la scheda didattica, però, in Italiano è curata dalla prof.ssa Giuseppina Battaglia e segue criteri socio-culturali e non linguistici. Le favole rivisitate sono: S’Acca, s’arveghe, sa craba e su leone (La vacca, la capra, la pecora e il leone); S’Ainu martesu (l’asino che portava il sale); Sa chìgula e sa frommìgula (La cicala e la formica); Sa rana e su ’oe (La rana e il bue); Sas orijas de su lèpere (Le orecchie della lepre); Sos duos àinos (I due muli); Su cane e-I sa petta (Avidità di cane); Su chervu in sa funtana (Il cervo alla fonte); Su lupu e s’anzone (Il lupo e l’agnello); Su mazzone e-I sa cicogna (La volpe e la cicogna); Su mazzone e sa ua (La volpe e l’uva); Su mazzone e su corvu (Il corvo e la volpe). E nella stesura della presentazione ,scritta interamente in sardo, ben emerge l’intenzione di Patatu, ossia quella di parlarci e raccontarci di una Sardegna diversa, ben diversa dagli stereotipi tradizionali. In cui vengono descritte una naturalezza ed un modello di vita comune dei sardi intesi come ignoranti, introversi, tristi e sequestratori. Aggiungendovi persino una morale nuova, differente, più in sintonia con territorio , in questo caso il “piccolo mondo antico dell’Anglona”, che è poi tutta la Sardegna. Scrive Patatu: “E tando, sighende su caràtere meu bugliante e satìrigu, apo pensadud e las intrepetare dae nou, addatèndelas a s’ambiente sardu ue deo so nàschidu e mi so fatu mannu. Las apo imberritadas, dèndelis un’assentu sardu in totu e pertotu e,giambèndelis puru sa morale, pius in sintonia cun sa naturalesa de nois anglonesos,l ogudorese e tataresos, prontos a bugliare subra a calesisiat fatu e a giambare in risuf finas avventuras trista e dramàticas. Una naturalesa e unu modellu de vida diversu dae su chi tzertos giornalistas e iscritores tèndent a propagandare, nende chi sos sardos semus ignorantes “introversos”, pianghijolos, arretrados, secruestadores”. Niente di più sbagliato. Il sardo è ironico, satirico, giocoso, pronto a tramutare in riso quello che nasce in pianto. Come, tra l’altro aveva capito uno come il prof. Luciano Caimi nella prefazione che Tore Patatu gli aveva chiesto all’ opera. Un riconoscimento, questo, autorevole della critica, non solo sarda, ma italiana. Non proprio uno qualunque Caimi. Egli è stato straordinario di Storia della pedagogia a Sassari e poi ordinario sempre della stessa in Università Cattolica presso la sede di Brescia. Caimi che, parlando della Sardegna, la definisce “la nostra isola” . E che aveva già come “la fatica di Salvatore Patatu” non consisteva nella semplice versione in Lingua sarda delle avole di Esopo, Fedro, La Fontaine. Era qualcosa di più. “Un libero e creativo riadattamento dei celebri racconti nella cultura della nostra Isola, con esiti, in diversi casi, sorprendenti”. La modifica della nota morale dei tre autori classici ha lo scopo di stimolare ulteriormente la riflessione dei lettori. Tore Patatu ora non c’è più. È rimasta, però, quella che Caimi ha definito “la sua possibilità di contribuire in modo originale alla formazione dei nostri alunni di un’intelligenza umanamente aperta e sapienzialmente disponibile”.
iscusade, ma pro ite de una pessone de importàntzia manna pro sa limba nostra che Tore Patatu s’iscriet un’artìculu, interessante meda tzertu, iscritu però in sa limba chi est atoghende sa nostra?
Istimadu Giagu Ledda, su motivu de proite apo iscrittu s’articulu in italianu (chi no est una limba chi est attoghende su sardu) s’ispiegat meda in su chi apo ogadu a paris et in su chi prof. Patatu at rappresentadu pro nois sardos de su Disterru chi, bene o male, bivimus intro de parizas culturas. Iscriere in italiani no cheret narrer at ponner a banda su sardu. Antzis, in custu modu podet nascher fintzas unu modu noi de ammanizzare et cuntivizzare sa limba nostra. Si si leghet menzus s’articulu si podet cumprendere. Cun istima, respetti et amistade manna.
Tenes rejone Giagu, m,ammento cando sos primos Annos torraimus a bidda, sos manifestos de sas festas paesanas iscritas totu in italianu, mi faghiat infadu mannu.
Un bello e doveroso omaggio a un professore sardo che si è speso per salvaguardare la sua lingua sin dagli anni Ottanta in cui il tema rimaneva, se non spinoso, alquanto controverso.
Grazie, Gianraimondo Farina.
No happo autoridade a faeddare de su Mortu, duttore de cosas sardas, ca deo no happo appidu sa fortuna de connoschere custa illustre Pessona e mancu de lezere sos libros chi nos hat postu in campu.
So deo puru de su mundu de SU Disterru e sa Sardinna e sos sardos los happo idu dae attesu.
Ma naro oe chi s’iscrittu, chi hamus lezidu de su balente duttore Gianraimondo Farina, mi hat abertu ogros e mente, pro menzus intendere e cumprendere sa balentia sarda de su Mortu duttore Sarvadore Patatu, in Chelu che siat, umpare a sas Anima de sos Mannos suos.
Cun piaghere e meda ammiru ringrazio su balente duttore Gianraimondo Farina.
Anna-Maria Sechi ti ammento chi, fintzas a como, sunt bessidos mescamente duos articulos de ammentu subra su prof. Patatu in totu su mundu de s’Emigratzione sarda. Et unu est custu. Iscritu in italianu emmo, ma chin su coro sardu. A donzi modu, prima de isterrer zudissios, mi dia at piagher chi su chi apo iscrittu podiat esser leghidu et cummentadu. Cun respettu
Grande uomo di cultura
un grande
Splendida persona🙏❣️✨