SIMBOLI E RITI IN POLITICA (A POCHI GIORNI DALLE ELEZIONI IN REGIONE SARDEGNA)

Gli studi sull’origine del fenomeno religioso di Émile Durkheim, in cui leggiamo l’esistenza di un legame tra l’uso dei simboli e del rito, mediante i quali l’uomo cerca una relazione con l’ultraterreno, con la rappresentazione di una spiegazione delle cose del mondo, estendibile ad ogni altra regola individuale e comunitaria, trova la sua prosecuzione nel pensiero di David I. Kertzer. Quest’ultimo, a seguito dei suoi studi realizzati sulle società in diversi luoghi del mondo, arriva a concludere che il rituale, in quanto attività dell’uomo, è sempre stato presente nelle dinamiche religiose, politiche e comunitarie in generale e continuerà ad esserlo.

È nella storia del XX secolo che troviamo diversi avvenimenti a conferma della teoria che i simboli in politica diventano estensioni di significato, ma anche strumenti di potere

come sanno bene del resto parecchi candidati alle cariche pubbliche. Creare un simbolo, oppure, più comunemente, identificarsi con un simbolo popolare, può essere un mezzo molto potente per guadagnare e mantenere il potere, poiché il tratto distintivo del potere è proprio la costruzione della realtà.

Il che fa dire ad alcuni ‹‹osservatori politici›› che le persone ‹‹oppongono il mondo reale al regno dei simboli››, nel quale è possibile inserire una realtà in cui riconoscersi e propagandarne il significato.

Hitler e il suo partito crearono un sistema simbolico attraverso il quale realizzare il mito della superiorità del popolo tedesco. Un sistema che alimentò la paura di avvenimenti incontrollabili, anche a causa di altri nemici interni al Paese: la Repubblica di Weimar, il popolo ebraico responsabile, a suo dire, del crollo di Wall Street, che mise in ginocchio la Germania, e di inquinare la ‹‹purezza›› della razza ariana.

Nella ricerca di affermazione e mantenimento del potere, il sistema simbolico nazista si arricchì di simboli e riti celebrati inter homines nelle piazze, mediante l’uso ossessivo della retorica e del linguaggio simbolico.

Tuttavia, a conferma che sempre coesistono diversi sistemi simbolici di riferimento in cui è possibile riconoscersi, mentre quello creato da Hitler spingeva il popolo alla guerra, contemporaneamente Churchill, Roosevelt e altri realizzavano altri sistemi simbolici alternativi al primo attraverso il quale ‹‹mobilitare l’opposizione al nazismo››.

La forza del simbolismo è tale perché ‹‹mentre il potere dei dittatori deriva dai ‘simboli che essi manipolano, i simboli a loro volta dipendono da tutto l’insieme di associazioni che suscitano’. Il potere di tali simboli è enorme. Gli uomini possiedono i pensieri, ma i simboli possiedono gli uomini››.

Negli stessi anni cresceva in Italia il consenso al fascismo guidato da Benito Mussolini, il quale creò un sistema simbolico che ebbe un impatto pervasivo sulla società. Scelse per sé l’appellativo dux, costituì la gioventù del littorio, i figli della lupa, le camicie nere. L’appartenenza al regime era affermata nel rito di giuramento di fedeltà, che ne legittimava l’esistenza. Elementi simbolici e rituali amplificati da un sistema di comunicazione mirato alla propaganda, hanno contribuito a far nascere un vero e proprio culto al duce. La diffusione dell’ideologia fascista che coinvolse le masse, destinatarie di provvedimenti assistenziali, nonché del loro ingresso nell’apparato statale, andò di pari passo con l’assegnazione di una casa ai minatori. Era forse il modo di farle sentire parte del sistema, come a casa, e nel contempo portarle fuori da casa, quale manifestazione di grandezza e ampliamento del sistema costruito.

In questo modo se ‹‹il simbolo è un segno motivato e, intenzionale, dal senso indiretto e pluristratificato››, come scrive Tzevetan Todorov, può rientrare nella categoria di strumento della politica, perché assume più sensi di lettura diretti e indiretti come ‹‹insieme, produzione, intransitività, motivazione, sintetismo ed espressione dell’indicibile››.

Nelle argomentazioni fin qui sostenute è possibile leggere che il rito, in politica, integra i simboli del potere e li innesta in un processo dinamico di riconoscimento dei bisogni e delle risposte attese, amplia l’adesione ideologica della comunità e favorisce lo sviluppo di un’asse di equilibrio tra detentori del potere e aspettative realizzate, che equiparano, in parte, tutti gli appartenenti all’ideologia propagandata. In questo senso il rito ‹‹separa l’individuo dallo stato precedente e lo introduce nella sua nuova condizione›› di appartenente al gruppo legittimato dalla partecipazione. Nel rito, ‹‹le azioni rituali rispondono non solo all’esigenza di comunicare informazioni circa le funzioni delle quali determinati individui vengono investiti, ma anche quella di legittimare la localizzazione del potere nelle loro persone››. Favoriscono relazioni inclusive tra persone diverse legittimate da un’investitura che avviene nel coinvolgimento rituale in cui i simboli del potere si mescolano a quelli dell’uguaglianza, perché ‹‹la grammatica del simbolismo rituale ha regole diverse da quelle che regolano il linguaggio comune, e ancor meno segue le regole della logica››.

Il linguaggio della politica, caratterizzato dalla retorica e arricchito dal rimando ai simboli nel rito, stimola nell’uditore l’interpretazione e la ripetizione di contenuti che si imprimono nella memoria, fino a diventare riferimento di significati e comportamenti. Può accadere che i simboli rinviino a significati che la memoria ha già vissuto, ma la pregnanza rituale di cui sono rivestisti rende possibile la sovrapposizione nei ricordi per crearne di nuovi, con significati diversamente interpretabili, ‹‹capaci di costituire la vita delle persone›› e di orientarne i comportamenti.

La fine della II Guerra mondiale impegnò il mondo nella ricerca di nuovi equilibri.

In Italia la nuova unità nacque dall’esito del referendum istituzionale, simbolicamente rappresentato da ‹‹una testa femminile turrita posta tra fronde di quercia e di alloro››, stampata sullo stivale per la scelta repubblicana, e il simbolo del Regno d’Italia per la monarchia.

Il sistema simbolico di riferimento fu condensato nella Costituzione, che nei contenuti espresse – ed esprime – il significato di persona libera e di popolo tra i popoli ai quali sono riconosciuti diritti e doveri universali.

Rimosso il simbolo della monarchia dall’emblema nazionale, i partiti che composero il governo scelsero i loro simboli ‹‹per costruire una solidarietà politica›› nell’Italia Repubblicana ancora priva di un ampio consenso elettorale. In quegli anni ‹‹dei rituali cambia la forma, il senso simbolico, gli effetti sociali, e mentre sorgono nuovi riti, quelli vecchi si dissolvono›› in quanto le persone ‹‹non sono asservite né ai rituali, né ai simboli: possono modellare e creare il rituale››. È questo che rende i ‹‹rituali strumenti così potenti dell’azione politica››.

La Democrazia Cristiana, fin dalla sua origine usò il simbolo ‹‹dello scudo crociato che dimostra una formidabile presa sull’elettorato e un forte radicamento nella tradizione del movimento cattolico››.

Questo simbolo ha assunto connotazioni che lo hanno differenziato da tutti gli altri simboli politici, adottati nel tempo dai diversi partiti. Lo scudo crociato accomunò differenti strati sociali rappresentati da una classe politica che governò il Paese per più di cinquant’anni esprimendone anche l’identità cristiana. Dopo lo scioglimento, la croce sullo scudo continuò a essere usata da esponenti dello stesso partito confluiti in altri gruppi politici.

L’importanza del significato dei simboli è determinante nella società, sin dai tempi più antichi. ‹‹Nella sua forma moderna può essere fatta risalire allo sviluppo di un concetto di cultura che mette l’accento sul processo attraverso il quale gli individui si servono di simboli per interpretare e conferire senso all’esperienza››.

Molte persone si riconobbero nel significato dei simboli del Partito Comunista Italiano, falce e martello intrecciati sullo sfondo rosso sangue della bandiera, che unisce le masse contadine con la classe operaia.

Il partito di Gramsci si sciolse nel 1991 in diverse frange. In seguito ognuna di esse utilizzò simboli e rituali finalizzati a esprimere i cambiamenti socio-economici che hanno caratterizzato la fine del XX secolo. Una parte di esse ha conservato la falce e il martello sulla bandiera rossa, in cui si condensano i simboli delle lotte operaie di ogni settore economico produttivo. Iscritti e simpatizzanti si chiamano ancora compagni. I raduni annuali hanno continuato a chiamarsi feste dell’Unità, anche quando i simboli hanno dato rimandi di significato più complessi da leggere, come la quercia e l’ulivo.

I sistemi democratici consentono la creazione di più sistemi simbolici e di rituali che si confrontano quotidianamente nei diversi contesti e canali di informazione, anche se sono meno evidenti, perché confusi con la normalità accomunante dei celebranti e dei partecipanti, di cui si riconosce il volto e l’espressione nel to tweetquotidiano. In quelli attuali coesistono diversi sistemi simbolici che veicolano significati più o meno moderati e altri, più estremisti, in antitesi ai preesistenti. In tutti i casi, oggi simboli e riti celebrati nei social e nelle piazze guadagnano uno spazio sovrannazionale e creano rituali accomunanti ed estranianti, accoglienti o respingenti.

Quanto fin qui asserito non si prefigge di essere esaustivo, piuttosto di sollevare curiosità e attenzione agli accadimenti e di sollecitare una riflessione più ampia sul tema trattato. Perché, se simboli e riti sono strumenti che accompagnano da sempre l’umanità nel suo divenire e nel suo percepirsi, nei molteplici e compositi contesti socio-culturali, è d’obbligo porsi alcune domande.

Quanto è importante conoscere e saper valutare l’importanza dei simboli, nella pluralità dei significati a cui rimandano e prendere le giuste distanze da quelli in contrasto con la scelta costituzionale attuata dagli italiani nel 1948? Rispondere consente di esprimersi su: quale tipologia di umanità desideriamo costruire nel nostro tempo costellato di tutto e niente nel contempo? Quali sono i simboli che ci rappresentano nei riti a cui partecipiamo, talvolta, anche inconsapevolmente? Qual è il linguaggio che riteniamo più idoneo, finalizzato a favorire la comprensione dei messaggi della politica? Chi sono davvero le persone che dimostrano di avere a cuore gli equilibri e la giustizia sociale?

Simboli e riti favoriscono l’adesione delle persone a una ideologia politica, piuttosto che a un’altra e mette in moto un processo di assimilazione. Esiste, infatti, una dinamica rituale che favorisce ogni leader nella realizzazione della propria autorità e credibilità rispetto ad altri. Ogni evento diventa motivo e luogo di espressione di sé. Il potere delle parole, nell’identificazione di un colpevole altro, e la veemenza con la quale vengono pronunciate, diventano strumenti che veicolano il potere. Parole e toni che arrivano dritte alla pancia degli uditori, dove albergano insicurezze, paure recondite, malessere generalizzato, convenienza e rancore indistinti che necessitano di un’origine.

Le ridondanti rassicurazioni sulla possibilità di risolvere i problemi, fatte dai singoli partiti politici e movimenti, ammorbidiscono e facilitano la confluenza di un elettorato verso direzioni astutamente preordinate. La complessità dei problemi viene oltremodo semplificata per consentire negli ascoltatori la costruzione di simboli alternativi a quelli che conosce, di cui ha sperimentato in passato realizzazioni di significato non rispondenti alle proprie aspettative. In questa prospettiva, coloro che usano un linguaggio di verità in cui punti di forza e di fragilità, dilemmi e possibili soluzioni, sono presentati nella loro gravità e difficoltà a realizzare un progetto di società diversa nell’immediato, sono spazzati via. Le loro parole fanno male alla pancia e alla mente e, pur sfiorando criteri di razionalità, non arrivano a far parte della ragione che vuole per sé tutto e subito. Se poi, nell’espressione delle idee, si parla con modi gentili e pacati, la pancia sonnecchia e i contenuti passano inascoltati.  

Resta la consapevolezza che, sulla via tracciata dalla storia più recente, è possibile affermare che esistono simboli diversi che rinviano a molteplici significati negativi e positivi. A parere di chi scrive, ciò che conta è riconoscerli, distinguerli e capire da quale parte stare con la consapevolezza che ognuno di essi, nella pluralità dei suoi significati, è componente costante delle nostre esistenze.

Un errore che non bisognerebbe mai fare è quello di confondere simboli e significati di cui si conosce già la storia nella verità delle conseguenze, senza prenderne apertamente le dovute distanze.

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2 commenti

  1. Articolo molto interessante e istruttivo. Complimentissimi all’autrice.

  2. La ricerca di Bruna Murgia su “Simboli e riti in politica” propone un interessante approfondimento sul significato, quindi sulla corretta definizione, dei termini “simbolo” e “rito” nell’ambito dell’agire politico, alla luce degli studi firmati dagli specialisti.
    I testi fondamentali per l’inquadramento semiologico-interpretativo dei due concetti sono i seguenti:
    HAN Byung-Chul, “La scomparsa dei riti: una topologia del presente”, Nottetempo, 2021.
    KERTZER, David I., “Riti e simboli del potere”; prefazione di Gianfranco Pasquino, Laterza, 1989.
    TODOROV Tzvetan, “Teorie del simbolo”, a cura di Cristina De Vecchi, Garzanti, 2023.
    Il saggio si raccomanda per l’ampia documentazione fornita riguardo all’esemplificazione pratica dell’utilizzo che è stato fatto dei simboli e dei riti nella storia del Novecento e oltre.

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